Moura Budberg con Maksim Gorkij
La baronessa estone Moura Budberg, o se si preferisce la principessa russa Maria Ignatievna Zakrevskaja, una discendente della «Venere di bronzo» di Pushkin, non fu soltanto una delle donne più affascinanti d' Europa tra la prima e la seconda guerra mondiale, amante, convivente e musa per numerosi anni di due dei più grandi romanzieri del loro tempo, il russo Maksim Gorkij e l' inglese H.G. Wells. Fu anche una delle più importanti spie della prima metà del secolo XX, per un trentennio al servizio, a turno, della Germania, dell' Inghilterra, della Russia e della Francia, Paesi tutti di cui padroneggiava la lingua, una vera Mata Hari, immortalata in un film, L' agente inglese, su Robert Bruce Lockhart, che ispirò poi a Ian Fleming il personaggio di James Bond.
E fu una leader culturale e intellettuale della Londra alla fine dell' impero, scrittrice, traduttrice e direttrice di “France Libre”, alla cui morte - a Firenze nel 1974 - il “Times” pubblicò un emotivo necrologio. Di Moura, l' amica Nina Berberova, compagna di Vladislav Khodasevic, definito da Vladimir Nabokov «il massimo poeta russo della nostra era», scrisse nell' 88 una biografia che ora è stata tradotta in inglese in vista del settantesimo anniversario della morte di Gorkij nel '36 e del sessantesimo anniversario della morte di Wells nel '46. Il libro, Moura. La vita pericolosa della baronessa Budberg (New York Review Books Classics, pp. 404, $ 24,95) ha il sapore di un romanzo, ma più che una storia di spionaggio è una storia della Russia di Stalin vista con gli occhi dei protagonisti.
Ambientato in gran parte in Italia, dove Gorkij, sebbene sorvegliato speciale di Mussolini, trascorse la maggioranza degli anni Venti e i primi anni Trenta, per ritornare poi a Mosca, getta nuova luce sulle sanguinose purghe del dittatore sovietico. E ne denuncia i compagni di viaggio della sinistra europea, i maestri del pensiero francese innanzitutto, che per motivi inspiegabili ignorarono i suoi crimini. La Berberova, che in esilio mantenne i contatti con la nomenklatura del Cremlino, racconta che fu Moura a indurre Gorkij, di cui era praticamente la moglie morganatica, a lasciare Sorrento e a rimpatriare: in Europa il romanziere, intimo di Lenin ma critico di Stalin, non aveva più seguito né mezzi di sussistenza, e il regime sovietico, che aveva bisogno di lui per ricostruire la propria immagine, gli garantiva onori e ricchezze. La baronessa Budberg - così chiamata dal secondo marito, da lei abbandonato - si era già legata a Wells e trasferita a Londra, ma al distacco nel 1933 Gorkij le affidò egualmente l' epistolario privato, che conteneva lettere e documenti compromettenti non solo su esiliati russi, bensì anche su dirigenti del Pcus.
Nel giugno del 1936, ricattata da Stalin, in possesso di un fitto dossier sul suo passato, e forse anche per non venire assassinata, Moura gli consegnò l' epistolario. Il dittatore se ne servì per i processi successivi. Secondo la Berberova, quel mese stesso Stalin, che aveva messo Gorkij agli arresti domiciliari, pensando che tramasse contro di lui, fece uccidere lo scrittore, ormai gravemente infermo, per procedere liberamente alle purghe. E a uno dei processi, ne costrinse il segretario Piotr Krjuchkov ad addossarsi l' omicidio, «compiuto per conto della banda di Trotzkij». La Berberova sostiene che alcuni intellettuali sovietici, dal romanziere Ilija Ehrenburg all' attrice Lily Brik, ebbero sentore del piano di Stalin e convinsero André Gide e Louis Aragon, i due luminari francesi, a ritardare una progettata visita a Gorkij per evitare che ci andassero di mezzo.
La scrittrice accusa i mostri sacri di Parigi di complicità con Stalin. Tra le ragioni: il dittatore ne aveva infiltrato il mondo con seducenti spie sovietiche, diventate poi le loro mogli o amanti, condizionandone in parte la posizione politica, come nel caso di Aragon, di Romain Rolland, Paul Eluard e Fernand Léger. Su Moura, le epurazioni della fine degli anni Trenta nell' Urss ebbero un effetto devastante: la baronessa negò per tutta la vita di avere tradito Gorkij, concluse la sua carriera di spia lavorando per l' intelligence inglese nella seconda guerra mondiale, e si dedicò alla difesa di Wells, giunto a sua volta al tramonto. Portò i suoi segreti nella tomba. Nemmeno Lockhart, «l'agente inglese», il suo primo grande amore, con cui aveva operato in Russia durante la rivoluzione bolscevica, seppe ricostruirne le imprese. Solo Jakov Peters, il numero due della polizia politica sovietica, presidente dei tribunali rivoluzionari, infine capo della guardia del Cremlino, conosceva la verità su Moura: disse di averla reclutata nella prima guerra mondiale strappandola ai tedeschi, e di averle fatto fare il doppio gioco con Lockhart. Ma Peters, un altro suo ex amante, venne fucilato nel 1938, e alla riabilitazione nel '56 nulla emerse sui trascorsi della baronessa. Nell' avvincente affresco degli intrighi moscoviti e dell' alta società europea, la figura della Mata Hari russa resta avvolta nel mistero.
Nina Berberova scrive che «appartenne a una generazione che fu per tre quarti distrutta dalla rivoluzione bolscevica, dalle due guerre mondiali e dal terrore staliniano», e sopravvisse e prosperò grazie a un' infinita capacità di adattamento: «Seppe staccarsi dal suo vecchio mondo e battersi in quello nuovo, a lei estraneo, giorno dopo giorno, raggiungendone i vertici e restandovi». Le sue armi furono la bellezza e la seduzione, l' intelligenza e l' astuzia. Tra l' aristocrazia russa, e quelle delle altre sei o sette monarchie europee che crollarono in quegli anni, rappresentò un' eccezione. Ma i rischi e i compromessi finirono per minarne la salute. Morì a 83 anni, obesa, semialcolizzata, semiparalizzata dall' artrite, sola. Alle sue esequie assistettero solo una cinquantina di persone e i due figli, di cui non aveva mai parlato.
"Corriere della sera", 21 novembre 2005
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