Se uno vi manda al
diavolo, o vi manda ai quattrocentomila diavoli, come fanno talvolta
in francese, che cosa cambia? Non il pensiero, ma l’intensità con
cui vi manda al diavolo. Se si dice che a un incontro hanno
partecipato ima ventina di persone, importa veramente sapere se erano
diciannove o ventidue? L’amica straniera da poco in Italia vi
invita a cena e vi offre dei fagiolini per contorno; voi per cortesia
dite «sì grazie, ma solo due». Come reagite quando l’amica,
perplessa, vi prende alla lettera e vi mette nel piatto solo due
fagiolini?
Carla Bazzanella in
Numeri per parlare (Laterza, 2007) discute appunto dell’uso
discorsivo dei numeri cardinali. Parla di numeri che servono più per
raccontare che per contare, perché, come già aveva fatto notare
Bateson, mentre la matematica è un «mondo di fantasia rigorosa»,
nel linguaggio di tutti i giorni i numeri sono usati in modo creativo
e approssimato.
Talvolta è irrilevante
essere precisi, altre è impossibile, ma tutti noi subiamo il fascino
quasi magico dei numeri. Politici e giornalisti sfruttano volentieri
il «corredo numerico» per rendere più efficace un discorso. È
tuttavia un’arma a doppio taglio, perché se ai numeri del
contendente io ne oppongo degli altri, finisco per indebolire la
forza argomentativa dei miei e dei suoi. Ci sono le quantità
all’incirca e il prezzo tondo, i più o meno e i numeri spaccati.
Oltre al cent per cento, c’è il paradossale mille per cento. Tutte
le lingue naturali dispongono di indicato; di approssimazione.
Carla Bazzanella, nota
studiosa di pragmatica, autrice di un’introduzione alla pragmatica
del linguaggio (Laterza 2008), mette in luce con convincente, e
divertente ricchezza d’esempi l’importanza sociale
dell’indeterminatezza ma anche i limiti imposti dal perseguimento
del successo comunicativo. Come a dir che i numeri sono un’opinione
ma fino a un certo punto. Punto che la linguista cerca di precisare
il più possibile.
Un capitolo del libro,
firmato da Rosa Pugliese ci presenta tutta una serie di contesti che
usano la parola per il numero zero, quindi altri passi con i proverbi
con i numeri da uno a dieci, con quelli tra dieci e cento, per
arrivare a milioni e miliardi. Come esperta di insegnamento di
italiano a stranieri, Pugliese è attenta anche agli usi
relativamente nuovi come zero posposto, tolleranza zero, all’effetto,
che chiama polifonico, dei numeri in titoli di romanzi e film, come I
magnifici sette (John Sturges 1960) o Due o tre cose che so di
lei (Jean-Luc Godard 1967), che passano nei titoli di giornale e
poi si ritrovano nel chiacchiericcio scritto della rete.
L’ultimo capitolo del libro, affidato all’italianista danese Erling Strudsholm, dimostra ulteriormente come al di fuori di contesti in cui il rigore è necessario (codice del bancomat, matricola universitaria), i numeri non servano davvero a contare, dal momento che cambiano quando si traduce da una lingua all’altra. Se l’espressione «a 360 gradi» si ritrova con lo stesso significato in danese e italiano, Strudsholm ci mostra «in quattro e quattr’otto» (in danese nul komma ferri, letteralmente zero virgola cinque), che spesso non è così. Il traduttore di Pirandello che deve rendere in danese «dozzinale», non ha un corrispondente numerico, traduce «del tutto comune»; e se deve prendere una decisione «sui due piedi» deve ricorrere all’espressione «in fretta e furia».
L’ultimo capitolo del libro, affidato all’italianista danese Erling Strudsholm, dimostra ulteriormente come al di fuori di contesti in cui il rigore è necessario (codice del bancomat, matricola universitaria), i numeri non servano davvero a contare, dal momento che cambiano quando si traduce da una lingua all’altra. Se l’espressione «a 360 gradi» si ritrova con lo stesso significato in danese e italiano, Strudsholm ci mostra «in quattro e quattr’otto» (in danese nul komma ferri, letteralmente zero virgola cinque), che spesso non è così. Il traduttore di Pirandello che deve rendere in danese «dozzinale», non ha un corrispondente numerico, traduce «del tutto comune»; e se deve prendere una decisione «sui due piedi» deve ricorrere all’espressione «in fretta e furia».
"La Stampa", 26 maggio 2011
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