Frotte di capi azienda, e
neanche un addetto alle pulizie. La prima notizia della più grande
indagine sulle classi sociali mai compiuta è che hanno risposto alla
chiamata soprattutto gli abitanti dei piani alti. La seconda è che
il gioco appassiona, e tanto. Lo racconta Mike Savage, il
sociologo-antropologo inglese che ha ideato e diretto il progetto
contando sul potente supporto tecnico (e mediatico) della televisione
pubblica inglese. «Quando la Bbc ci ha convinto ad aiutarli a
disegnare la loro indagine sul web, davvero non avevamo idea
dell’interesse che avrebbe generato. Chi mai poteva preoccuparsi di
dedicare venti minuti del suo tempo a rispondere a una batteria di
oscure domande sui propri interessi, attività nel tempo libero,
gusti culturali, reti sociali e situazione economica?».
Risposta: 161.000 persone
in poche settimane, solo nel primo round del questionario. Quantità
poi raddoppiata con la seconda puntata dell’indagine, giustamente
(data l’ampiezza) battezzata Great British Class Survey. Quando
poi, sulla base di quei risultati – che già in sé davano un
dataset tra i più ampi mai avuti a disposizione da uno studioso, da
indagini di questo tipo – il team di Savage con il supporto tecnico
della Bbc ha elaborato il “class calculator”, gli esiti sono
stati ancora più sorprendenti: sette milioni di persone sono entrate
nel sito per calcolare esattamente qual è la propria posizione
sociale.
Tutti a teatro
Ai ricercatori del gruppo
di Savage (London School of Economics) sono state riferite scenette
strane: gruppi di pendolari sui treni che confrontavano i rispettivi
risultati al gioco delle classi; e finanche simulazioni scolastiche,
nelle quali gli studenti replicavano in aula gli schemi su cui
avevano sudato i sociologi ispirati nella costruzione della propria
indagine dal pensiero di Pierre Bourdieu. Un altro aneddoto racconta
che nella prima settimana del sondaggione web le vendite dei
biglietti del teatro a Londra sono schizzate in alto del 191%:
essendo la frequentazione dei teatri uno degli elementi che andava a
misurare il “capitale culturale”, che insieme a quello delle
relazioni sociali e (ovviamente) al background economico era preso a
criterio di misura per riscrivere le nuove classi sociali del XXI
secolo.
Cosa era successo? Gli
inglesi sono impazziti per le classi? Casi editoriali come il
bestseller mondiale di Thomas Piketty e la sua megastoria delle
diseguaglianze, episodi politici come gli strani socialisti
rimbalzati sulla scena politica anglosassone, o anche successi più
pop come Downton Abbey, serie tv ad alto concentrato di questioni di
classe, avevano già fatto capire che la materia scalda, eccome.
Provando a distanziarsi
dal sorprendente exploit della propria ricerca, Savage medita che
«simbolicamente, la classe è un parafulmine delle ansie provocate
dalla discrepanza tra la nostra condizione economica e le nostre
aspettative». Così scrive il sociologo, nel libro da poco uscito
che, a due anni di distanza dalla kermesse on line, tira le fila di
quella ricerca. Il volume, Social Class in the 21st Century
(Penguin books 2015), ha un titolo speculare a quello del best seller
di Piketty (Il capitale nel 21mo secolo, Bompiani 2014), e
volutamente: sappiamo che le diseguaglianze nella nostra parte di
mondo sono aumentate, quel che vorremmo capire è come questo
allargarsi della forbice tra ricchi e poveri ha cambiato e riscritto
la gerarchia sociale.
Savage e i suoi usano la
mega -indagine fatta con Bbc per tracciare questa mappa, e arrivano a
dividere il nuovo panorama sociale in sette classi. Dunque,
dimenticate il piccolo mondo antico nel quale c’era un’alta
società, un ceto medio e poi la classe operaia: nella nuova
classificazione, quel che somiglia di più al passato è l’élite,
e lo strato inferiore che adesso viene chiamato “precariato”; nel
mezzo c’è un mondo dai contorni sfumati e – questi sì – un
po’ ansiogeni.
Anche perché, come si è
detto in Italia per l’inflazione (quando c’era), c’è una
differenza tra la classe “percepita” e quella reale, e tutto il
gioco tira in ballo aspetti e aspettative che vanno ben oltre il dato
meramente economico.
I campioni del
campione
Un primo indizio di
questa complicazione c’è già nella fisionomia dei rispondenti, e
in quell’assenza, citata all’inizio, dei lavoratori delle
pulizie. Non c’è nessuno che tira a lucido la casa perfetta in cui
tutti vorremmo abitare? Falso, ovviamente. Così come è falso
pensare che 4 inglesi su 100 fanno i Ceo, gli amministratori delegati
di una qualche società: eppure le risposte al sondaggio on line
diedero questo risultato, con i Ceo sovrarappresentati di almeno 20
volte, una generale iper-presenza degli esperti (professionisti,
scienziati, ricercatori, giornalisti), e una sparuta pattuglia di
servizi basici. Per non parlare di etnie e geografie: presentissimi
bianchi e londinesi, sottostimati i non bianchi, assenti Irlanda del
Nord e Scozia. Dunque, il campione della “Great Britain Class
Survey” (Gbcs) non è rappresentativo, ma le sue stesse distorsioni
sono significative. Ovviamente vanno corrette, e questo avviene
integrando i dati del campione con quelli di altre indagini e dei
censimenti: che ci permettono per esempio di dire che l’élite, la
classe al top che nel campione Gbcs pesava per il 22%, è in realtà
il 6% della popolazione.
