13.3.17

Manganelli ed altri. La vocazione a vivere nei testi degli altri (Mariarosa Bricchi)

Giorgio Manganelli (a destra) a una riunione einaudiana
nel 1975.   Tra gli altri Italo Calvino e Natalia Ginzburg
Manuali di editoria in tempo di crisi? Macchine nostalgiche? Oggetti contundenti piuttosto, che, mentre pacatamente raccontano, raccomandano a gran voce un modo e un mondo. Sono appena usciti tre libri che arrivano dallo stesso quartiere della cultura letteraria, quello dove alloggiano storie e memorie editoriali. Gli autori sono uno scrittore che si cimenta con l’editoria e due editori che si misurano con la scrittura.
Estrosità rigorose di un consulente editoriale di Giorgio Manganelli (Adelphi) è una raccolta di pareri di lettura, valutazioni di traduzioni altrui, quarte di copertina, lettere. Una mole di scritti che ridisegna il profilo di Manganelli: si sapeva di una militanza editoriale in veste di consulente ma, prima di questo libro, il livello del coinvolgimento e la sua influenza nella storia dello scrittore erano poco noti. Una zona opaca che è bene si sia rischiarata: a partire dal 1961, per un trentennio, Manganelli collaborò dapprima con Garzanti; quindi con Einaudi (il periodo più lungo e fecondo); brevemente con Mondadori; infine con Adelphi. Una presenza sparpagliata e densa, una serie di opinioni su libri importanti, un esercizio di lettura e di scrittura che ha contribuito a fare di Manganelli quello che è stato: un frequentatore fazioso e bulimico di libri altrui che, appassionatamente macinati, generavano scrittura. E, per chi legge, un centrifugato di piacere. La forma breve dei giudizi si addice al consulente, capace di sintesi puntute e abilissimo a compendiare la sua stessa maniera: non c’è riga che non brilli di estri adescatori, di fuochi d’artificio lessicali, di affermazioni spiazzanti. A sua volta Salvatore Silvano Nigro, curatore di questo e di altri inediti di quella che è stata definita la strepitosa giovinezza postuma di Manganelli, non si è limitato a costruire un libro che non esisteva. Avvalendosi della sua competenza filologica, ma anche di invenzioni architettoniche che costeggiano e doppiano la fantasia dell’autore stesso, Nigro ha infatti allestito un testo ipermanganelliano, una versione intensificata di quella voce già così peculiare.
Leggere Manganelli è una droga. Scatena un appetito che si sazia solo di cibo speziato e può disabituare al gusto della pagina piana. Ma se si posano le Estrosità rigorose e si atterra sulla prosa di Kurt Wolff, il grande editore che nella Germania weimariana pubblicò Kafka, Werfel, Trakl, Walser e importò nell’America degli anni ‘40 e ‘50 Valéry, Broch e le fiabe dei fratelli Grimm, sembra di toccare solo un’altra stazione dello stesso viaggio. Anche le Memorie di un editore di Wolff è un libro che l’autore non sapeva di avere scritto. Raccolta di una serie di conversazioni radiofoniche e di alcuni ritratti di scrittori, il testo fu assemblato negli anni ‘60 da un altro editore, Klaus Wagenbach, e viene ora tradotto in italiano come primo titolo della nuova casa editrice Giometti & Antonello.
Manganelli esibisce, nei suoi scritti editoriali, una scanzonata serietà; filtra la passione attraverso l’irriverenza. Gli scherzi coi colleghi einaudiani sono continui: un falsetto che rimanda l’immagine di austeri signori vestiti di grigio che fanno battute da ginnasiali. Kurt Wolff di scherzare non ne ha voglia: la sua prosa è composta, appena sentenziosa; il suo amore per i libri è rigido e affabile. Al dialogo in presa diretta del consulente coi suoi editori si sostituisce lo scambio dell’editore con i suoi scrittori: rispettoso, autorevole, addirittura cavalleresco nella scelta ideologica di rinunciare al diritto di opzione, per lasciare liberi gli autori di continuare a pubblicare con lui solo se lo desiderano. Una piccola epica del lavoro ben fatto che cattura il lettore di oggi e lo irretisce col fascino di una sapienza tranquilla.
Ma ecco arriva un altro modo ancora di raccontare la buona editoria: leggero, pieno di svagata eleganza. Nel libro Autobiografia di una femminista distratta, appena uscito per Nottetempo, Laura Lepetit, femminista allegra ed editore chiaroveggente, parla della sua vita passata e, tra amiche, gatti e letture, lascia affiorare un ritratto della casa editrice che ha fondato nel 1975, La Tartaruga. Anche in questo caso il catalogo è tale da consegnare alla storia la signora che lo ha assemblato e le sue autrici, tra le quali i premi Nobel che Lepetit ha portato in Italia anni prima della consacrazione a Stoccolma: Nadine Gordimer, Doris Lessing e Alice Munro.
Tre modi, tra i mille possibili, di ripercorrere vite forgiate dalla lettura, che condividono un solo aspetto, l’unico che conta: una passione che ha generato qualità. Che è anche il denominatore occulto dei libri di editoria che è bello leggere e studiare. Legati a stagioni che non potrebbero essere più lontane, Laura Lepetit, Giorgio Manganelli e Kurt Wolff appartengono alla razza di quelli che Valentino Bompiani, con formula poi fortunata, chiamava “editori protagonisti”, perché tutti hanno riversato nell’editoria gusti, attitudini, insofferenze molto private e poco omologate. Più facile farlo, si dirà, per chi è editore in proprio, come sono stati Wolff e Lepetit. Manganelli invece ha lavorato per le grandi aziende. Ma il ruolo di estensore di pareri e valutazioni che altri avrebbero usato per decidere nulla toglie all’investimento, intellettuale e verbale, profuso negli scritti d’ufficio.
Come tutti i libri che parlano di editoria, anche questi hanno effetti collaterali. Il primo: rimettono in circolo i libri di cui parlano. Vien voglia di riscoprire le belle scelte della Tartaruga, un catalogo ormai disseminato tra altri editori che ne hanno ripreso singoli titoli. Poi ci sono gli autori di Kurt Wolff, giovanotti impacciati nello spedire all’ufficio di Lipsia il primo manoscritto, e oggi, anche grazie al loro editore, classici del Novecento.
E infine gli scrittori inglesi che Manganelli bersaglia di aggettivi ambiguamente attraenti. Sfilano definizioni come losco, agile, scontroso, ribaldo, frivolo, astratto: quasi inevitabile mettersi in cerca dei romanzi che se ne fregiano e imbattersi in una costellazione di scrittori fortunati tra gli anni ’60 e ’70, alcuni dei quali sono, oggi, meno popolari ma forse non meno interessanti. E destinati, magari, a seconde vite. Come accade a volte nell’avventuroso mondo dei libri, che è fatto di due materie solo in apparenza inconciliabili, accensioni e lunga pazienza.

Pagina 99, 11 giugno 2016

Nessun commento:

statistiche