I vecchi e i giovani, che Pirandello pubblicò in volume nel 1913, era nelle intenzioni il romanzo del fallimento dell’Italia unita, del suo progressivo piombare nella palude del carrierismo e dell’affarismo. I punti di vista scelti dall’autore sono la Sicilia percorsa dal movimento dei Fasci operai e socialisti e dalla sanguinosa repressione crispina e la capitale degradata e corrotta, ove i fasti della Roma bizantina cantata dal D’annunzio, dopo lo scandalo della Banca romana, lasciano posto a un diffuso, disperato squallore. Gli storici della letteratura considerano il libro una regressione a moduli naturalistici, ma recenti letture (di Telara, per esempio) ne esaltano la capacità di raccontare l’Italia agli Italiani, non solo quella di ieri ma quella di oggi.
Sono d’accordo. Il titolo nel romanzo contrappone la generazione risorgimentale che ha digerito gli ideali e molto altro alla nuova, inquieta e insofferente al vecchiume, ma (con poche eccezioni) non meno vuota di idee e passioni autentiche, ma ben s’adatta all’Umbria e all’Italia d’oggi: a Pirandello, per esempio, rimanda una bizzarra polemica sul “Corriere dell’Umbria” in questo settembre di sfascio.
Il giornalista Petrollini vi ha pubblicato il 13, sotto il titolo Io Rita vi dico che… , un articolo volutamente ambiguo: un’intervista all’ex presidente della Regione, resa credibile dalle prudenze e distinguo, cui è poscritta la rivelazione che il colloquio è inventato, ma che le risposte potrebbero essere vicine alla verità, benché la donna politica continui a tacere.
La Lorenzetti dell’intervista nulla dice di scandaloso; anzi, per essere precisi, non dice nulla di nulla, se non che avrebbe voluto il terzo mandato per fare le riforme e che è un po’ delusa dai “giovani”, i quali mettono tra i rifiuti anche il buono ereditato.
A questo brodino tenta di aggiungere sapore il giovane Cernicchi, assessore al Comune di Perugia. Si schermisce (“non sono un rottamatore”) dichiara di rispettare le cose buone del passato, ma aggiunge: “Se Lorenzetti davvero pensasse quel che Petrollini inventa, io le direi…”. Con questo artificio prosegue sulla linea del “dire e negare”, fino a un finale d’altri tempi, a sorpresa: “unità, unità, unità”.
Questa polemica, a mezzo tra il vero, l’inventato e l’ipotetico e senza dentro uno straccio di idea, è segno di degrado: è prassi deteriore del ceto politico regionale come nazionale, di destra come di centrosinistra, ricorrere a criptiche allusioni vagamente minacciose che hanno come orizzonte le carriere, le cordate, le camarille. L’impressione che scaturisce da questo ambiguo dialogare di giornalisti e politici è – come nel romanzo pirandelliano – di una classe dirigente inetta e arrogante, serrata nei privilegi e nella presunzione d’intoccabilità, impregnata di clientelismo. A fronte di essa una cittadinanza esausta e disillusa, fiaccata dalla crisi, con gli strati popolari senza rappresentanza e speranza.
In questo rotolare giù del ceto politico scaturito dal Pci, in questo suo progressivo assimilarsi ai trasformisti dell’Ottocento, ai dorotei della Dc, io vedo la conseguenza della scelta (connessa alla svolta di Occhetto, ma per molti aspetti preesistente a essa) di un partito non più classista, non più di parte, ma capace di volare alto tra valori e progetti per tutti. Il liberale e borghese Gobetti soleva dire che dalla classe operaia e dalla sua autonoma partecipazione politica veniva all’Italia un principio di riforma etica. Era il principio del lavoro che socialisti e comunisti vollero a base dell’Italia repubblicana e democratica. Da quando i craxisti del Psi e poi gli apparatniki del Pci decisero di non dovere rendere più conto agli operai e ai lavoratori, ma solo ai cittadini elettori, la bussola è il consenso comunque ottenuto; ma se la lotta politica non è più lotta di classe, facilmente diviene lotta personale, di gruppo o di generazione per il potere, il privilegio e l’arricchimento.
E diventano più vere che mai le tragiche affermazioni del Pirandello de I vecchi e i giovani. Come questa: “Mangia il Governo, mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l’ingegnere e il sorvegliante… Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti sulle spalle e resta schiacciato?”.
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