BUDAPEST
I ragazzi della via Pàl
compiono cento anni. L'Ungheria e l'Europa, che sono cresciuti con
loro, li hanno traditi. Per questo, oggi, li celebrano. Una società
fondata sull'inganno rimpiange l'eroismo della lealtà, sepolto
assieme alla propria giovinezza.
Dopo un secolo, il mondo
riscopre anche Ferenc Molnar. Il Novecento ha espulso l'autore che ha
documentato il tramonto di una grandezza e anticipato l'alba della
follia. Il Duemila lo richiama, a cinquantacinque anni dalla morte in
esilio, ammettendo infine l'implacata sete di libertà e di infinito.
Gli ideali per cui si è combattuto, contro il terrore e la
spietatezza delle ideologie, sembrano spenti. Ma il campo di Jànos
Boka e Deszo Gereb, del sacrificio di Erno Nemecsek, resta illuminato
dal sole.
L'anima di chi è
invecchiato consumando il coraggio, sa che la vita si nasconde nella
lotta, nobilitata dalle regole, per restare fedeli al valore dei
propri sogni. L'alternativa, il disprezzo delle avversità, è la
corrotta regressione nella custodia dell'indifferenza. Così milioni
di lettori si chiedono perché, istintivamente, sentono di dover
partecipare alla glorificazione di una parabola laica che certifica
il collettivo fallimento. Le strade di Budapest, nell'anno delle
celebrazioni, testimoniano il paradosso di questa discreta nostalgia
per l'incompiuta generosità dell' infanzia. Nelle librerie si
accumulano i puntuali seguiti di Harry Potter. Lungo i viali dei
parchi pubblici, gli adolescenti non gridano e non si rincorrono.
Immobili e soli, sulle panchine, pigiano telefoni, videogame e mp3.
Nell'ottavo e nel nono distretto, come dovunque, i cortili sono
diventati parcheggi e sulle praterie sono cresciuti palazzi. La casa
natale di Molnar, all' 83 di Ferencz Korùt, è un edificio
trascurato. Il pianterreno è occupato da un negozio di macchinari da
palestra. Nell'appartamento dove è nato lo scrittore, nel 1878,
abita la famiglia Pàsztor, omonima dei prepotenti fratelli del suo
romanzo. La vicina caserma Kilian, primo teatro della rivolta
anti-comunista del 1956, esibisce una facciata sporca di vetri rotti.
All'incrocio tra via Pàl e via Mària, dove si apriva «il dolce
Grund», uno stabile annerito conferma il valore storico di un' opera
equivocata in «romanzo per l' infanzia».
Una targa in italiano,
affissa nel 1990 dal Gr3, recita: «A Ferenc Molnar, ai suoi ragazzi
ed ai ragazzi di tutte le periferie». È una medaglia alla memoria:
cancellato il campo della via Pàl, questa periferia è scivolata a
ridosso del centro. Nessun bambino, qui come nelle nostre città,
potrebbe più trascorrere i pomeriggi vagando libero fra terreni
vuoti e boschi sotto casa. Via Ràkos, dove abitava Nemecsek, non
esiste più. Il grande Orto botanico, in Illes Utca, è stato ridotto
a un giardino nascosto tra due cliniche. Resistono le pericolanti
serre liberty stipate di palme, qualche "ginko" secolare.
Il lago e gli stagni sono stati prosciugati, assorbita l' isola. Il
municipio voleva tagliare i costi e chiudere: prima delle elezioni è
stato fermato dalle proteste del quartiere. La mappa della storia,
grazie alla metropolitana, è rapidamente percorribile. Il suo mondo
però è scomparso: dietro i mutamenti urbanistici emerge
l'estinzione di un'epoca sociale, di una cultura, di una civiltà
demolite con maniacale accuratezza.
