Franz Xaver Bergmann, Satiro e Ninfa (1900 circa) |
Ah, perpetuare quelle
ninfe, e anche quei fauni, nella Bisanzio del simbolismo e del
decadentismo europeo... Già, viene chiamata Bisanzio (anche da Mario
Praz) quella serra calda di Moreau e Huysmans e Rops e Schwob e Pater
e Beardsley, e di Wagner e di D'Annunzio - annota Remy de Gourmont -
perché la nostra Europa, avendo avuto per tanto tempo sott'occhio la
decadenza di Bisanzio, ha formato l'associazione di idee
Bisanzio-Decadenza che si è estesa quale luogo comune all'Impero
romano tutto intero, visto da storici rispettabili come tutta una
decadenza fin dal suo inizio: ed è così che si formano le verità
storiche illustri. Coi loro zoccoletti e i loro musini, fauni e
satiri si ripresentavano volentieri nell'ora meridiana di quella
Bisanzio fin di secolo inventariata nel gran catalogo de La carne
la morte e il diavolo di Praz, e tutta intenta a riesumare il
Medio Evo liturgico per profanarlo con i riti e i paramenti del Divin
Marchese.
Ecco naturalmente il
Fauno di Mallarmè che cavalca e attraversa la musica di
Debussy per approdare sui palcoscenici di Diaghilev; e Dioniso
affacciarsi con satiri e satiretti fra le pagine di Nietzsche e i
cespugli di Beklin e degli altri pittori tedeschi invaghiti di
melagrane e di vino nell'ora pànica. E perfino il siciliano Re
Ruggero, nell'opera omonima del polacco Szimanovski, non sa resistere
al richiamo dell' eterno amore in un eterno presente (ah,
perpetuarli...) caldo come una notte mediterranea dionisiaca e
bacchica.
Quella Bisanzio, si sa,
faceva volentieri anche l'Arte per l'Arte, l'Arte sull'Arte, e una
notevole meta-letteratura intrecciata alla scrittura narrativa, anche
se non sempre sarà chiarissimo dove l'assenza di ironia stia
sfiorando il suo opposto, l'eccesso, nell'entusiasmo del decadentismo
sperimentale. E l'aspetto casalingo di talune profanazioni massime è
non di rado incantevole, nel pullulio di minori intorno e sotto
Villiers de l'Isle-Adam e Barbey d'Aurevilly. Nel suo catasto di
sacrilegi e di satanismi, il grande Praz non manca di schedare
Gourmont come "un altro di quegli scrittori di pagina lasciva e
vita proba", citando brani d'una sua messa nera minuziosa e
ordinata, assai remota dai beffardi capricci successivi di un
Firbank, con quei cardinali che battezzano i cagnolini delle duchesse
con crème de menthe, e poi via con orecchini da levatrice a battere
i boulevard, decedendo infine per strip-tease fra le urne
levitanti...
...Ma da parte sua T.S.
Eliot preferiva frequentare Gourmont quale filosofo e fisiologo del
Gusto, ispiratore di teorie insigni come i "correlativi
obiettivi" e la "dissociazione della sensibilità": lo
stesso Gourmont (avvertiva Gide) che si abbandona al pensiero come
altri alla pigrizia e scrive come trastullandosi, mai lasciando che
la convenzione guidi le scelte o consigli un amore - oggi riletto in
Francia ne La culture des idèes pubblicata nella collana
10/18. Serra e Riva presentano invece (dopo Sixtine) queste
invidiabili Lettere di un satiro (pagg. 120, lire 12.000), con
una assai brillante traduzione e postfazione di Tiziana Goruppi. Sono
dedicate all'Amazzone, cioè la famosa Nathalie Clifford Barney, cui
venne anche intitolata la Lettera all'Amazzone di Marina
Cvetaeva, e che teneva riunioni di baccanti internazionali a Parigi
in un tempietto della centralissima rue Jacob.
Che libro per l'estate,
che siesta armoniosa. Eterno come il suo presente, il satiro di
Gourmont si appiatta sornionamente naif nei dintorni della società
moderna dopo millenni boscherecci equivalenti a un attimo; ed
esercita un suo lepido "Et in Arcadia ego" in
margini civili-incivili non sprovvisti di fanciulle desiderose, che
si descrivono procaci e diligenti nell'apprendere giochi meridiani:
come se il fauno di Nijinskij si affacciasse a tratti dalla vestaglia
di Paul Lèautaud.
E le lettere all'Amazzone
sui costumi osservati con finta semplicità dal satiro evocano nella
loro magrezza tutta una letteratura cospicua di rapporti di
viaggiatori sulle usanze incongrue di popolazioni curiose. Ma non
sono tanto "lettere persiane", queste epistole satiresche.
Sono piuttosto "spiate" d'una Metalandia stralunata, dove
Tolone e Montecarlo possono apparire sconclusionate e ingannevoli
come la Russia al Marchese de Custine o la Cina a Simone de Beauvoir.
