27.3.17

Inghilterra, l’ultimo gioco in città. Scopri in che classe stai (Roberta Carlini)

Frotte di capi azienda, e neanche un addetto alle pulizie. La prima notizia della più grande indagine sulle classi sociali mai compiuta è che hanno risposto alla chiamata soprattutto gli abitanti dei piani alti. La seconda è che il gioco appassiona, e tanto. Lo racconta Mike Savage, il sociologo-antropologo inglese che ha ideato e diretto il progetto contando sul potente supporto tecnico (e mediatico) della televisione pubblica inglese. «Quando la Bbc ci ha convinto ad aiutarli a disegnare la loro indagine sul web, davvero non avevamo idea dell’interesse che avrebbe generato. Chi mai poteva preoccuparsi di dedicare venti minuti del suo tempo a rispondere a una batteria di oscure domande sui propri interessi, attività nel tempo libero, gusti culturali, reti sociali e situazione economica?».
Risposta: 161.000 persone in poche settimane, solo nel primo round del questionario. Quantità poi raddoppiata con la seconda puntata dell’indagine, giustamente (data l’ampiezza) battezzata Great British Class Survey. Quando poi, sulla base di quei risultati – che già in sé davano un dataset tra i più ampi mai avuti a disposizione da uno studioso, da indagini di questo tipo – il team di Savage con il supporto tecnico della Bbc ha elaborato il “class calculator”, gli esiti sono stati ancora più sorprendenti: sette milioni di persone sono entrate nel sito per calcolare esattamente qual è la propria posizione sociale.

Tutti a teatro
Ai ricercatori del gruppo di Savage (London School of Economics) sono state riferite scenette strane: gruppi di pendolari sui treni che confrontavano i rispettivi risultati al gioco delle classi; e finanche simulazioni scolastiche, nelle quali gli studenti replicavano in aula gli schemi su cui avevano sudato i sociologi ispirati nella costruzione della propria indagine dal pensiero di Pierre Bourdieu. Un altro aneddoto racconta che nella prima settimana del sondaggione web le vendite dei biglietti del teatro a Londra sono schizzate in alto del 191%: essendo la frequentazione dei teatri uno degli elementi che andava a misurare il “capitale culturale”, che insieme a quello delle relazioni sociali e (ovviamente) al background economico era preso a criterio di misura per riscrivere le nuove classi sociali del XXI secolo.
Cosa era successo? Gli inglesi sono impazziti per le classi? Casi editoriali come il bestseller mondiale di Thomas Piketty e la sua megastoria delle diseguaglianze, episodi politici come gli strani socialisti rimbalzati sulla scena politica anglosassone, o anche successi più pop come Downton Abbey, serie tv ad alto concentrato di questioni di classe, avevano già fatto capire che la materia scalda, eccome.
Provando a distanziarsi dal sorprendente exploit della propria ricerca, Savage medita che «simbolicamente, la classe è un parafulmine delle ansie provocate dalla discrepanza tra la nostra condizione economica e le nostre aspettative». Così scrive il sociologo, nel libro da poco uscito che, a due anni di distanza dalla kermesse on line, tira le fila di quella ricerca. Il volume, Social Class in the 21st Century (Penguin books 2015), ha un titolo speculare a quello del best seller di Piketty (Il capitale nel 21mo secolo, Bompiani 2014), e volutamente: sappiamo che le diseguaglianze nella nostra parte di mondo sono aumentate, quel che vorremmo capire è come questo allargarsi della forbice tra ricchi e poveri ha cambiato e riscritto la gerarchia sociale.
Savage e i suoi usano la mega -indagine fatta con Bbc per tracciare questa mappa, e arrivano a dividere il nuovo panorama sociale in sette classi. Dunque, dimenticate il piccolo mondo antico nel quale c’era un’alta società, un ceto medio e poi la classe operaia: nella nuova classificazione, quel che somiglia di più al passato è l’élite, e lo strato inferiore che adesso viene chiamato “precariato”; nel mezzo c’è un mondo dai contorni sfumati e – questi sì – un po’ ansiogeni.
Anche perché, come si è detto in Italia per l’inflazione (quando c’era), c’è una differenza tra la classe “percepita” e quella reale, e tutto il gioco tira in ballo aspetti e aspettative che vanno ben oltre il dato meramente economico.

