Giorgio Manganelli (a destra) a una riunione einaudiana nel 1975. Tra gli altri Italo Calvino e Natalia Ginzburg |
Manuali di editoria in
tempo di crisi? Macchine nostalgiche? Oggetti contundenti piuttosto,
che, mentre pacatamente raccontano, raccomandano a gran voce un modo
e un mondo. Sono appena usciti tre libri che arrivano dallo stesso
quartiere della cultura letteraria, quello dove alloggiano storie e
memorie editoriali. Gli autori sono uno scrittore che si cimenta con
l’editoria e due editori che si misurano con la scrittura.
Estrosità rigorose di
un consulente editoriale di Giorgio Manganelli (Adelphi) è una
raccolta di pareri di lettura, valutazioni di traduzioni altrui,
quarte di copertina, lettere. Una mole di scritti che ridisegna il
profilo di Manganelli: si sapeva di una militanza editoriale in veste
di consulente ma, prima di questo libro, il livello del
coinvolgimento e la sua influenza nella storia dello scrittore erano
poco noti. Una zona opaca che è bene si sia rischiarata: a partire
dal 1961, per un trentennio, Manganelli collaborò dapprima con
Garzanti; quindi con Einaudi (il periodo più lungo e fecondo);
brevemente con Mondadori; infine con Adelphi. Una presenza
sparpagliata e densa, una serie di opinioni su libri importanti, un
esercizio di lettura e di scrittura che ha contribuito a fare di
Manganelli quello che è stato: un frequentatore fazioso e bulimico
di libri altrui che, appassionatamente macinati, generavano
scrittura. E, per chi legge, un centrifugato di piacere. La forma
breve dei giudizi si addice al consulente, capace di sintesi puntute
e abilissimo a compendiare la sua stessa maniera: non c’è riga che
non brilli di estri adescatori, di fuochi d’artificio lessicali, di
affermazioni spiazzanti. A sua volta Salvatore Silvano Nigro,
curatore di questo e di altri inediti di quella che è stata definita
la strepitosa giovinezza postuma di Manganelli, non si è limitato a
costruire un libro che non esisteva. Avvalendosi della sua competenza
filologica, ma anche di invenzioni architettoniche che costeggiano e
doppiano la fantasia dell’autore stesso, Nigro ha infatti allestito
un testo ipermanganelliano, una versione intensificata di quella voce
già così peculiare.
Leggere Manganelli è una
droga. Scatena un appetito che si sazia solo di cibo speziato e può
disabituare al gusto della pagina piana. Ma se si posano le Estrosità
rigorose e si atterra sulla prosa di Kurt Wolff, il grande
editore che nella Germania weimariana pubblicò Kafka, Werfel, Trakl,
Walser e importò nell’America degli anni ‘40 e ‘50 Valéry,
Broch e le fiabe dei fratelli Grimm, sembra di toccare solo un’altra
stazione dello stesso viaggio. Anche le Memorie di un editore
di Wolff è un libro che l’autore non sapeva di avere scritto.
Raccolta di una serie di conversazioni radiofoniche e di alcuni
ritratti di scrittori, il testo fu assemblato negli anni ‘60 da un
altro editore, Klaus Wagenbach, e viene ora tradotto in italiano come
primo titolo della nuova casa editrice Giometti & Antonello.
Manganelli esibisce, nei
suoi scritti editoriali, una scanzonata serietà; filtra la passione
attraverso l’irriverenza. Gli scherzi coi colleghi einaudiani sono
continui: un falsetto che rimanda l’immagine di austeri signori
vestiti di grigio che fanno battute da ginnasiali. Kurt Wolff di
scherzare non ne ha voglia: la sua prosa è composta, appena
sentenziosa; il suo amore per i libri è rigido e affabile. Al
dialogo in presa diretta del consulente coi suoi editori si
sostituisce lo scambio dell’editore con i suoi scrittori:
rispettoso, autorevole, addirittura cavalleresco nella scelta
ideologica di rinunciare al diritto di opzione, per lasciare liberi
gli autori di continuare a pubblicare con lui solo se lo desiderano.
Una piccola epica del lavoro ben fatto che cattura il lettore di oggi
e lo irretisce col fascino di una sapienza tranquilla.
Ma ecco arriva un altro
modo ancora di raccontare la buona editoria: leggero, pieno di
svagata eleganza. Nel libro Autobiografia di una femminista
distratta, appena uscito per Nottetempo, Laura Lepetit,
femminista allegra ed editore chiaroveggente, parla della sua vita
passata e, tra amiche, gatti e letture, lascia affiorare un ritratto
della casa editrice che ha fondato nel 1975, La Tartaruga. Anche in
questo caso il catalogo è tale da consegnare alla storia la signora
che lo ha assemblato e le sue autrici, tra le quali i premi Nobel che
Lepetit ha portato in Italia anni prima della consacrazione a
Stoccolma: Nadine Gordimer, Doris Lessing e Alice Munro.
Tre modi, tra i mille
possibili, di ripercorrere vite forgiate dalla lettura, che
condividono un solo aspetto, l’unico che conta: una passione che ha
generato qualità. Che è anche il denominatore occulto dei libri di
editoria che è bello leggere e studiare. Legati a stagioni che non
potrebbero essere più lontane, Laura Lepetit, Giorgio Manganelli e
Kurt Wolff appartengono alla razza di quelli che Valentino Bompiani,
con formula poi fortunata, chiamava “editori protagonisti”,
perché tutti hanno riversato nell’editoria gusti, attitudini,
insofferenze molto private e poco omologate. Più facile farlo, si
dirà, per chi è editore in proprio, come sono stati Wolff e
Lepetit. Manganelli invece ha lavorato per le grandi aziende. Ma il
ruolo di estensore di pareri e valutazioni che altri avrebbero usato
per decidere nulla toglie all’investimento, intellettuale e
verbale, profuso negli scritti d’ufficio.
Come tutti i libri che
parlano di editoria, anche questi hanno effetti collaterali. Il
primo: rimettono in circolo i libri di cui parlano. Vien voglia di
riscoprire le belle scelte della Tartaruga, un catalogo ormai
disseminato tra altri editori che ne hanno ripreso singoli titoli.
Poi ci sono gli autori di Kurt Wolff, giovanotti impacciati nello
spedire all’ufficio di Lipsia il primo manoscritto, e oggi, anche
grazie al loro editore, classici del Novecento.
E infine gli scrittori
inglesi che Manganelli bersaglia di aggettivi ambiguamente attraenti.
Sfilano definizioni come losco, agile, scontroso, ribaldo, frivolo,
astratto: quasi inevitabile mettersi in cerca dei romanzi che se ne
fregiano e imbattersi in una costellazione di scrittori fortunati tra
gli anni ’60 e ’70, alcuni dei quali sono, oggi, meno popolari ma
forse non meno interessanti. E destinati, magari, a seconde vite.
Come accade a volte nell’avventuroso mondo dei libri, che è fatto
di due materie solo in apparenza inconciliabili, accensioni e lunga
pazienza.
Pagina 99, 11 giugno 2016
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