14.3.17

Alla Baronessa Della Marra. Supplica. Una poesia di Gabriele D'Annunzio

Mia dolce Baronessa,
non mi sarà concessa
dunque una scrivania
che in tutto degna sia
dello scrittor famoso?
L'animo generoso
non muoveranno i versi
supplici? Dunque apersi
invano la mia vena?
O amica, gratia piena,
non mi fate languire
per quelle cento lire
che l'antiquario chiede!
Voi sarete l'erede
del morituro sposo.
Domani un prodigioso
flutto d'oro le casse
v'empirà senza tasse...
Che sono, dunque, cento
lire buttate al vento?
Deh, fate che domani
sera le belle mani
baronali io vi possa
baciare! Non vi ho mossa
la pietà nel pio cuore?
Orrore! Orrore! Orrore!
E dunque un cor di pietra
che né pure la cetra
d'Orfeo discioglierebbe?
Ahi me, chi mai l'avrebbe
immaginato? Addio,
Baronessa crudele.
Misero Gabriele!
Nella sua innocenza
egli resterà senza
scrivania. Per cento
lire! Per sole cento
lire! Per cento lire
sole! Ah, meglio morire!
Il vostro cor m'ascolta?
Questa è l'ultima volta,
l'ultima volta sia.
Voglio la scrivania,
quella di cento lire;
o pur voglio morire.


1892

da Tutte le poesie, vol.III, Newton Compton, 1995

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