30.8.17

Gerolamo Cardano, medico e pensatore. Un ritratto del Rinascimento (Paolo Mauri)

Le «vite» contano. Ogni epoca ha le sue biografie «tipo» da spacciare, i suoi santi da mettere sugli altari. Eroi, generali, poeti, imperatori, divi e divine, campioni: l’inventario degli uomini con qualità (che piacciono tanto agli uomini senza qualità) è vasto, infinito. Che cosa cerchiamo, in una biografia? L’informazione, certo, ma anche il «modello». Ogni epoca, senza neppure volerlo, riscrive se stessa nelle biografie degli uomini che le appartengono o di quelli che sceglie dal passato perché «altamente rappresentativi». L’etica del capitalismo ha inventato la biografia del povero che diventa, con i suoi mezzi, milionario (dall’ago al milione); l’etica del divismo esige biografie scritte a puntate — attraverso i mass-media — che assecondino o creino i gusti del pubblico. La maggior parte delle biografie di consumo scritte oggi sono, di fatto, semplici sceneggiature, o, se si preferisce, romanzi popolari che hanno per tema fisso «un eroe del nostro tempo».
Genere basso nella sua forma attuale più svaccata, la biografia può vantare antenati illustri e soprattutto una continuità significativa, dai tempi antichi ad oggi. Nel biografo, è vero, dorme spesso l’agiografo: ma il ritratto del grande non è necessariamente adulatorio. Ogni riga della breve biografia riassuntiva che Tacito dedica a Tiberio sul finire del sesto libro degli Annali è un esempio illustre di quanto la biografia possa essere spietata o maligna.
Con l'autobiografia il discorso è diverso. Scegliere di essere il biografo di se stesso è impresa riservata a pochi, poiché dietro il suo eroe il biografo si nasconde, ma nell’autobiografia l’uomo raccontato sei proprio tu, e allora bisogna pure che tu pensi: ho qualcosa di veramente grande da raccontare.
Gerolamo Cardano, uomo del Rinascimento, medico illustre e pensatore, di cui ora si ripubblica il libro Della mia vita (a cura di Alfonso Ingegno, Serra e Riva) aveva senza dubbio un altissimo concetto di se stesso. Né questa apologia del proprio vivere e operare, stesa in tarda età, oltre i settant’anni, tra il settembre 1575 e il maggio 1576, nasce senza precise intenzioni. Ma c’è un momento in cui un libro o riesce a sopravvivere all’occasione per cui è nato, o muore con essa. Se sopravvive, non ha più bisogno — per essere letto — che l’intenzione sia messa in evidenza. Lasciamola lì, per adesso. Direi che il motivo per cui il libro del Cardano merita oggi di essere letto sta, prima ancora che nei suoi contenuti, nel suo «impianto». Finalmente, verrebbe voglia di dire, un libro che non si legge come un romanzo, ma piuttosto come un catalogo ragionato.

