10.3.17

Uomini dal pugno di ferro (Serge Halimi)

L'articolo che segue è di poco più di un anno fa (febbraio 2016), ma dopo l'elezione alla Casa Bianca di Donald Trump è perfino più attuale di quando è stato scritto. Lo posto per meglio conservarlo alla mia memoria e per esporlo all'attenzione di chi è interessato. (S.L.L.)

Uno scambio di complimenti che ha sorpreso: lo scorso 17 dicembre il presidente russo Vladimir Putin ha espresso la sua preferenza per uno dei candidati alle primarie del partito repubblicano Usa, il miliardario newyorkese Donald Trump. Lo ha definito «uomo brillante e pieno di talento», indicandolo come gran favorito della corsa presidenziale. Lungi dal ricusare l’omaggio, anche a rischio di dispiacere ai molti neoconservatori del suo partito Incerti se odiare di più la Russia o l’Iran, Trump ha reagito con calore: Putin «sa veramente dirigere il suo Paese. È un leader energico, ben diverso da ciò che abbiamo qui da noi». Non solo: ha anche promesso che qualora fosse eletto a presidente degli Stati uniti, avrebbe Intrattenuto volentieri una buona intesa col leader russo. La simpatia reciproca di questi due uomini dal pugno di ferro è rafforzata oltre tutto dal comune disprezzo per l’attuale Inquilino della Casa bianca. Donald Trump si è infatti rallegrato nel constatare che «Putin non ha alcuna simpatia per Obama e non lo rispetta».
In generale, gli interessi degli Stati prevalgono sulle eventuali affinità dei loro dirigenti. Ma quando l’economia mondiale deraglia, le quotazioni del petrolio crollano e gli attentati sanguinari dilagano ovunque, non è sorprendente, e neppure Indifferente che a occupare la scena siano valori quali l’ordine e l’autorità, sostenuti da personaggi grintosi, cinici e brutali. È II momento dei fautori di una restaurazione morale di tipo patriottico, nostalgici di una narrazione di segno nazionalista, che alzano la voce, gonfiano I muscoli e dispiegano le loro truppe.
Il premier ungherese Viktor Orban si è rafforzato politicamente dopo aver installato una recinzione in acciaio ai confini del suo Paese con la Serbia e la Croazia. Allo stesso modo, l’annessione della Crimea ha consolidato il potere di Putin, e la sanguinosa repressione dei curdi quello del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Quando Trump raccomanda di reintrodurre la tortura negli Stati uniti, e il suo concorrente repubblicano Ted Cruz, non contento degli attacchi statunitensi «troppo mirati» contro Daesh, propone di «bombardare a tappeto» le zone controllate dall’Organizzazione dello Stato islamico (compresa la popolazione civile), l’uno e l’altro guadagnano In popolarità nel loro schieramento. E persino il disprezzo verso gli Intellettuali, gli universitari e il «politicamente corretto» sono per loro fonte di consensi. Forse ispirati da questo fenomeno, i dirigenti francesi infarciscono i loro discorsi di espressioni quali «risposta ferma» o «domanda di autorità». E mentre potenziano le prerogative della polizia a discapito di quelle della giustizia, assistono senza fare una piega a decine di decapitazioni di oppositori in Arabia saudita.
Le promesse di pace e prosperità del capitalismo moderno erano già In caduta libera dopo II disastro finanziario del 2008. Ma ormai il crollo Investe la sua cultura, Il suo spirito, I suoi dirigenti dal modi untuosi e solo apparentemente civili. La «globalizzazione felice» voleva essere razionale, fluida, Interconnessa a livello planetario. Il suo fallimento apre la strada agli «arrabbiati», al signori della guerra.


“Le monde diplomatique – edizione italiana”, febbraio 2016

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