16.8.17

Solo due fagiolini, si fa per dire. I numeri servono più a raccontare che a contare (Carla Marello)

Se uno vi manda al diavolo, o vi manda ai quattrocentomila diavoli, come fanno talvolta in francese, che cosa cambia? Non il pensiero, ma l’intensità con cui vi manda al diavolo. Se si dice che a un incontro hanno partecipato ima ventina di persone, importa veramente sapere se erano diciannove o ventidue? L’amica straniera da poco in Italia vi invita a cena e vi offre dei fagiolini per contorno; voi per cortesia dite «sì grazie, ma solo due». Come reagite quando l’amica, perplessa, vi prende alla lettera e vi mette nel piatto solo due fagiolini?
Carla Bazzanella in Numeri per parlare (Laterza, 2007) discute appunto dell’uso discorsivo dei numeri cardinali. Parla di numeri che servono più per raccontare che per contare, perché, come già aveva fatto notare Bateson, mentre la matematica è un «mondo di fantasia rigorosa», nel linguaggio di tutti i giorni i numeri sono usati in modo creativo e approssimato.
Talvolta è irrilevante essere precisi, altre è impossibile, ma tutti noi subiamo il fascino quasi magico dei numeri. Politici e giornalisti sfruttano volentieri il «corredo numerico» per rendere più efficace un discorso. È tuttavia un’arma a doppio taglio, perché se ai numeri del contendente io ne oppongo degli altri, finisco per indebolire la forza argomentativa dei miei e dei suoi. Ci sono le quantità all’incirca e il prezzo tondo, i più o meno e i numeri spaccati. Oltre al cent per cento, c’è il paradossale mille per cento. Tutte le lingue naturali dispongono di indicato; di approssimazione.
Carla Bazzanella, nota studiosa di pragmatica, autrice di un’introduzione alla pragmatica del linguaggio (Laterza 2008), mette in luce con convincente, e divertente ricchezza d’esempi l’importanza sociale dell’indeterminatezza ma anche i limiti imposti dal perseguimento del successo comunicativo. Come a dir che i numeri sono un’opinione ma fino a un certo punto. Punto che la linguista cerca di precisare il più possibile.
Un capitolo del libro, firmato da Rosa Pugliese ci presenta tutta una serie di contesti che usano la parola per il numero zero, quindi altri passi con i proverbi con i numeri da uno a dieci, con quelli tra dieci e cento, per arrivare a milioni e miliardi. Come esperta di insegnamento di italiano a stranieri, Pugliese è attenta anche agli usi relativamente nuovi come zero posposto, tolleranza zero, all’effetto, che chiama polifonico, dei numeri in titoli di romanzi e film, come I magnifici sette (John Sturges 1960) o Due o tre cose che so di lei (Jean-Luc Godard 1967), che passano nei titoli di giornale e poi si ritrovano nel chiacchiericcio scritto della rete.
L’ultimo capitolo del libro, affidato all’italianista danese Erling Strudsholm, dimostra ulteriormente come al di fuori di contesti in cui il rigore è necessario (codice del bancomat, matricola universitaria), i numeri non servano davvero a contare, dal momento che cambiano quando si traduce da una lingua all’altra. Se l’espressione «a 360 gradi» si ritrova con lo stesso significato in danese e italiano, Strudsholm ci mostra «in quattro e quattr’otto» (in danese nul komma ferri, letteralmente zero virgola cinque), che spesso non è così. Il traduttore di Pirandello che deve rendere in danese «dozzinale», non ha un corrispondente numerico, traduce «del tutto comune»; e se deve prendere una decisione «sui due piedi» deve ricorrere all’espressione «in fretta e furia».

"La Stampa", 26 maggio 2011

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