Giocatore di scacchi
Cardano ha infatti ripercorso la propria vita, ha descritto il proprio corpo, ha enumerato le sue glorie, i suoi dispiaceri, le sue virtù e debolezze inventariandole per temi: sicché in cinquantaquattro capitoletti o «voci», senza essere costretto a tener dietro ad un «filo», il lettore può ritrovare il suo uomo. A brani o a «brandelli». Come se leggesse un piccolo trattato enciclopedico su un unico tema. Il lettore può dunque correre in su o in giù, per dritto o rovescio: il libro è in questo senso docile; non oppone resistenze. Può cominciare da argomenti pettegoli: «Calunnie, diffamazioni, insidie di accusatori»; può far conoscenza con particolari fisici («Modo di camminare e riflessione») o con curiosità («Vestiario»). C’è da chiedersi: ma da dove si comincia a «conoscere» un uomo? Da dentro (per esempio, come recita il capitoletto XXII, dai «Sentimenti religiosi e pietà») o da fuori («Statura e aspetto fisico»), dai suoi rapporti con gli altri («I miei rapporti con gli altri uomini») o da quanto altri hanno detto su di lui?
Un uomo è ciò che mangia, dirà qualcuno molto più tardi. Nel dire rapidamente delle sue «abitudini di vita» Cardano riepiloga meticolosamente i modi quotidiani del suo agire, quante ore di sonno gli servono in salute o in malattia, quali cibi ama mangiare e come li ha variati e cucinati nel corso del tempo, gli esercizi per mantenersi in forza. Agli esercizi in particolare è poi dedicato un altro paragrafo. Ma se desideri sapere altro, non hai che da chiedere: Cardano; non avrà esitazione a denigrare la sua scarsa resistenza alle tentazioni del gioco: dadi e scacchi in prima fila. «Mi sono dedicato per parecchi anni ad entrambi i giochi: agli scacchi per più di quaranta, ai dadi per circa venticinque e in tanti anni ho giocato, mi vergogno a dirlo, ogni giorno». Tuttavia agli scacchi Cardano (lo ricorda subito dopo aver ammesso con con vergogna la sua debolezza) ha dedicato un libro nel quale «ho scoperto parecchi problemi notevoli».
Possiamo indugiare intorno all’uomo Cardano, entrare nelle varie case da lui abitate, sapere quali vestiti si mette addosso, quali malattie ha avuto e come è guarito da esse. Ma Cardano ovviamente non è tutto qui. E allora dovremo seguirlo per altre strade, sino a scoprire in tutte le sue luci e le sue ombre questo singolare protagonista.
Quando Cardano scrive queste pagine ha superato — come ricordavamo — i settant’anni. Ha guarito re e dignitari, ha viaggiato, ha insegnato e disputato in celebri università. L’elenco dei libri scritti da lui è piuttosto lungo, quello dei libri che parlano di lui (in ambedue i casi puntigliosamente annotati) ancora di più. È arrivato molto in alto, nella professione soprattutto, ma si è distinto anche nelle matematiche, dando del filo da torcere a Tartaglia, e in altri campi non meno difficoltosi. È in buona sostanza un misantropo, o forse lo è divenuto col passare del tempo e l’accumularsi delle disgrazie sul suo cammino. I corpi sono sgradevoli, puzzano, sono invasi dai pidocchi, recita Cardano dandoci di scorcio una lezioncina sull’igiene dell’epoca. «Se poi guardo all’anima, quale animale è più malvagio, ingannatore, infido dell’uomo?». Un figlio gli è morto in maniera particolarmente dolorosa: giustiziato per aver commesso uxoricidio. E di questo Cardano non sa darsi pace. Vede ovunque congiure di nemici. Cammina a testa bassa. Qui incontriamo un elemento prezioso: una pietra.
Questa pietra è in grado di dirci moltissime cose su Gerolamo Cardano. Ascoltiamolo: «Nel 1560, di maggio, in seguito al dolore per la morte di mio figlio, avevo perduto a poco a poco il sonno (...) Pregai allora Dio di avere misericordia di me: in effetti correvo il rischio che quel non dormire senza interruzioni mi portasse alla morte o alla pazzia (...) Lo pregai allora di farmi morire, cosa che è concessa a tutti gli uomini, ed andai a distendermi sul letto».

