25.3.17

Al satiro! al satiro! Gli zoccoletti di Bisanzio (Alberto Arbasino)

Franz Xaver Bergmann, Satiro e Ninfa (1900 circa)
Ah, perpetuare quelle ninfe, e anche quei fauni, nella Bisanzio del simbolismo e del decadentismo europeo... Già, viene chiamata Bisanzio (anche da Mario Praz) quella serra calda di Moreau e Huysmans e Rops e Schwob e Pater e Beardsley, e di Wagner e di D'Annunzio - annota Remy de Gourmont - perché la nostra Europa, avendo avuto per tanto tempo sott'occhio la decadenza di Bisanzio, ha formato l'associazione di idee Bisanzio-Decadenza che si è estesa quale luogo comune all'Impero romano tutto intero, visto da storici rispettabili come tutta una decadenza fin dal suo inizio: ed è così che si formano le verità storiche illustri. Coi loro zoccoletti e i loro musini, fauni e satiri si ripresentavano volentieri nell'ora meridiana di quella Bisanzio fin di secolo inventariata nel gran catalogo de La carne la morte e il diavolo di Praz, e tutta intenta a riesumare il Medio Evo liturgico per profanarlo con i riti e i paramenti del Divin Marchese.
Ecco naturalmente il Fauno di Mallarmè che cavalca e attraversa la musica di Debussy per approdare sui palcoscenici di Diaghilev; e Dioniso affacciarsi con satiri e satiretti fra le pagine di Nietzsche e i cespugli di Beklin e degli altri pittori tedeschi invaghiti di melagrane e di vino nell'ora pànica. E perfino il siciliano Re Ruggero, nell'opera omonima del polacco Szimanovski, non sa resistere al richiamo dell' eterno amore in un eterno presente (ah, perpetuarli...) caldo come una notte mediterranea dionisiaca e bacchica.
Quella Bisanzio, si sa, faceva volentieri anche l'Arte per l'Arte, l'Arte sull'Arte, e una notevole meta-letteratura intrecciata alla scrittura narrativa, anche se non sempre sarà chiarissimo dove l'assenza di ironia stia sfiorando il suo opposto, l'eccesso, nell'entusiasmo del decadentismo sperimentale. E l'aspetto casalingo di talune profanazioni massime è non di rado incantevole, nel pullulio di minori intorno e sotto Villiers de l'Isle-Adam e Barbey d'Aurevilly. Nel suo catasto di sacrilegi e di satanismi, il grande Praz non manca di schedare Gourmont come "un altro di quegli scrittori di pagina lasciva e vita proba", citando brani d'una sua messa nera minuziosa e ordinata, assai remota dai beffardi capricci successivi di un Firbank, con quei cardinali che battezzano i cagnolini delle duchesse con crème de menthe, e poi via con orecchini da levatrice a battere i boulevard, decedendo infine per strip-tease fra le urne levitanti...
...Ma da parte sua T.S. Eliot preferiva frequentare Gourmont quale filosofo e fisiologo del Gusto, ispiratore di teorie insigni come i "correlativi obiettivi" e la "dissociazione della sensibilità": lo stesso Gourmont (avvertiva Gide) che si abbandona al pensiero come altri alla pigrizia e scrive come trastullandosi, mai lasciando che la convenzione guidi le scelte o consigli un amore - oggi riletto in Francia ne La culture des idèes pubblicata nella collana 10/18. Serra e Riva presentano invece (dopo Sixtine) queste invidiabili Lettere di un satiro (pagg. 120, lire 12.000), con una assai brillante traduzione e postfazione di Tiziana Goruppi. Sono dedicate all'Amazzone, cioè la famosa Nathalie Clifford Barney, cui venne anche intitolata la Lettera all'Amazzone di Marina Cvetaeva, e che teneva riunioni di baccanti internazionali a Parigi in un tempietto della centralissima rue Jacob.
Che libro per l'estate, che siesta armoniosa. Eterno come il suo presente, il satiro di Gourmont si appiatta sornionamente naif nei dintorni della società moderna dopo millenni boscherecci equivalenti a un attimo; ed esercita un suo lepido "Et in Arcadia ego" in margini civili-incivili non sprovvisti di fanciulle desiderose, che si descrivono procaci e diligenti nell'apprendere giochi meridiani: come se il fauno di Nijinskij si affacciasse a tratti dalla vestaglia di Paul Lèautaud.
E le lettere all'Amazzone sui costumi osservati con finta semplicità dal satiro evocano nella loro magrezza tutta una letteratura cospicua di rapporti di viaggiatori sulle usanze incongrue di popolazioni curiose. Ma non sono tanto "lettere persiane", queste epistole satiresche. Sono piuttosto "spiate" d'una Metalandia stralunata, dove Tolone e Montecarlo possono apparire sconclusionate e ingannevoli come la Russia al Marchese de Custine o la Cina a Simone de Beauvoir. Che trionfo della falsa spontaneità, della falsa sincerità, dell' inesperienza rovesciata, della schiettezza derisoria. Che tesori di dabbenaggine simulata per descrivere il treno, ma che reticenza dabbene e come distratta nel riferire una scena che potrebbe risultare incresciosa ai giardinetti, ov' è questione di bambine e dove risuona del tutto naturale il richiamo arcaico "al satiro! al satiro!".
