26.3.17

Nodo verghiano (Alberto Asor Rosa)

È ormai quasi un luogo comune dire di Giovanni Verga che è un autore particolarmente "reattivo" nelle operazioni della critica, e destinato a segnare i passaggi e i mutamenti dei vari metodi di volta in volta dominanti, ostentando una capacità di trasformazione in taluni casi addirittura radicale della sua immagine. È vero però che nella struttura della sua opera c'è qualcosa di difficilmente incasellabile: un elemento di eterodossia creativa e di genio antiscolastico, che spesso conduce, da premesse teoriche in apparenza chiare (ma spesso solo in apparenza), a esiti davvero imprevedibili.
Queste infrazioni della norma, che costellano il percorso tutt'altro che lineare della sua carriera di scrittore, fondano poi la ricerca anche di ciascuno dei suoi romanzi e delle sue novelle maggiori. In breve, si potrebbe sintetizzare la questione osservando che, se la stagione naturalistico-veristica può aver prodotto in Europa opere più importanti dei Malavoglia (ma l'affermazione sarebbe da dimostrare), certamente non ne ha prodotto una che le assomigli.
Questa "unicità" dell'esperienza verghiana nei suoi momenti più alti deve pur avere delle ragioni: solo che, come la ricerca critica degli ultimi settant' anni dimostra, sono difficili da trovare; e nel tentativo di trovarle, più o meno ingegnosamente, buona parte di questa ricerca consiste. Una nuova tappa di questo percorso è individuata, segnalata e discussa da Vitilio Masiello in Il punto su Verga (Laterza). L'autore vi presenta una scelta, utilissima, di dichiarazioni di poetica, talvolta poco note o poco reperibili, dello stesso Verga, e un'antologia degli interpreti verghiani dell' ultimo decennio. Ma soprattutto vi premette un' introduzione densissima, in cui non si limita a descrivere e discutere le posizioni degli altri critici, ma espone, attraverso un serrato confronto, le sue riflessioni più recenti, utilizzando al tempo stesso l'occasione (se non erro) per sottoporre a revisione e approfondimento le sue stesse posizioni metodologiche.
È difficile riesporre con chiarezza e sinteticamente la "linea" complessa del discorso di Masiello. Direi che i rilievi più interessanti sono due. Masiello mette bene in luce come, a partire dal dibattito apertosi all'interno del "marxismo critico" nel corso degli anni 60, sia venuto sempre più imponendosi un Verga deideologizzato e "letterario", su cui gli strumenti della nuova critica formale, psicanalitica e antropologica, hanno fatto alcune delle loro prove migliori. Potremmo a nostra volta osservare che, in tal modo, alcune delle questioni che erano state dibattute in precedenza con passione polemica anche eccezionale - come il problema dei rapporti tra "ideologia" e "letteratura" - hanno perso quasi senso, mentre ha assunto rilievo preminente il problema di mettere in luce le "logiche interne" di costruzione (peculiarissime, appunto, come dicevamo) del "raccontare" verghiano. Queste procedure hanno conquistato anche autori che, nel dibattito precedente, si erano segnalati per il forte rilievo delle posizioni ideologico-letterarie sostenute (vedi ad esempio Romano Luperini). Ma, da questo punto di vista, si veda anche con quanta misura nuove tecniche e osservazione testuale si combinino nei brani qui raccolti di autori come Pirodda, Baldi e Guido Guglielmi.
Per quanto riguarda poi il curatore del volume, a me pare che Masiello, riprendendo alcuni dei punti d'arrivo migliori della critica precedente, e al tempo stesso assecondando con persuasione il movimento complessivo della critica fin qui descritto, si sforza, in una specie di paziente faccia a faccia, di ricondurre anche le letture più spregiudicatamente innovative dentro un alveo di "storicità contestuale". Ribadito con forza quel che sembra ormai un topos irrinunciabile di ogni critica verghiana - e cioè che "l'assenza di ogni ideologia progressista e la concezione duramente materialistica, disperatamente pessimistica della realtà costituiscono le condizioni attive e le ragioni della grandezza dell'arte verghiana" - Masiello pone il problema teorico-critico di capire quali siano le forme concrete (anche interne al testo, beninteso), in cui il meccanismo descritto e le "condizioni" sopra accennate entrano, per così dire, "in movimento": al di fuori di ogni astrattezza e di ogni settarismo metodico. È un quesito che una critica letteraria dal forte impianto "storico" non smette, legittimamente, di porre alle esperienze più intelligenti ed avanzate della critica cosiddetta formale.


“la Repubblica”, 7 marzo 1986  

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