Il ronzio nell'orecchio
Preso da un sonno improvviso, Cardano sente una voce che gli parla e gli raccomanda di portare alla bocca lo smeraldo che teneva appeso al collo. Così facendo, e per tutto il tempo che avesse tenuto la pietra vicino alla bocca, il ricordo del figlio, il dolore e tutto quanto sarebbe stato dimenticato. La faccenda durò un anno e mezzo. «Nel frattempo, quando mangiavo o facevo lezione e non potevo usufruire dell’ausilio dello smeraldo, mi torcevo dal dolore sino a sudare mortalmente».
Predestinazione e magia. Per tutta la vita Cardano sa (o crede di sapere) d’essere destinato a cose grandi. D’essere assistito da uno spirito particolare. È vero ch’egli sbaglia clamorosamente il proprio oroscopo (secondo le sue previsioni doveva morire poco dopo i quarant’anni), ma le «assistenze» straordinarie non gli mancheranno.
Come imparò il latino? Ascoltiamolo di nuovo. «Mi chiedo chi fu colui che mi vendette un Apuleio latino quando avevo già, se non sbaglio, vent’anni e scomparve. Fino a quel giorno non ero stato a scuola che una volta, non avevo nessuna conoscenza della lingua e avevo comprato il volume come uno sciocco perché era dorato: l’indomani leggevo il latino come adesso e la stessa cosa si verificò, quasi contemporaneamente, con il greco, lo spagnolo e il francese».
Un particolare ronzio nell'orecchio lo avvertiva se qualcuno tramava contro di lui e gli indicava persino la provenienza e l’esito dei discorsi. Miracoli, capacità di prevedere le cose, sogni premonitori: Cardano non tralascia una sola tappa del suo viaggio nel meraviglioso, del suo essere, nel bene e nel male, un uomo d’eccezione.
«Un’altra mia caratteristica naturale è che la mia carne talvolta odora di zolfo, d’incenso e di altre sostanze. Zolfo e incenso: era dunque Cardano un diavolo o un angelo? Dicendo dei suoi successi non sa bene nemmeno lui a che cosa deve di più, se all’intelligenza o a Dio, alla magia o alla scienza, che con la magia in tanti modi egli rimescola. Ma ascoltiamolo ancora: «Tra gli eventi naturali di cui sono stato testimone, il primo e il più eccezionale è stato quello di essere nato in questa nostra età, nella quale per la prima volta si è conosciuto tutto il mondo».
L’elogio del proprio tempo è comune agli uomini del Rinascimento, così come l’intrecciarsi di scienza e magia e le discussioni infinite su quale magia fosse positiva e quale negativa. Cardano non fa eccezione in questo senso: egli sente d’essere un uomo eccezionale in un tempo eccezionale. Questo innanzitutto lo spinge a scrivere di sé, anche se l’apologia di se stesso doveva anche metterlo al riparo da altre e penose accuse da lui sopportate in vecchiaia. Cardano fu infatti incarcerato per motivi religiosi e costretto poi ad una abiura. L'apologia, nelle sue intenzioni, doveva porlo al riparo da ogni altra accusa, da ogni sospetto di eresia. Ma a noi questo, oggi, non interessa più di tanto. Il libro, come ho detto, è andato al di là dell’intenzione. È diventato un magnifico ritratto dal vero di un uomo del Rinascimento. Un magnifico ritratto del Rinascimento attraverso uno dei suoi uomini. E non è un caso. Roy Pascal ha scritto che l’autobiografia è un genere squisitamente europeo, sconosciuto in Oriente. Una ragione ci deve essere: è una affermazione che fa meditare. «Un’età dinamica, grande e significativa», ha scritto Àgnes Heller, «delle personalità dinamiche, grandi e significative: è questo il terreno di per se stesso fertile per l’autobiografia». Ed è per questo, aggiunge, che due vite così diverse, come quelle di Cardano e di Cellini, ci parlano dello stesso mondo.
Un mondo che non del tutto a torto si compiaceva di se stesso. «Non ci resta ormai», aveva scritto Cardano, dopo aver detto delle meraviglie delle scoperte geografiche, della polvere da sparo e della stampa, «che conquistare il cielo». Ma poco sopra aveva scritto: «Non c'è quindi dubbio, che per conservare la giusta proporzione nelle cose umane, avranno luogo in futuro grandi calamità». E ancora: «Ma sarebbe follia dell’uomo dimenticare la vanità del tutto e la nostra ignoranza dei primi princìpi, seppure sarebbe superbia non ammirare queste scoperte».
Gerolamo Cardano terminò il libro Della mia vita nel maggio del 1576. Il 20 settembre dello stesso anno moriva a Roma.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1982

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