Gli ungheresi, sui
giornali, dopo un secolo si domandano se sono stati all'altezza di
Boka, o del capo delle Camicie Rosse, Feri Ats. I telespettatori
hanno spinto I ragazzi della via Pàl al secondo posto del
concorso che ha eletto Le stelle di Eger miglior romanzo di
tutti i tempi. La lettura, nelle scuole, è obbligatoria. Tradotta in
trentacinque lingue, l'opera ha venduto cinque milioni di copie solo
in patria e ora viaggia a quota diecimila all'anno. Ma è
imbarazzante, per i genitori, per gli intellettuali, o per i
politici, ragionare sul suo significato profondo.
«Abbiamo costruito
un Paese spaccato e sempre più estremista - dice Adam Horvàt,
regista e nipote di Molnar - dove tutti tradiscono e nessuno si
pente». Il giubileo si consuma così tra mostre, convegni,
riedizioni commemorative, francobolli, inaugurazioni di statue e
tentativi di nuove riduzioni cinematografiche. A metà ottobre, nel
museo Petofi, verrà inaugurata la rassegna Evviva il campo.
In ogni sala un personaggio, o un luogo del romanzo. «Il visitatore
- dice la curatrice, Teréz Emod - vivrà come un protagonista in
viaggio dentro la storia». Lo scultore Peter Szanyi collocherà un
monumento in ciò che resta dell' Orto botanico. Daniel Mann ha
invece ideato il "parco tematico" in piazzale Corvin. «Sarà
ricostruito il campo della via Pàl - dice - con segheria, magazzino,
cataste di tronchi e trincea per le bombe di sabbia. I bambini
potranno giocare come ai primi del Novecento».
La casa editrice Mora ha
ristampato il libro, affidando le illustrazioni a Péter Kovàcs.
Quasi esaurito. «Gli eroi possono fallire - spiega il direttore,
Jànos Tòth - ma l'eroismo è eterno. Il debole che sconfigge il
forte, il Bene che trionfa sul Male restano la matrice di ogni fiaba.
Il finale drammatico, in questo caso, trasforma in realtà ciò che
nasce come finzione».
A Budapest è arrivato
anche l'inglese Antony Kemp. Nel 1967, quando aveva dodici anni, ha
fatto la parte di Nemecsek nel film di Zoltan Fabri. Oggi è
arredatore. Omosessuale dichiarato, ha ammesso di non aver mai letto
I ragazzi della via Pàl. I giornali, scandalizzati, hanno
titolato: «L'analfabeta Nemecsek è diventato gay».
«L'iniziativa più
poetica - dice Matyas Sarkozi, l'altro nipote di Molnar che vive a
Londra - è stato il video-rap del cantautore Peter Geszti. Giovani
graffitari ungheresi, sui loro skateboard, cantano e ballano la
battaglia raccontata da mio nonno. Potrebbe diventare un musical
capace di parlare ai contemporanei».
Il secolo della via Pàl
resta così una grande, bella, interessante, turistica, edificante
festa nazionale per bambini ed ex adolescenti, come si potrebbe
organizzare per I tre moschettieri, o per Zorro. Taciute, quasi
segrete, si mantengono invece negli archivi ungheresi la tragedia di
Molnar, la profezia della sua «lotta per bande», la «guerra
fredda» combattuta contro l' amore per il suo romanzo.
Nel 1907 l'Impero
asburgico e le monarchie europee sono agonizzanti. Le rivoluzioni
popolari e l' esplosione dei nazionalismi annunciano conflitti
sociali, dittature ideologiche e persecuzioni razziali. «I ragazzi
della via Pàl - dice Horvàt - nasce per caso. Ma ogni riga è un
manifesto contro il Male che da allora ci tiene in ostaggio». Il
romanzo, dal 10 aprile, esce a puntate sul Giornale degli studenti
del ginnasio di via Lònyay, dove Molnar aveva studiato. Il vecchio
professore di lettere era ricorso all'ex alunno, già famoso
drammaturgo, per fronteggiare un calo di copie. L'autore rievoca la
storia vera dalla sua classe, scrive un episodio a settimana e regala
tutto alla sua scuola. «Amore per la patria ed esaltazione
dell'eroismo nazionale contro l'invasore straniero - dice lo
scrittore Pàl Békés - tributano al racconto un immediato successo
europeo. È l' età d' oro di Molnar. Fino agli anni Trenta i suoi
testi vengono messi in scena contemporaneamente da oltre duecento
teatri in Ungheria e all' estero. Poi la sua previsione, ossia la
perdita del campo-patria e la sconfitta di tutti i contendenti
(ragazzi di via Pàl e Camicie rosse) per mano di un oscuro nemico
esterno, si avvera». L'Europa è devastata da Prima e Seconda guerra
mondiale. Esplode la dittatura del nazismo e del comunismo. Si
consuma l' orrore anti-semita. Molnar è ebreo e di famiglia
borghese. Vaga tra Italia, Austria e Francia. Brucia tre matrimoni.