Che trionfo della falsa spontaneità, della falsa sincerità, dell'
inesperienza rovesciata, della schiettezza derisoria. Che tesori di
dabbenaggine simulata per descrivere il treno, ma che reticenza
dabbene e come distratta nel riferire una scena che potrebbe
risultare incresciosa ai giardinetti, ov' è questione di bambine e
dove risuona del tutto naturale il richiamo arcaico "al satiro!
al satiro!".
Dal suo stagno via via
alla Costa Azzurra, questo nostro amico Antifilo di creatura in
creatura, sempre meno campestre e da pagliaio, si fidanza con
un'attricetta che sta fuori tardi la sera e sembra nipotina delle
attricette di Balzac. Cydalisa gli insegna anche a vestirsi e lo
porta al caffè: "voglio amarti in mezzo agli uomini".
Ma che monotonia, quante
noie, in città, fra il brulichio degli Yahoo di memoria gulliveriana
ma senza il disgusto di Swift, questi bevono "pastis". E il
fauno addomesticato e faceto comincia a tradire Cydalisa con Erebe,
poi riflette sullo spleen, incontra un Diogene... Discorrono
dell'amore e della ricchezza e della libertà e della schiavitù,
amabilmente aforistici. Si dicono: "Siete veramente immortale,
Satiro? I vostri padroni, e quelli degli uomini, i grandi dèi, sono
morti...". "Il destino mi ha dimenticato, Diogene, e credo
di avere dei fratelli in ogni foresta, negli antri di ogni montagna,
nel fondo di ogni valle. Non li ho mai visti, ma li intuisco. Siamo
le forze della natura, e se morissimo, voi sareste condannati a
morte". "Lo siamo, infatti. Credo facciate confusione tra
l'immortalità e la perpetuità". Sembra un rovescio di
Siddharta, a tratti. "Mi accorgo - i libri me lo hanno già
insegnato - che esistono tante filosofie quante sono le età e i
temperamenti. Me lo ha accennato abbastanza bene, lui, con la sua
teoria dei tre stadi; si desidera resistere alle passioni quando sono
così deboli che basta un po' di attenzione per dominarle. Si cede
loro quando sono forti, e la lotta risulta dolorosa. Le si disdegna
quando hanno perso forza, e non si ha più il coraggio di rimpiangere
il tempo del loro potere per paura di aver l' aria del vinto. Questo
è il momento della virtù. A seconda che la società sia retta dai
giovani o dai vecchi, dai deboli o dai forti, l' una o l' altra
tendenza domina il mondo. E credo sia così di tutte le inclinazioni
umane".
Ma Cydalisa è partita e
non rientra, e dopo un'avventura con una ninfa "allumeuse"
davanti al Casino di Cannes, il satiro torna al paese di Teocrito su
una nave da limoni, un po' diminuito ma non civilizzato. Torna alle
sue origini primitive e divine, proprio come Gourmont che intende
recuperare un caro mito contro un presente incerto, osserva la
Goruppi, notando la contrapposizione dello spirito pagano unitario al
dualismo cristiano di coppie antinomiche quali spirito e corpo,
trascendenza e immanenza, individuo e collettività, fede e sapere.
Però si risentono soprattutto dietro le righe certe osservazioni
sull' amore, svolte da Gourmont nel saggio La dissociazione delle
idee, contro l'associazione rudimentalmente o parodisticamente
religiosa fra il piacere carnale e l'idea di generazione, mentre la
civiltà più alta sarà quella dove l'individuo è maggiormente
libero dalle obbligazioni. E non per nulla, una tavola statistica
della natalità europea, mostrerebbe un legame stretto fra la
debolezza intellettuale dei popoli e il loro sovraccarico di
progenitura.
Sono considerazioni che
potrebbero venir riprese come passatempo da qualche lettore di
Foucault. "I Greci arrivarono abbastanza tardi a disgiungere
l'idea di donna e l'idea di generazione; però avevano dissociato
molto anticamente l'idea di generazione e l'idea di piacere carnale.
Quando cessarono di considerare la donna come unicamente generatrice,
allora incominciò il regno delle cortigiane. Del resto sembra che i
Greci abbiano sempre avuto una morale sessuale assai vaga, il che non
impedì che facessero una certa figura nella storia. "Il
cristianesimo non poteva, senza rinnegare se stesso, incoraggiare la
dissociazione dell'idea di piacere carnale dall'idea di generazione,
però provocò con successo, e fu una delle grandi conquiste
dell'umanità, la dissociazione dell'idea di amore e dell'idea del
piacere carnale. Gli Egiziani erano al contrario così lontani dal
poter comprendere una tale dissociazione che l' amore tra fratello e
sorella sarebbe apparso nullo se non avesse condotto a una
congiunzione sessuale. Nelle classi popolari delle grandi città, si
è volentieri egiziani su un tal punto". "Comme en se
jouant", diceva Gide.
“la Repubblica”, 2
agosto 1984
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