6.9.11

"Repubblica borghese". Napolitano e lo sciopero Cgil.

1. Nella formazione teorica dei militanti del Pci non mancava quasi mai il riferimento a Togliatti e al giudizio che questi diede sulla Costituzione italiana, “patto stretto tra la stragrande maggioranza del popolo italiano, destinato a durare per un lungo periodo del suo sviluppo”. La definizione serviva a sottolineare il valore strategico che il suo partito assegnava alle istituzioni rappresentative e a mettere in soffitta con la “doppiezza” ogni ipotesi di conquista rivoluzionaria del potere; ma nello stesso tempo negava o almeno attenuava di molto il carattere classista della Repubblica nata dalla Resistenza. Non si trattava più in senso stretto di uno “Stato borghese”, ma era qualcosa di diverso, un campo di incontro, di confronto, di scontro tra le forze, un elemento di regolazione della stessa lotta di classe, che riconosceva fin dal suo primo articolo il ruolo fondamentale del lavoro e dei lavoratori.

2. Stamattina, a Perugia, la manifestazione di sciopero contro la manovra del governo m’è parsa inadeguata. Non c’era tanta gente, erano pochi gli operai, assenti i giovani. Pochi anche i discorsi all’altezza dei tempi e della posta in gioco: il più forte e giovane m’è sembrato, paradossalmente, quello del presidente dell’ANPI. Avevo provato un gran dolore. Poi sul web le notizie e le immagini mi hanno consolato: nelle città importanti, nei luoghi decisivi dello scontro sociale lo sciopero e le manifestazioni sono state un successo e sono andati al di là dei confini della Cgil e della sinistra in cui si pensava di chiuderli. Perugia non fa testo – mi son detto – adesso i signori del governo e anche quelli dell’opposizione dovranno tenere conto dei lavoratori, dovranno accogliere almeno alcune loro richieste di equità, dovranno cassare quelle misure che nulla hanno a che vedere con lo stesso risanamento finanziario e che hanno alla base solo l’odio di classe. Pensavo, in particolare, alla cancellazione de facto dell’articolo 18 e di tutto lo Statuto dei Lavoratori, una misura che limita fortemente le libertà nei luoghi di lavoro e che va, se non contro la lettera, contro lo spirito della Costituzione. Mi dicevo: Napolitano, ch’è Presidente della Repubblica fondata sul lavoro, che è stato togliattiano doc, non potrà non intervenire. Qualcosa farà, qualcosa faranno.

3. Napolitano in realtà era intervenuto già prima a dichiarare il suo allarme, ma non per il forte e diffuso malcontento sociale, ma per il nervosismo di borse e mercati. Pare che dicesse: fate presto e rendete strutturale la macelleria sociale, l’attacco a pensioni, sanità, diritti. Dei lavoratori non gliene frega niente e neanche della evidente iniquità di una manovra che colpisce solo chi ha già pagato la crisi e risparmia tutti gli arricchiti, tutti i privilegiati di un ventennio di impoverimento del lavoro a vantaggio della rendita e del profitto. Il signorotto del Quirinale fornisce piuttosto un alibi a provvedimenti improvvisati che probabilmente non saranno efficaci a risanare le finanze statali, ma certamente renderanno il lavoro più povero e servo. Forse alla base della Repubblica italiana non è mai stato quel patto onesto che Togliatti ideologicamente e propagandisticamente vi vedeva, giacché la “doppiezza” non era tanto nel movimento operaio e nelle sue tentazioni rivoluzionarie, ma nei ceti proprietari pronti a ignorare, aggirare, violare o cancellare le norme costituzionali pur di mantenere ricchezza e potere. Quel che è certo che non basterà l’aver riportato in auge la festa del 2 giugno su richiesta degli albergatori per ridarci la Repubblica che credevamo di avere. Oggi, dopo i suoi appelli, dopo le ultime contorsioni della manovra, Napolitano non è il presidente di una Repubblica di tutto il popolo, per di più fondata sul lavoro, ma di una Repubblica proprietaria e padronale, di una Repubblica borghese fondata sui mercati, sulla ricchezza e sul privilegio. 

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