I campioni del campione
Un primo indizio di questa complicazione c’è già nella fisionomia dei rispondenti, e in quell’assenza, citata all’inizio, dei lavoratori delle pulizie. Non c’è nessuno che tira a lucido la casa perfetta in cui tutti vorremmo abitare? Falso, ovviamente. Così come è falso pensare che 4 inglesi su 100 fanno i Ceo, gli amministratori delegati di una qualche società: eppure le risposte al sondaggio on line diedero questo risultato, con i Ceo sovrarappresentati di almeno 20 volte, una generale iper-presenza degli esperti (professionisti, scienziati, ricercatori, giornalisti), e una sparuta pattuglia di servizi basici. Per non parlare di etnie e geografie: presentissimi bianchi e londinesi, sottostimati i non bianchi, assenti Irlanda del Nord e Scozia. Dunque, il campione della “Great Britain Class Survey” (Gbcs) non è rappresentativo, ma le sue stesse distorsioni sono significative. Ovviamente vanno corrette, e questo avviene integrando i dati del campione con quelli di altre indagini e dei censimenti: che ci permettono per esempio di dire che l’élite, la classe al top che nel campione Gbcs pesava per il 22%, è in realtà il 6% della popolazione.
Ma allo stesso tempo la survey consente di entrare nelle caratteristiche di ciascuna classe, in particolare grazie al set di domande fatte nella ricerca, che vanno a valutare non solo il “capitale economico” (reddito e ricchezza) ma anche i gusti, gli interessi e le attività culturali, nonché la rete di relazioni sociali, familiari e associative di sostegno.
È qui l’interesse principale – e la fonte del maggior rimescolamento – della ricerca. Per fare un esempio: se un nullatenente vince 1 milione di sterline alla lotteria, non è che lo troviamo dal giorno dopo nell’élite. In altre parole: «La classe sociale è collegata alla diseguaglianza. Ma non tutte le diseguaglianze economiche sono una questione di classe». Pesa «il bagaglio storico dei vantaggi accumulati nel tempo».
E allora eccole, le sette classi del XXI secolo, in ordine decrescente negli inferi sociali: l’élite, poi una classe media spaccata in due (tra quella tradizionale e consolidata, e quella “tecnica” arrivano al 31% della popolazione), i nuovi lavoratori benestanti (15%), la classe operaia tradizionale (14%), i nuovi lavoratori del terziario (19%), il precariato (15%).
L’élite non coincide con l’ormai famoso “top 1%”, quelli che stanno sul gradino più alto nella scala della ricchezza e del reddito: a fare lo status ci sono anche, oltre a soldi case e patrimoni, lo score dei contatti sociali e il capitale intellettuale, sia tradizionale che emergente. Ne consegue che all’élite così definita appartiene il 6% della popolazione britannica, reddito medio annuo di 89.000 sterline, risparmi a 142.000 e valore della casa sulle 325.000 sterline; assai concentrata a Londra, con età media di 57 anni e una percentuale di minoranze etniche al suo interno del 4%. Al polo opposto, il “precariato” (definizione preferita a quella di underclass), che pesa per il 15% della popolazione, con reddito annuo di 8.000 sterline, patrimonio prossimo allo zero, punteggi bassi in tutti gli altri campi (tranne che nel capitale culturale emergente, nel quale sta un po’ sopra la vecchia classe operaia). Età media: 50 anni. I giovani invece stanno soprattutto nella classe emergente nei servizi. Età media 32 anni, sono quasi un quinto della popolazione.
I nuovi lavoratori del terziario sono economicamente e come status al di sotto nei nuovi professionisti balzati in alto della net economy (che piuttosto si trovano nella classe media tecnica e nei nuovi lavoratori benestanti), guadagnano pochino ma comunque più della classe operaia tradizionale (21.000 sterline l’anno, contro 13.000), non hanno case né patrimoni ma hanno un alto capitale di relazioni sociali e il più alto punteggio di tutti in “capitale culturale emergente”. Mentre i nuovi lavoratori “benestanti” e la classe media tecnica hanno molti più soldi che non contatti e libri.

Emergenti ma sfigati
Insomma, se la classe non è acqua non è neanche così trasparente e limpida, quando andiamo a mettere dentro tutti i markers, non solo quelli economici. Pure, dal puzzle delle classi sociali del XXI secolo emerge qualcosa di chiaro: la polarizzazione tra élite stratosferica e precariato infimo; lo spargimento della vecchia classe media in tanti rivoli, in su e (di più) in giù; e l’emersione di una nuova categoria: giovani colti ben connessi tra loro e abbastanza poveri. Sembra di vedere qualcosa di familiare? «Non è una novità neanche per il mondo anglosassone, la laureata che va a fare la commessa», commenta il sociologo Antonio Schizzerotto, uno dei maggiori studiosi della composizione e dei movimenti delle classi sociali in Italia. Che però preferisce un ancoraggio maggiore – come da scuola tradizionale – a ciò che definisce strutturalmente una classe: l’economia, il lavoro che fai. Le altre variabili, quelle culturali e relazionali che caratterizzano il lavoro di Savage, vengono dopo, dice Schizzerotto. «Quello che è successo è che, in molti Paesi tra i quali il nostro, il settore che si è espanso di più è quello dei servizi non manuali a basso livello di qualificazione». E magari quei lavori sono stati occupati da persone con una istruzione superiore al necessario. Con una catalogazione diversa, quella tradizionale che va dagli imprenditori e liberi professionisti ai lavoratori manuali non qualificati, anche il risultato della ricerca di Schizzerotto per l’Italia accende un faro su quelli che qui si chiamano “impiegati esecutivi e lavoratori non manuali del terziario”: unica classe cresciuta, nel passaggio dalla generazione nata nel ’54-’59 a quella nata dal ’70 all’85. Nel primo gruppo, erano circa il 15%, nel secondo sono quasi il 19%. Un effetto della mancata crescita del sistema economico: «Solo le fila del proletariato dei servizi si stanno ingrossando».


Pagina 99, 30 aprile 2016

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