Winckelmann era morto da
diciannove anni quando, nel 1787, Goethe si trovava a Roma e prendeva
appunti per quello che sarebbe stato pubblicato, anni dopo, come il
diario del Viaggio in Italia. In quel testo compiva una
mirabile sintesi del contributo che l’antiquario tedesco aveva dato
allo studio dell’antichità: “Fu Winckelmann per primo a farci
sentire la necessità di distinguere tra varie epoche e a tracciare
la storia degli stili nella loro graduale crescita e decadenza”.
L’idea della storia come processo di “crescita e decadenza”
risaliva a secoli prima, ma la definizione di una storia degli stili
coniugata a un modello ciclico delle umane vicende non era stato,
prima di allora, organizzato in termini così sistematici. Un
modello destinato a un’ampia e prolungata fortuna a cui non
corrispose nel tempo altrettanta attenzione al suo autore, tranne
per alcuni studi fondamentali soprattutto in ambito tedesco. Solo
negli ultimi decenni, al contrario, l’attenzione degli studiosi si
è fin troppo concentrata sulla personalità dell’antiquario (nato
nel 1717 nella Marca di Brandeburgo da un’umile famiglia di
calzolai) a scapito però di una ricostruzione capillare del
ricchissimo contesto di storici, eruditi, antiquari nel quale
Winckelmann era immerso e al quale faceva esplicito o implicito
riferimento. Non si può dunque che salutare con immensa gratitudine
l’edizione critica, voluta dall’Istituto italiano di studi
germanici, e magistralmente curata dalla germanista Maria Fancelli e
dalla storica dell’arte Joselita Raspi Serra, del corpus completo
delle lettere di Winckelmann, dal 1742 al 1768, in tre volumi,
tradotto in italiano. L’opera, corredata da schede filologiche a
commento di ogni epistola, è completata da un prezioso indice dei
nomi che consente l’uso trasversale e tematico della monumentale
impresa.
La ricerca della
libertà
Senza dubbio però la
sequenza cronologica e l’uniformità linguistica delle missive
inducono a una prima lettura sequenziale, come si trattasse di un
romanzo epistolare, genere molto in voga nel Settecento europeo. Un
approccio, questo, che restituisce con grande immediatezza la
biografia intellettuale e umana del protagonista. Le sue difficoltà
e i ripensamenti nelle fasi operative (“Quante volte ho ricopiato
la mia Storia dell’Arte e quanti primi abbozzi di questo lavoro”)
ma anche aspetti molto materiali come quel costante, a volte
ossessivo, problema di denaro, che non è mai sufficiente soprattutto
nei primi tempi, neppure per comprarsi un abito. Tanto meno lo è per
garantirsi la vecchiaia. Nel passaggio da Dresda a Roma si coglie un
lieve allentarsi delle apprensioni, che poi nel tempo si diradarono
sempre più ma mai del tutto. L’assillo era dato anche dalla
volontà di lasciare traccia di sé nelle vicende culturali presenti
e future. Risoluta appare la sua ricerca, più volte proclamata, di
spazi di “libertà” intellettuale e personale, proprio perché la
sua vita dipendeva, naturalmente, dalla generosità dei vari
mecenati, compresa quella del cardinal Alessandro Albani.
Solo con costui in
effetti Winckelmann raggiunse “la massima libertà di studiare” e
arrivò a considerarsi una “delle rare persone al mondo che sono
perfettamente felici”. Però la sua vita non risulta mai
perfettamente felice. Anche la sua amicizia più forte, quella con il
pittore boemo Anton Raphael Mengs, fu segnata da momenti di tensioni
e da ombre. All’artista però riconosceva il merito di avergli
fatto acquistare un po’ di tranquillità e soprattutto di avergli
dato “l’occasione di conoscere i segreti dell’arte antica”.
Le lettere documentano il lungo e travagliato sodalizio.
Testimoniano, allo stesso tempo, le inclinazioni di uno studioso
diffidente e poco generoso, come nel suo difficile rapporto con
Anne-Claude-Philippe Caylus, di cui respinse i tentativi di accedere
alla collezione Albani perché riteneva di essere l’unico ad avere
il diritto di studiarne le opere.
L’esperienza
romana
Accanto alla
ricostruzione biografica, quest’opera si offre a letture assai
differenziate. Nei tre volumi, ma soprattutto nel secondo e nel
terzo, grande evidenza ha la città di Roma, pulsante di presenze e
di scambi culturali, ma anche ritratta nella sua fisicità.
All’intollerabile frastuono della Roma popolare, anche notturna, fa
da contraltare l’incanto dei panorami godibili dalle abitazioni
aristocratiche. “Dalla mia stanza [in palazzo Albani]abbraccio
tutta Roma con uno sguardo”. Al lamento per l’eccessivo costo dei
Caffè, si contrappone l’estasi nelle sale del Museo Capitolino,
aperto “dalla mattina alla sera” agli artisti e agli eruditi da
poco più di due decenni. E ancora, la presenza di stranieri
altolocati o studiosi celebri, che garantiscono una rete di scambi e
d’incontri e che a volte si traducono in amicizie a lungo termine.
Stranieri a cui Winckelmann faceva volentieri da “cicerone”, come
molti altri eruditi, antiquari, mercanti d’arte attivi nella
capitale pontificia.
Le pagine di quest’opera
sono popolate anche da personaggi che hanno avuto una sporadica
frequentazione con lo studioso ma che sono stati presenze
significative a Roma, magari solo per qualche anno. Si pensi al più
volte ricordato Robert Adam, grande architetto scozzese, amico di
Piranesi. Winckelmann ebbe modo di analizzare e di apprezzare sia il
magnifico corredo di immagini che i testi della sua opera dedicata al
Palazzo di Diocleziano in Dalmazia. Lui, che era sempre assillato
dalle difficoltà editoriali e soprattutto dal dover provvedere ai
costi delle illustrazioni. Dalle lettere affiora anche l’attività
clandestina di chi scavava illegalmente: le “spie antiquarie” di
cui si serviva il cardinal Albani, per ampliare la sua collezione. E
tanti altri temi ancora possono essere ricostruiti con l’aiuto
delle schede e dell’indice dei nomi. Tra questi il restauro, i
falsi, il crudele tranello teso a Winckelmann dall’amico Mengs e da
Giovanni Casanova con “ritrovamento” del finto affresco “antico”
con Giove e Ganimede, opera in realtà dipinta dallo stesso Mengs. E
ancora, le mansioni, non gravose, del Prefetto delle antichità di
Roma, carica che Winckelmann ricoprì dal 1763, quasi una sine cura.
E infine la vita quotidiana e i ritrovamenti, in città care
all’antiquario, come Firenze ma soprattutto Napoli. Uno strumento
d’indagine per percorsi incrociati che contribuirà di sicuro agli
studi su quei decenni e potrà coinvolgere piacevolmente anche un
pubblico di lettori curiosi.
L'Indice dei libri del
mese, Marzo 2017
Nessun commento:
Posta un commento