Dal suo stagno via via alla Costa Azzurra, questo nostro amico Antifilo di creatura in creatura, sempre meno campestre e da pagliaio, si fidanza con un'attricetta che sta fuori tardi la sera e sembra nipotina delle attricette di Balzac. Cydalisa gli insegna anche a vestirsi e lo porta al caffè: "voglio amarti in mezzo agli uomini".
Ma che monotonia, quante noie, in città, fra il brulichio degli Yahoo di memoria gulliveriana ma senza il disgusto di Swift, questi bevono "pastis". E il fauno addomesticato e faceto comincia a tradire Cydalisa con Erebe, poi riflette sullo spleen, incontra un Diogene... Discorrono dell'amore e della ricchezza e della libertà e della schiavitù, amabilmente aforistici. Si dicono: "Siete veramente immortale, Satiro? I vostri padroni, e quelli degli uomini, i grandi dèi, sono morti...". "Il destino mi ha dimenticato, Diogene, e credo di avere dei fratelli in ogni foresta, negli antri di ogni montagna, nel fondo di ogni valle. Non li ho mai visti, ma li intuisco. Siamo le forze della natura, e se morissimo, voi sareste condannati a morte". "Lo siamo, infatti. Credo facciate confusione tra l'immortalità e la perpetuità". Sembra un rovescio di Siddharta, a tratti. "Mi accorgo - i libri me lo hanno già insegnato - che esistono tante filosofie quante sono le età e i temperamenti. Me lo ha accennato abbastanza bene, lui, con la sua teoria dei tre stadi; si desidera resistere alle passioni quando sono così deboli che basta un po' di attenzione per dominarle. Si cede loro quando sono forti, e la lotta risulta dolorosa. Le si disdegna quando hanno perso forza, e non si ha più il coraggio di rimpiangere il tempo del loro potere per paura di aver l' aria del vinto. Questo è il momento della virtù. A seconda che la società sia retta dai giovani o dai vecchi, dai deboli o dai forti, l' una o l' altra tendenza domina il mondo. E credo sia così di tutte le inclinazioni umane".
Ma Cydalisa è partita e non rientra, e dopo un'avventura con una ninfa "allumeuse" davanti al Casino di Cannes, il satiro torna al paese di Teocrito su una nave da limoni, un po' diminuito ma non civilizzato. Torna alle sue origini primitive e divine, proprio come Gourmont che intende recuperare un caro mito contro un presente incerto, osserva la Goruppi, notando la contrapposizione dello spirito pagano unitario al dualismo cristiano di coppie antinomiche quali spirito e corpo, trascendenza e immanenza, individuo e collettività, fede e sapere. Però si risentono soprattutto dietro le righe certe osservazioni sull' amore, svolte da Gourmont nel saggio La dissociazione delle idee, contro l'associazione rudimentalmente o parodisticamente religiosa fra il piacere carnale e l'idea di generazione, mentre la civiltà più alta sarà quella dove l'individuo è maggiormente libero dalle obbligazioni. E non per nulla, una tavola statistica della natalità europea, mostrerebbe un legame stretto fra la debolezza intellettuale dei popoli e il loro sovraccarico di progenitura.
Sono considerazioni che potrebbero venir riprese come passatempo da qualche lettore di Foucault. "I Greci arrivarono abbastanza tardi a disgiungere l'idea di donna e l'idea di generazione; però avevano dissociato molto anticamente l'idea di generazione e l'idea di piacere carnale. Quando cessarono di considerare la donna come unicamente generatrice, allora incominciò il regno delle cortigiane. Del resto sembra che i Greci abbiano sempre avuto una morale sessuale assai vaga, il che non impedì che facessero una certa figura nella storia. "Il cristianesimo non poteva, senza rinnegare se stesso, incoraggiare la dissociazione dell'idea di piacere carnale dall'idea di generazione, però provocò con successo, e fu una delle grandi conquiste dell'umanità, la dissociazione dell'idea di amore e dell'idea del piacere carnale. Gli Egiziani erano al contrario così lontani dal poter comprendere una tale dissociazione che l' amore tra fratello e sorella sarebbe apparso nullo se non avesse condotto a una congiunzione sessuale. Nelle classi popolari delle grandi città, si è volentieri egiziani su un tal punto". "Comme en se jouant", diceva Gide.


“la Repubblica”, 2 agosto 1984  

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