Massimo Maugeri, recensisce nel sito “La poesia e lo spirito” un’antologia di scrittori siciliani del Novecento, Le arance non raccolte, edita da Palumbo, che da quanto ne scrive e dalle scelte del curatore, Salvatore Ferlita, promette molte gioie. Io la comprerò. Mi resta un dubbio. Nelle sintetica biografia posposta leggo che il giovane Ferlita è assistant professor all’Università di Enna. Mi chiedo: i ruoli di quella Università hanno denominazioni in inglese? solo in quella Università o anche in altre? perché non si fa un’eccezione per i docenti di Letteratura Italiana? (S.L.L.)
Il sogno più o meno inconfessato di ogni scrittore è che le proprie opere possano sopravvivere alla inevitabile fine del loro creatore. È un sogno immenso, che si realizza solo per pochissimi eletti: i più grandi, i mostri sacri della scrittura, i consacrati dalle Patrie Lettere. Spesso sono i libri migliori a vincere la scommessa contro il tempo. Eppure, nell’oceano sconfinato di parole e di carta prodotto negli anni, nei decenni, nei secoli, tante opere meritevoli di essere ricordate finiscono inevitabilmente con l’essere risucchiate nei gorghi della dimenticanza, per finire depositate sui fondali dell’oblio. È per questo che, da siciliano, sono profondamente grato al critico e italianista Salvatore Ferlita che ha tentato, con successo, di realizzare un’ambiziosa opera di recupero di autori e testi di valore che, per motivi vari e non sempre identificabili, sono stati emarginati o – in alcuni casi – persino cancellati dalla nostra memoria letteraria. Nel volume antologico Le arance non raccolte. Scrittori siciliani del Novecento, appena edito per i tipi di Palumbo (pagg. 351, euro 20), Ferlita punta i riflettori su nomi che – nella maggior parte dei casi – risulteranno ignoti al comune lettore (e a molti degli addetti ai lavori). Come precisa lo stesso Ferlita nella prefazione, “A chi scrive premeva soprattutto trarre in salvo alcune pagine di un drappello di autori siciliani condannati alla condizione di minori, sacrificati sull’altare del canone, in nome di un gruppo ristretto di scrittori ritenuti maggiori, gli imprescindibili, insomma i classici”.
Naturalmente ci sono minori e minori. “Minori che sono davvero tali”, scrive Ferlita “e altri che lo sono a torto, condannati a una subalternità da una congerie di cause, che vanno, tanto per fare qualche esempio, dalla disattenzione di certi critici al contesto storico in cui le opere in questione hanno visto la luce; dalla predisposizione personale degli autori all’eremitaggio fisico e spirituale, all’insipienza degli editori che su di essi non hanno creduto fino in fondo. E così a seguire”.
Ferlita compie un lavoro mirabile, perché non si limita a selezionare (assumendosi la responsabilità della scelta) alcuni brani significativi delle più importanti opere di questi autori, ma offre delle succose e ammalianti introduzioni che riassumono vite e destini letterari di scrittrici e scrittori rimasti sui rami, come arance attaccate all’albero; a volte, come già precisato, in maniera non facilmente spiegabile, giacché nel drappello dei “dimenticati” figurano nomi di autori pubblicati nelle più importanti collane dei principali editori italiani e che hanno beneficiato di critiche autorevoli e favorevoli (vincendo persino premi letterari tutt’altro che secondari).
In fin dei conti, quello che ci offre Ferlita è un viaggio tra storie e destini proposto con l’ausilio di una mappa, di un itinerario di lettura opportunamente strutturato che coincide con i capitoli dell’opera: Una Sicilia irredimibile (Paolo Giudici, Livia De Stefani, Antonio Russello, Romualdo Romano), L’avventura dello zolfo (Nino Di Maria, Angelo Petyx), Siciliani del mondo (Jerre Mangione, Giuseppe Garretto, Fulco di Verdura), La fabbrica del romanzo (Elisa Trapani, Franco Enna), La cifra religiosa della realtà (Angelina Lanza, Fortunato Pasqualino), Umoristi di razza (Massimo Simili, Umberto Domina), Il mestiere sbagliato (Nello Sàito, Ugo Attardi, Salvatore Fiume, Eugenio Vitarelli), Esordi promettenti (Mino Blunda, Giuseppe Lo Presti), Tarli metafisici e filosofici (Giuseppe Rovella, Sebastiano Addamo), Fantascienza primigenia (Armando Silvestri), Scritture collaterali (Alfredo Mezio, Antonino Trizzino, Sebastiano Aglianò, Niccolò Gallo, Rosario Assunto).
Autori poco noti e spesso fuori catalogo, con qualche eccezione: è il caso, per esempio, di Sebastiano Addamo la cui opera principale, il romanzo Il giudizio della sera, è stata ripubblicata da Bompiani nel 2008 a cura di Sarah Zappulla Muscarà; oppure – sempre a titolo di esempio – quello di Sàito, di cui Hacca edizioni, quest’anno, ha riproposto Gli avventurosi siciliani (romanzo finalista al Premio Strega 1955): mi riferisco, peraltro, allo stesso Nello Sàito, vincitore del Premio Viareggio del 1970 con il romanzo Dentro e fuori (ma anche Sàito, di fatto, è stato dimenticato). E chi si ricorda più di Elisa Trapani, la Liala siciliana, apprezzata da Scerbanenco, autrice di una produzione narrativa sterminata, con molte opere pubblicate da Mondadori? E Franco Enna, detto “il Simenon italiano”, pubblicato da Mondadori e Longanesi? Chi lo legge più?
Che alcuni di questi autori avrebbero meritato una sorte diversa, lo afferma anche lo scrittore e giornalista culturale Paolo Di Stefano sulle pagine de Il Corriere della Sera del 5 luglio 2011: “Come l’ex coglitore di arance Fortunato Pasqualino, almeno per il suo romanzo d’esordio Mio padre Adamo (1963), un racconto nero che Ferlita descrive come una sorta di Mastro don Gesualdo al contrario. O come Massimo Simili, il «catanese spelacchiato», scrittore satirico presente nel catalogo Rizzoli con una decina di titoli, diversi dei quali fanno ancora ridere. Così come fa ancora sorridere la verve comica di Umberto Domina, molto più noto come pubblicitario che come autentico scrittore, inventore di battute a volte geniali, contaminatore di generi e manipolatore della lingua. E soffermatevi sulla folle visionarietà del terrorista di estrema destra Giuseppe Lo Presti, una specie di Dante Virgili dalla vita brevissima (nato ad Alcamo nel 1958 e morto nel ‘ 95), passata per un decennio in carcere per attività sovversiva e poi per rapina: da Mondadori nel 1990 esce, grazie ad Aldo Busi, Il cacciatore ricoperto di campanelli e tutti gridano al miracolo dell’esordio (anche Giuseppe Pontiggia fu tra i suoi ammiratori)”.
Insomma, chi leggerà questo volume avrà la possibilità di imbattersi in un universo letterario parallelo rispetto a quello comunemente noto. E ne uscirà arricchito.
Ai lettori, dunque, l’importante compito di cogliere le arance non raccolte. A Salvatore Ferlita il merito di averli introdotti in un terreno fertile, ricco di buoni frutti che meritano di non marcire.
Massimo Maugeri
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