In
attesa del centenario di Caporetto non guasta questa paginetta
gramsciana di Valentino Gerratana, tratta da un denso libretto
diffuso da “l'Unità” nel 1987, in occasione del cinquantenario
della morte del fondatore del Pci. Mi pare che, mutatis
mutandis, neanche oggi nella
politica italiana manchino dirigenti cadornisti e che, anzi, questa
tendenza è rafforzata dal leaderismo e dalla disciplina militaresca
che talora esso produce. (S.L.L.)
Del
generale Luigi Cadorna, capo di Stato maggiore nella prima guerra
mondiale fino al disastro di Caporetto, Gramsci si era occupato con
particolare attenzione in occasione delle accese polemiche sollevate
intorno alla sua responsabilità per quella catastrofica sconfitta
militare. Ma Cadorna e Caporetto diventano ben presto nella
riflessione gramsciana soprattutto metafore di un pensiero politico.
Molto spesso del resto nel linguaggio dei Quaderni la strategia
militare si trasforma da forma apparente di modello in metafora
eloquente della riflessione politica (vedi il caso più noto del
confronto tra «guerra di movimento» e «guerra di posizione»).
Cadorna è visto da Gramsci come un burocrate della strategia: colui
che sacrifica la realtà allo schema e che dopo aver costruito il suo
piano strategico con ipotesi «logiche» non esita a dar torto alla
realtà e si rifiuta di prenderla in considerazione. In questo tipo
di strategia agli individui non spetta altra sorte che quella di
essere sacrificati, e lino ha senso quindi parlare di sacrifici
inutili.
Gramsci
comincia col mettere in dubbio che questa logica sia valida già sul
terreno della strategia militare. Ma ciò che più gli preme è il
discorso polemico contro quelli che definisce gli «strateghi del
cadornismo politico» (Marx li chiamava «gli alchimisti della
rivoluzione»). È difficile, sottolinea Gramsci, estirpare dai
«dirigenti» «cadornismo»: «cioè la persuasione che una cosa
sarà fatta perché il dirigente ritiene giusto e razionale che sia
fatta, se non viene fatta, “la colpa” viene riversata su chi
“avrebbe dovuto” ecc. Così è difficile estirpare l’abitudine
criminale di trascurare di evitare i sacrifici inutili. Eppure il
senso comune mostra che la maggior parte dei disastri collettivi
(politici) avvengono perché non si è cercato di evitare il
sacrificio inutile, o si è mostrato di non tener conto del
sacrificio altrui e si è giocato con la pelle altrui».
Estirpare
le cattive abitudini della politica era diventato il chiodo fisso di
Gramsci. Si era convinto che queste cattive abitudini erano radicate
in una concezione della politica basata sulla divaricazione dei
compiti dei governanti e dei governati, dei dirigenti da una parte e
dei diretti dall’altra: ai primi spetta solo decidere, ai secondi
solo eseguire. Il vizio cadornistico di giocare con la pelle altrui
trova qui il suo più succoso alimento. Per questo gli errori più
gravi sono anche i più difficili da raddrizzare.
Con
un’altra immagine, cambiando metafora, Gramsci tornava a insistere;
«è vero che si è formata una mentalità sportiva che ha fatto
della libertà un pallone con cui giocare a football. Ogni “villan
che parteggiando viene” immagina se stesso dittatore e il mestiere
del dittatore sembra facile: dare degli ordini imperiosi, firmare
carte ecc. poiché si immagina che “per grazia di Dio” tutti
ubbidiranno e gli ordini verbali e scritti diverranno azione: il
verbo si farà carne. Se non si farà, vuol dire che occorrerà
attendere ancora, finché la grazia” (ossia le cosiddette
“condizioni obiettive”) lo renderanno possibile».
Da
questo testo dei (Quaderni del carcere appare confermata
l'impressione che la polemica gramsciana contro il «cadornismo
politico» fosse anche una polemica interna di partito. Gramsci aveva
infatti, com'è noto, disapprovato la politica della «svolta» con
cui gli strateghi del Komintern avevano deciso tra il 1929 e il 1930
il rientro m Italia di centinaia di militanti comunisti, ai quali era
affidato sulla carta il compito di guidare una allora improbabile
insurrezione popolare, ma che erano destinati nella realtà a marcire
nelle prigioni fasciste. Anche a questo doveva pensare scrivendo con
durezza della «abitudine criminale di trascurare di evitare i
sacrifici inutili».
Gramsci. Le sue idee
nel nostro tempo, a cura di C. Ricchini, E. Manca, L. Melograni, Editrice l'Unità, 1987
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