22.8.17

Lessico gramsciano. Cadornismo (Valentino Gerratana)

In attesa del centenario di Caporetto non guasta questa paginetta gramsciana di Valentino Gerratana, tratta da un denso libretto diffuso da “l'Unità” nel 1987, in occasione del cinquantenario della morte del fondatore del Pci. Mi pare che, mutatis mutandis, neanche oggi nella politica italiana manchino dirigenti cadornisti e che, anzi, questa tendenza è rafforzata dal leaderismo e dalla disciplina militaresca che talora esso produce. (S.L.L.)

Del generale Luigi Cadorna, capo di Stato maggiore nella prima guerra mondiale fino al disastro di Caporetto, Gramsci si era occupato con particolare attenzione in occasione delle accese polemiche sollevate intorno alla sua responsabilità per quella catastrofica sconfitta militare. Ma Cadorna e Caporetto diventano ben presto nella riflessione gramsciana soprattutto metafore di un pensiero politico. Molto spesso del resto nel linguaggio dei Quaderni la strategia militare si trasforma da forma apparente di modello in metafora eloquente della riflessione politica (vedi il caso più noto del confronto tra «guerra di movimento» e «guerra di posizione»). Cadorna è visto da Gramsci come un burocrate della strategia: colui che sacrifica la realtà allo schema e che dopo aver costruito il suo piano strategico con ipotesi «logiche» non esita a dar torto alla realtà e si rifiuta di prenderla in considerazione. In questo tipo di strategia agli individui non spetta altra sorte che quella di essere sacrificati, e lino ha senso quindi parlare di sacrifici inutili.
Gramsci comincia col mettere in dubbio che questa logica sia valida già sul terreno della strategia militare. Ma ciò che più gli preme è il discorso polemico contro quelli che definisce gli «strateghi del cadornismo politico» (Marx li chiamava «gli alchimisti della rivoluzione»). È difficile, sottolinea Gramsci, estirpare dai «dirigenti» «cadornismo»: «cioè la persuasione che una cosa sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia fatta, se non viene fatta, “la colpa” viene riversata su chi “avrebbe dovuto” ecc. Così è difficile estirpare l’abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifici inutili. Eppure il senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi (politici) avvengono perché non si è cercato di evitare il sacrificio inutile, o si è mostrato di non tener conto del sacrificio altrui e si è giocato con la pelle altrui».
Estirpare le cattive abitudini della politica era diventato il chiodo fisso di Gramsci. Si era convinto che queste cattive abitudini erano radicate in una concezione della politica basata sulla divaricazione dei compiti dei governanti e dei governati, dei dirigenti da una parte e dei diretti dall’altra: ai primi spetta solo decidere, ai secondi solo eseguire. Il vizio cadornistico di giocare con la pelle altrui trova qui il suo più succoso alimento. Per questo gli errori più gravi sono anche i più difficili da raddrizzare.
Con un’altra immagine, cambiando metafora, Gramsci tornava a insistere; «è vero che si è formata una mentalità sportiva che ha fatto della libertà un pallone con cui giocare a football. Ogni “villan che parteggiando viene” immagina se stesso dittatore e il mestiere del dittatore sembra facile: dare degli ordini imperiosi, firmare carte ecc. poiché si immagina che “per grazia di Dio” tutti ubbidiranno e gli ordini verbali e scritti diverranno azione: il verbo si farà carne. Se non si farà, vuol dire che occorrerà attendere ancora, finché la grazia” (ossia le cosiddette “condizioni obiettive”) lo renderanno possibile».
Da questo testo dei (Quaderni del carcere appare confermata l'impressione che la polemica gramsciana contro il «cadornismo politico» fosse anche una polemica interna di partito. Gramsci aveva infatti, com'è noto, disapprovato la politica della «svolta» con cui gli strateghi del Komintern avevano deciso tra il 1929 e il 1930 il rientro m Italia di centinaia di militanti comunisti, ai quali era affidato sulla carta il compito di guidare una allora improbabile insurrezione popolare, ma che erano destinati nella realtà a marcire nelle prigioni fasciste. Anche a questo doveva pensare scrivendo con durezza della «abitudine criminale di trascurare di evitare i sacrifici inutili».

Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo, a cura di C. Ricchini, E. Manca, L. Melograni, Editrice l'Unità, 1987

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