Lettere e documenti rinvenuti ora a Budapest, rivelano che già nel
1925 intuisce la catastrofe. «Nel 1927 - dice il nipote - vende la
casa di Berlino. Dal 1937 non mette più piede in Ungheria. Le sue
opere scompaiono dai cartelloni teatrali. Nel 1942, sulla stessa nave
di Ingrid Bergman, fugge definitivamente a New York». Il destino dei
ragazzi della via Pàl si separa così da quello di Molnar.
Il romanzo, troppo amato
dalla gente per poter essere proibito dalle autorità, viene ridotto
a una melodrammatica storia per bambini. Lo scrittore, in quanto
ebreo, è perseguitato dai fascisti fino al 1945. Come borghese, fino
alla morte, è invece sopportato dai comunisti. «Se fosse tornato in
patria - dice il presidente degli editori ungheresi, Peter Zentai -
sarebbe finito in un campo di lavoro e non avrebbe più potuto
pubblicare». Le accuse trovate negli archivi sono chiare. Ai tempi
dell'Urss Molnar doveva essere presentato come un «cosmopolita
borghese che ha sacrificato il talento per il successo nei paesi
capitalisti». Anche i ragazzi della via Pàl facevano paura al
regime. I bambini-eroi danno vita alla "Società dello stucco",
dove il capo viene eletto democraticamente. La delazione e il
tradimento, simboleggiati da Gereb, vengono disprezzati anche da chi
può trarne vantaggio. Le "Camicie rosse" di Ats, destinate
alla sconfitta per la sete di conquista, sono invece un regime
fondato sulla forza del leader e sull'autoritarismo. La democrazia
umanistica dei ginnasiali, prevale sul decisionismo scientifico degli
allievi dell'istituto tecnico. Nel 1907, a Vienna, l'imperatore non
apprezzò il «parlamentarismo» di Molnar. Nel 1947, da Mosca,
Stalin iniziò a demolire il suo «indipendentismo magiaro». «Un
anno prima - dice Csilla Csorba, direttrice del Museo letterario
ungherese - Molnar aveva scritto riservatamente al primo ministro.
Alludeva alla possibilità di un ritorno a Budapest. Il vecchio
amico, lo dissuase». Una condanna ufficiale, da parte delle
autorità, non è mai arrivata. Nemmeno Molnar si è esplicitamente
dissociato dal comunismo. «Ma negli auguri di fine anno trasmessi
via radio dagli Usa - dice Adam Horvàt, dieci anni agli arresti come
«nemico del popolo» - nel 1951 e nel 1952 mio nonno fece
inequivocabilmente capire ai connazionali le ragioni del suo esilio».
È difficile, parlando
oggi con i pensionati seduti davanti alle torte del caffè Gerbaud,
sopravvissuti a Krusciov e a Kàdàr, capire le ambigue ragioni di un
successo tanto subìto e travisato. Assistendo ai raduni dell'estrema
destra contro il governo, sotto il parlamento, o sfilando con chi
denuncia il nuovo dilagare di xenofobia e antisemitismo, la
storicizzazione ludica dei ragazzi della via Pàl risulta invece meno
oscura.
