Adelaide Coletti, con molta perizia, ha intervistato per “micropolis” di settembre 2011 l’avvocato Francesco Innamorati, che è Presidente del Comitato provinciale Anpi di Perugia e che è stato partigiano del Gap di Perugia, arruolato nel Gruppo di Combattimento Cremona e decorato al Valore Militare. Dalle risposte recupero alcuni brani, quelli meno legati allo specifico perugino. (S.L.L.)
Sullo sciopero Cgil del 6 settembre
L’Anpi è attualmente aperta anche a chi, pur non essendo stato partigiano per ragioni anagrafiche, condivide i suoi obiettivi e cioè non soltanto la valorizzazione della Resistenza e il ricordo delle battaglie e dei caduti, ma anche la lotta politica per la difesa della Costituzione repubblicana e per la piena attuazione dei suoi principi. Anche per questo abbiamo aderito allo sciopero generale indetto dalla Cgil il 6 settembre, per impedire che fosse abbattuto ogni limite all’arbitrio padronale dei licenziamenti.
Sulle proposte Pdl di abolire il divieto costituzionale di ricostituzione del partito fascista e di equiparare ai “combattenti” ai membri dell’esercito della R.S.I.
Non mi risulta che lo Stato italiano abbia mai concesso alcun riconoscimento o alcuna parificazione di trattamento agli esponenti politici e ai combattenti del brigantaggio politico borbonico e sanfedista. Non si capisce quindi perché l’Italia democratica e repubblicana debba accogliere la proposta di parificazione del trattamento e di abolizione del divieto costituzionale di riesumazione del partito fascista.
Sulla Marcia della Pace e la guerra in Libia
L’Anpi ha aderito convintamente alla Marcia della Pace e si batte per la cessazione della missione militare in Afghanistan, dove si sperperano vite umane e denaro. Non crediamo che l’intervento inglese, francese, italiano in Libia abbia lo scopo di creare in quel paese un regime democratico. Siamo invece convinti che le forze armate straniere siano presenti in Libia per preparare un diverso e maggiore sfruttamento in loro favore del petrolio libico.
Sulla primavera araba
E’ un grosso equivoco, nell’ambito del quale si giocano interessi ben lontani dalla democrazia. Altrimenti non si capisce perché si lascia che il regime di Assad faccia centinaia di morti tra i manifestanti che chiedono democrazia, senza ricevere dalle potenze che sono intervenute in Libia nient’altro che blandi richiami verbali. Non si intravedono sviluppi veramente democratici in Egitto dopo la cacciata di Mubarak e così via: dove c’è poco petrolio, c’è poco interesse alla democrazia da parte degli stati intervenuti in Libia.
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