E’ verosimile che, quando Napolitano trattò con Berlusconi la propria rielezione e la nascita del governo Letta, il Cavaliere abbia spiegato che non sarebbe stata tollerabile una sua condanna definitiva e una sua forzosa estromissione dalle istituzioni politiche.
E' ipotizzabile che il tronfio gli abbia dato una di quelle risposte possibiliste e sibilline in cui è esperto, che abbia detto in sostanza: "Qualcosa si farà!". Probabilmente contava sulla propria abilità nell'intrigo, nella manovra e nell'intimidazione. Di recente era stato artefice di un capolavoro: sulla questione della “trattativa” con Cosa Nostra e sul coinvolgimento nella vicenda di politicanti d’alto bordo, aveva ottenuto – oltre alla distruzione delle intercettazioni compromettenti – la liquidazione professionale e politica del magistrato Ingroia e la neutralizzazione (sperabilmente provvisoria) della magistratura antimafia di prima linea, oggi isolata e sottoposta a terribili minacce.
Ai sapientoni del politicantismo la via per risolvere i guai giudiziari del Cav sembrava essere, con tutte le difficoltà del caso, quella di forzare la mano alla Cassazione nel processo sulle truffe fiscali. Subito dopo una rimediata "riforma di sistema" per ridisegnare il sistema delle immunità, una anticipazione della revisione oligarchica della Costituzione.
Il vanesio, che continua a interpretare il ruolo di padre nobile imparziale e rispettoso delle regole, pretendeva che ciò avvenisse senza dare troppo nell'occhio.
Gli è andata male. La Cassazione, nonostante pressioni e intimidazioni fortissime (oppure proprio come risposta a queste inusuali pressioni), non è stata al gioco e gli "assi nella manica" hanno avuto poco frutto, come quelli degli imbroglioni colti nell'atto del barare.
Il nervosismo di questi giorni, coi giornali che parlano di irritazioni al Quirinale, con le richieste di grazia nonché di riforme “definitive” della giustizia e con le minacce di guerra civile dei “berluscones”, trova una spiegazione plausibile nella “trattativa segreta” sulla rielezione di Napolitano al Quirinale. I “berluscones” pretendono che il vanesio rispetti gli impegni di impunità e immunità per il loro capo senza menare il can per l’aia con le sue abituali schermaglie.
Il tronfio, dal canto suo, vorrebbe salvare la faccia, prendendo tempo e cercando vie tortuose. E così intorbida ulteriormente l’ambiente politico. Rispetto alle lordure di costui (che si fingeva erede dell’onestà e della correttezza costituzionale di un Einaudi, di un Pertini, di uno Scalfaro) i tentati golpe di un Gronchi (con Tambroni) e di un Segni (con De Lorenzo), le pulcinellate di Leone, le picconate del “gladiatore” Cossiga sono ormai acqua fresca. Ho l’impressione, però è che stavolta possa uscire dal cul de sac solo rinunciando a ogni residuo di correttezza istituzionale e ogni senso di verecondia e onorabilità politica.
Mollerà. E ci metterà poco tempo, perché con qualche ragione i seguaci del Cav pensano che trent’anni di corruzione delle masse possano dare ancora buoni frutti elettorali. Le parole d’ordine del tipo “siamo tutti evasori” “siamo tutti corruttori (o corrotti)” “siamo tutti puttanieri (o magnaccia o puttane o veline)” “siamo tutti pregiudicati” corrispondono perfettamente all’ideologia dell’individualismo proprietario e antisociale che permea una parte consistente della società, anche tra quegli sfruttati, provenienti da ceti e classi subalterne, che considerano la loro maggiore risorsa nella crisi la servitù clientelare nei confronti dei potenti.
Questo rafforzerà l’opposizione grillista, il cui leader rilancerà il progetto ambiguo di una “democrazia senza partiti”.
E il Pd? Si calerà le brache? Sì, secondo me. La sua maggiore debolezza sta negli effetti del “porcellum”. A Montecitorio i piddini con il 28% dei voti occupano il 50% dei seggi. In Senato i guadagni ottenuti con l’attuale pessima legge elettorale sono meno forti, e tuttavia significativi: circa il 40% dei seggi. E’ un ceto politico scadente, di cui solo una parte è stato selezionato con primarie di discutibile organizzazione: molti sono emanazione di capicordata e notabili. La speranza di continuare a godere per cinque anni di incredibili e ingiustificati privilegi è alla base degli ignobili comportamenti parlamentari di questa gente, dal tradimento dei 101 alla fiducia senza fiatare a un governo la cui esistenza è nelle mani del Cavaliere pluriprescritto e oggi pregiudicato.
La parola d’ordine dei parlamentari Pd è “salvare la legislatura” e, per rimanere tra i banchi di Montecitorio e di palazzo Madama non pochi sono disposti a ogni compromesso, resa, o trasformismo. Se anche i loro capi decidessero di non mollare – cosa assai improbabile – il grosso dei deputati e senatori raggiungere l’ex dirigente piddino Maran tra i montiani per garantire al paese un governo “responsabile”.
Spero di sbagliarmi, ma nei prossimi giorni – dopo la buriana – la parola d’ordine sarà “calma e gesso, la stabilità di governo è un valore essenziale”. Intanto nei palazzi si studieranno e si troveranno le soluzioni gradite a Berlusconi: la grazia o un farmaco equivalente. Costui, battuto dagli elettori (la sua coalizione è passata dal 47% al 30% e il suo partito ha perso sei milioni di voti) e condannato nei processi, rimarrà padrone del campo. E la crisi di regime, con il movimento operaio e il popolo di sinistra sconfitti, disorientati e – in gran parte – rassegnati, resterà aperta a soluzioni autoritarie d’ogni tipo.
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