A un secolo dalla pubblicazione, il salto da «romanzo per
ragazzi» a «denuncia degli adulti» resta vietato. In Ungheria e
nel resto del mondo nemmeno un teatro è intitolato a Molnar. «Boka
e Feri Ats - dice il regista Gyorgy Vidovszky - lottano lealmente per
il campo da gioco, ossia per la libertà. Concordano le regole della
battaglia, rendono onore allo sconfitto, riconoscono di aver perso,
sanno chiedere scusa, rifiutano il tradimento, perdonano chi sbaglia
e puniscono i soprusi. Di fronte alla morte, "per la prima volta
intuiscono quel che è veramente la vita". È un testo ancora
impresentabile, per i potenti della terra».
I ragazzi della via
Pàl si legge così nelle scuole, per dovere, ma non in famiglia.
«E se venisse distribuito in parlamento - dice Békés - metà dei
deputati nemmeno lo aprirebbe. La febbre di potere dei partiti
ricorda quei bambini, tra i quali solo il cane del custode Jano
(Ettore, ndr) è rimasto soldato semplice. Le guerre di Bush sono
l'opposto della battaglia nel campo all'angolo con via Mària. La
multirazzialità della "Società dello stucco" è il
contrario del razzismo che alimenta l'estremismo dei conservatori
europei. L'interventismo ecclesiastico nell'ordinamento degli Stati
si infrange contro l'assenza di riferimenti alla fede scelta da
Molnar. Speculazioni immobiliari e distruzione della natura
confermano la disperazione di chi «fuggì da quella terra infedele
che li abbandonava per prendersi sulle spalle, per sempre, un
palazzone d'affitto». Una società di opportunisti, dove tutto è in
vendita, non può condividere l'indignazione contro «l'impiegato
comunale che pretende subito il vestito nuovo, mentre il figlio del
sarto sta morendo». Dal più inquieto Paese
della Ue, assieme alla Polonia, parte un richiamo preciso contro le
vendette dei vincitori, l'odio degli esclusi e le nostalgie degli
sconfitti.
«Purtroppo - dice Matyas Sarkozi - il messaggio è
accuratamente occultato in un anniversario letterario, o confinato
nel recupero turistico di un vecchio parco-giochi di periferia». Ha
senso allora che un mondo di vigliacchi celebri l' anniversario di
una fiaba che è il Manifesto dell'eroismo umano? O che una società
gerontocratica, che centellina i figli, esalti il romanzo che
dimostra come solo i giovani hanno la grandezza per arginare
l'ingiustizia che governa l'esistenza?
Verrebbe da rispondere di no,
pensando alle transoceaniche battaglie per i diritti d'autore, o alla
secolare e contrapposta mistificazione ideologica che ha travolto
Molnar e i suoi ragazzi. Ma nella serra "Victoria"
dell'Orto botanico di Budapest, dove Nemecsek si era immerso tra le
ninfee giganti per sfuggire ai Pasztor, si è convinti che invece la
risposta sia sì. Cent'anni dopo, è una sera calda dei primi di
maggio. Il Danubio scorre viola. Un pappagallo tropicale sovrasta il
gracidare delle neonate rane. Le samare bianche dei tigli diffondono
il profumo degli ippocastani. Due bambini si contendono due sassi da
gettare nello stagno. Il più robusto sottrae anche quello del più
gracile e, precipitando nello sgomento la vecchia bigliettaia, lancia
lo spaventoso, ormai eterno grido del sopruso: «Einstand!». Sta per
tirare. Scivola sulle foglie marcite dell' inverno e le pietre
ruzzolano nello scavo per il trapianto dei bulbi di tulipano.
Ferenc Molnar, sul
lettino operatorio dove morì sotto i ferri, interruppe i chirurghi
impegnati a scambiarsi i titoli professionali: «Permettete che mi
presenti anch'io, sono il malato». Le sue ultime parole, tra le
risate. I due bambini di Budapest, diversamente battuti, se ne vanno
ora riappacificati dalla delusione, tenendosi per mano. Dopo un
secolo, vogliono dire che i ragazzi della via Pàl sono stati traditi
da tutti i loro lettori, che oggi li portano in trionfo. Ma che
restano i più forti. Perché il destino umano è la sconfitta: ma
adesso sappiamo che solo combattere eroicamente, per non tradire se
stessi, vale la pena.
“la Repubblica”,13
maggio 2007
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