Ma allo stesso tempo la
survey consente di entrare nelle caratteristiche di ciascuna
classe, in particolare grazie al set di domande fatte nella ricerca,
che vanno a valutare non solo il “capitale economico” (reddito e
ricchezza) ma anche i gusti, gli interessi e le attività culturali,
nonché la rete di relazioni sociali, familiari e associative di
sostegno.
È qui l’interesse
principale – e la fonte del maggior rimescolamento – della
ricerca. Per fare un esempio: se un nullatenente vince 1 milione di
sterline alla lotteria, non è che lo troviamo dal giorno dopo
nell’élite. In altre parole: «La classe sociale è collegata alla
diseguaglianza. Ma non tutte le diseguaglianze economiche sono una
questione di classe». Pesa «il bagaglio storico dei vantaggi
accumulati nel tempo».
E allora eccole, le sette
classi del XXI secolo, in ordine decrescente negli inferi sociali:
l’élite, poi una classe media spaccata in due (tra quella
tradizionale e consolidata, e quella “tecnica” arrivano al 31%
della popolazione), i nuovi lavoratori benestanti (15%), la classe
operaia tradizionale (14%), i nuovi lavoratori del terziario (19%),
il precariato (15%).
L’élite non coincide
con l’ormai famoso “top 1%”, quelli che stanno sul gradino più
alto nella scala della ricchezza e del reddito: a fare lo status ci
sono anche, oltre a soldi case e patrimoni, lo score dei contatti
sociali e il capitale intellettuale, sia tradizionale che emergente.
Ne consegue che all’élite così definita appartiene il 6% della
popolazione britannica, reddito medio annuo di 89.000 sterline,
risparmi a 142.000 e valore della casa sulle 325.000 sterline; assai
concentrata a Londra, con età media di 57 anni e una percentuale di
minoranze etniche al suo interno del 4%. Al polo opposto, il
“precariato” (definizione preferita a quella di underclass), che
pesa per il 15% della popolazione, con reddito annuo di 8.000
sterline, patrimonio prossimo allo zero, punteggi bassi in tutti gli
altri campi (tranne che nel capitale culturale emergente, nel quale
sta un po’ sopra la vecchia classe operaia). Età media: 50 anni. I
giovani invece stanno soprattutto nella classe emergente nei servizi.
Età media 32 anni, sono quasi un quinto della popolazione.
I nuovi lavoratori del
terziario sono economicamente e come status al di sotto nei nuovi
professionisti balzati in alto della net economy (che piuttosto si
trovano nella classe media tecnica e nei nuovi lavoratori
benestanti), guadagnano pochino ma comunque più della classe operaia
tradizionale (21.000 sterline l’anno, contro 13.000), non hanno
case né patrimoni ma hanno un alto capitale di relazioni sociali e
il più alto punteggio di tutti in “capitale culturale emergente”.
Mentre i nuovi lavoratori “benestanti” e la classe media tecnica
hanno molti più soldi che non contatti e libri.
Emergenti ma
sfigati
Insomma, se la classe non
è acqua non è neanche così trasparente e limpida, quando andiamo a
mettere dentro tutti i markers, non solo quelli economici. Pure, dal
puzzle delle classi sociali del XXI secolo emerge qualcosa di chiaro:
la polarizzazione tra élite stratosferica e precariato infimo; lo
spargimento della vecchia classe media in tanti rivoli, in su e (di
più) in giù; e l’emersione di una nuova categoria: giovani colti
ben connessi tra loro e abbastanza poveri. Sembra di vedere qualcosa
di familiare? «Non è una novità neanche per il mondo anglosassone,
la laureata che va a fare la commessa», commenta il sociologo
Antonio Schizzerotto, uno dei maggiori studiosi della composizione e
dei movimenti delle classi sociali in Italia. Che però preferisce un
ancoraggio maggiore – come da scuola tradizionale – a ciò che
definisce strutturalmente una classe: l’economia, il lavoro che
fai. Le altre variabili, quelle culturali e relazionali che
caratterizzano il lavoro di Savage, vengono dopo, dice Schizzerotto.
«Quello che è successo è che, in molti Paesi tra i quali il
nostro, il settore che si è espanso di più è quello dei servizi
non manuali a basso livello di qualificazione». E magari quei lavori
sono stati occupati da persone con una istruzione superiore al
necessario. Con una catalogazione diversa, quella tradizionale che va
dagli imprenditori e liberi professionisti ai lavoratori manuali non
qualificati, anche il risultato della ricerca di Schizzerotto per
l’Italia accende un faro su quelli che qui si chiamano “impiegati
esecutivi e lavoratori non manuali del terziario”: unica classe
cresciuta, nel passaggio dalla generazione nata nel ’54-’59 a
quella nata dal ’70 all’85. Nel primo gruppo, erano circa il 15%,
nel secondo sono quasi il 19%. Un effetto della mancata crescita del
sistema economico: «Solo le fila del proletariato dei servizi si
stanno ingrossando».
Pagina 99, 30 aprile 2016
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