Annunciato (e poi non pubblicato) nel 1926, l’Interrogatorio della contessa Maria di Aldo Palazzeschi fu pubblicato postumo nel 1988. E’ romanzo erotico-ironico, divertentissimo, l’unica cosa italiana degna di fare il paio con le Centomila verghe di Guillaume Apollinaire. Qui riprendo l’acuta recensione di Guglielmi, da “Tuttolibri”, il supplemento culturale del “La Stampa”. Nel ritaglio non c’è data, ma l’anno deve essere quello di pubblicazione, il 1988. (S.L.L.)
Credo che abbia ragione Luciano De Maria quando afferma che Palazzeschi non ha pubblicato in vita il romanzo Interrogatorio della contessa Maria — che è uscito postumo a circa sessanta anni dalla sua redazione (Mondadori, pp. 147, L. 18.000) — perché «sentiva il tempo». Il clima culturale degli ultimi Anni Venti (periodo in cui all'incirca il romanzo fu scritto) non era più in tono con opere sperimentali e di avanguardia. (alle quali Interrogatorio indubbiamente appartiene) e già predicava il ritorno o la scelta di una scrittura ordinata, dedita più che al giuoco verbale, al racconto serio, alla fabulazione realistica.
Non è incomprensibile allora che Palazzeschi, così attento agli umori del tempo (e non certo per conformismo quanto per un eccesso di sensibilità), decidesse di rinviare la pubblicazione di un romanzo già scritto (e addirittura già annunciato), che temeva, ove lo avesse reso pubblico, divenisse causa di equivoci e di incomprensioni più che di divertimento e di eccitazione, fine cui l'aveva destinato.
Si sa che Aldo Palazzeschi fu uno dei maggiori protagonisti delle avanguardie del primo Novecento che, pattinando tra futurismo, surrealismo e dadaismo, si trascinarono in Italia fino a metà degli Anni Venti. Caratteristica (perlomeno esteriore) di quei movimenti era di mischiare (per un retaggio romantico ancora presente) arte e vita quasi che la tensione e la spregiudicatezza che erano i requisiti obbligati della prima dovessero essere il riflesso di eguali caratteristiche da coltivare nella seconda. Poi verso gli Anni Trenta, ci fu una correzione di rotta con l'affermarsi di una nuova coscienza estetica che, rovesciando le carte, poneva la garanzia dell'esteticità dell'arte nella sua capacità di essere altro dalla vita.
Palazzeschi, che peraltro non aveva mai tollerato per intero, nemmeno nei momenti di più appassionata militanza avanguardista, la compromissione della propria persona con l'opera scritta, raddoppiò le distanze dalla sua soggettività più immediata e, raggiunto un punto di osservazione più lontano, sfebbrò e ricompose il tiro e la natura della sua affabulazione. Primo frutto o esempio dì questo nuovo atteggiamento furono Le sorelle Materassi.
Ma Interrogatorio della contessa Maria appartiene — come sopra anticipato — al periodo precedente, agli anni del grande divertimento di Palazzeschi, quando lo scrittore non aveva alcun ritegno (perché i tempi lo consentivano anzi lo esigevano) ad aprire la serietà della letteratura agli exploit dello scherzo, della beffa, dello scherno, dell'irrisione.
Diciamo subito che Interrogatorio è un romanzo di gran classe: racconta, nella forma di una lunga conversazione che l'autore impone alla protagonista, la storia di una donna di origine nobile che, ribellatasi alla famiglia e alla ipocrisia cui quella fa risiedere la sua onorabilità (e ben più il succo della sua esistenza), si mette sulla strada dove, passando di uomo in uomo (se ne fa quattromila in poco più dì dieci anni), costruisce la più bella (e provocatoria) metafora della creatività della vita con i suoi complementi di libertà e allegria.
Ovviamente la scrittura è tenuta a livello di alta ironia che le consente esilaranti discese in linguaggi bassi: «Appena a casa corsi nel cesso, dove si leggono le lettere d'amore...»; e battute persino salaci (come lo scambio di dialogo tra la governante e la protagonista in occasione della visita al vescovo della città «Ah contessina, sua eminenza le toccherà certamente il cuore». «Sì, toccami qualcos'altro»).
E l'approccio ironico (con forte tendenza al farsesco) investe anche la struttura del romanzo (il suo disegno architettonico) che si articola in due parti: la prima imita il romanzo di confessione, con la protagonista lanciata nel racconto roboante (e un po' spaccone) delle sue gesta di peccatrice anzi di donna dai desideri sfrenati (e doviziosamente soddisfatti) — racconto che si arricchisce di una critica beffarda alla società del tempo e alla sua cultura (soprattutto letteraria) dominata dal lacrimoso Pascoli, dal troppo eroico Carducci, dal divino vate D'Annunzio.
La seconda parte fa il verso al romanzo d'appendice in cui la protagonista racconta come ancora adolescente (quasi bambina) commise peccato d'amore, fu sorpresa dalla famiglia (straordinario il ritratto del padre reso apoplettico dalla vergogna e del fratello maggiore in cui l'ottusità ha i colori della bruttezza), fu incarcerata in casa sotto la sorveglianza di una perfida governante ma con la debolezza del bere, dalla quale si liberò fuggendo, anzi (è classico!) calandosi dalla finestra con una corda procuratale da un bel tenente di cavalleria che, raccoltala tra le braccia sotto la finestra, s'involò con lei a Parigi.
Che già negli Anni Venti Palazzeschi praticasse l'ironia delle forme, anticipando intuizioni che la cultura europea avrebbe messo a disposizione soltanto qualche tempo dopo, è una ragione in più, se mai ce ne fosse bisogno, per ammirare la grandezza e la felicità di uno scrittore che, in tempi di soggezione alla pagina bella, sapeva scegliere di fare letteratura irridendola, di affidare a un romanzo erotico, per intero centrato sulla gloria del sesso, un messaggio di liberazione, di fare della parola della letteratura, tanto apparentemente leggera e indifferente, una parola di intervento.
Dobbiamo meravigliarci allora se, tra le ragioni della non pubblicazione dell’Interrogatorio, vi era il timore dell'autore di non essere compreso, cioè il timore che le novità formali che proponeva sfuggissero al giudizio di un tempo non attrezzato (non disposto) a coglierle? Non dunque lo scandalo dei contenuti ma lo scandalo delle forme potrebbe aver contribuito a lasciare l’Interrogatorio nei cassetti. Ma non ce ne lamentiamo, se oggi siamo più pronti ad amarlo.
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