19.3.17

Sotto il vulcano. Effetti collaterali dell'eruzione dell'Etna (S.L.L.)

Perugia, 19 marzo 2017
L'effervescenza del vulcano, ieri, ha avuto conseguenze importanti. L'aeroporto di Fontanarossa è stato chiuso al mattino per pulire le piste e al pomeriggio non sono mancati ritardi e disagi. 
Arrivato alle sei per compiere senza patemi d'animo i riti in uso prima della partenza, prevista per le sette e trentacinque, ho subito letto sul tabellone la notizia di un ritardo in partenza. In quel momento era stimato all'incirca di un'ora, alla fine sarebbe stato di tre ore. 
Tra la gente che affolla le sale incontro una giovane donna in bianco che mi saluta: "Torna anche lei a Perugia, professore?". Lineamenti dolci, sguardo che rasserena, bassina e un po' rotondetta, è una signora di cui non voglio precisare ufficio o negozio, ma di cui ho avuto modo di apprezzare serietà, gentilezza e disponibilità e la cui età valuto di poco superiore ai trenta. Accenna ai problemi della partenza e mi presenta, non senza una punta d'orgoglio, la persona con cui va girando per l'aerostazione (“il mio ragazzo!”), un suo coetaneo alto e snello, un bell'esemplare di maschio umano che carreggia un piccolo trolley. I volti dei due sprizzano felicità. Immagino che solo lei parta, visto l'unico bagaglio, e che quel ritardo sia stato per loro una sorta di regalo, un imprevisto graditissimo prolungamento della gioia di stare insieme.
Di certo nelle ore di attesa non ho notato la biancovestita tra la folla in attesa al punto di imbarco, partecipe del diffuso nervosismo, intenta a costruire e a sciogliere file, a interrogare quadri luminosi, ad ascoltare e tentare di capire annunci vocali disturbati. L'ho rivista solo a mezzanotte, all'arrivo a Perugia, sorridente tra la gente che si lamentava. Nel suo sguardo mi è sembrato tuttavia di scorgere un velo di nostalgia.
Un'altra donna ho notato nel viaggio, bionda, piccolina, lunghi capelli arricciati, naso pizzuto, abbigliamento teso a sottolineare i richiami sessuali del corpo, forse un po' meno giovane dell'altra, ma di sicuro sotto i quaranta. Viaggiava da sola e non nascondeva un certo dispetto per quanto stava accadendo. Al bar dove in tanti siamo andati a rifocillarci si lamentava del prezzo del cappuccino (1 euro e 80 centesimi) con il giovane banconista addetto al caffè, diceva – acida - che a Perugia con quella cifra lei faceva l'intera colazione. Il ragazzo (che tra l'altro mi ha servito a sorpresa un caffè molto gustoso e profumato) tentava di spiegare (“siamo in aeroporto, i costi dell'affitto ...”), ma senza successo. Forse nel viaggio di colei qualcosa non aveva funzionato: un colloquio di lavoro, un affare, una eredità, una relazione sentimentale. Azzardo un'ipotesi: la donna aveva fatto, profittando dei buoni prezzi dei passaggi aerei, una gita di piacere in Sicilia, era arrivata a Catania nell'intento di “acchiappare” qualche maschio isolano, ma era stato un viaggio a vuoto. L'ipotesi non ha alcun fondamento, se non la presunzione di riconoscere, forte dei miei anni, “chiappini” e “chiappine”, uomini e donne che in vacanza, in viaggio, vanno a caccia e che non di rado riescono a trovare prede, liete peraltro d'essere cacciate. Dagli incontri andati a buon fine possono scaturire tante cose: scopate, in primo luogo, più o meno soddisfacenti, ma anche conoscenze, di persone, abitudini, mentalità, scambi intellettuali e relazioni amicali, persino l'amore, seppure assai raramente. Non sono stato mai un “chiappino”, per fedeltà, per timidezza, per pigrizia (mi piacerebbe essere preda), ma conosco il tipo e so che può avere una sua dignità. Quella signora no, o non ieri almeno: ce l'aveva con la Sicilia, con i siciliani, quasi che fossero, tutti quanti, colpevoli della sua caccia sfortunata.
Un'ultima nota. 
Nell'aeroporto fanno bella mostra di sé i manifestini in molte lingue di un progetto internazionale “contro il turismo sessuale”. Il senso dell'iniziativa è esplicitato dal sottotitolo che parla di tutela dei diritti minorili e dall'immagine di due bambini che governano un aquilone. 
Quanto avviene in certi paesi poveri del mondo è orribile e disgustoso, e fanno schifo gli individui danarosi che dall'Occidente o dalla Cina vanno lì a compiere atti di inqualificabile violenza sulle persone più indifese. Qualcosa, tuttavia, nell'iniziativa non mi convince: "turismo sessuale" non è solo quello dei depravati che alimentano la piaga purulenta della prostituzione minorile, o quello mosso dalla prostituzione “tout court”, esplicita o mascherata, comunque segno di feroci disuguaglianze e ingiustizie sociali. C'è anche un “turismo sessuale” che non merita condanne: quello di coppie che nel viaggio cercano (e a volte trovano) un livello di reciproca attrazione, di disponibilità alla sperimentazione erotica, di soddisfazione, che nella stasi e nella routine sarebbe impensabile; e quello di “chiappini” e “chiappine”, che hanno diritto a inseguire, sulle spiagge rinomate come in montagna, negli ameni paesini come nelle città d'arte, relazioni non mercenarie, anche se spesso risultano squallide. 
Bisogna prestare più attenzione all'uso delle parole. Una condanna generalizzata del “turismo sessuale” è una stupidaggine, a meno che non sottenda un'ipotesi di “restaurazione”, il ritorno a forme generalizzate di repressione e di oppressione sessuale.

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