Gli organizzatori degli altri premi letterari dovrebbero venire qui a imparare come si crea e si conduce un premio: massima sobrietà nella forma e massimo del piacere quanto al cibo e al bere, protagonisti unici e assoluti gli autori dei diari, coccolati e festeggiati già per il solo fatto di aver voluto mettere in comune quel loro pezzetto di intimità. Di solito i “diaristi” giungono con le famiglie, e sono i primi a meravigliarsi di tante attenzioni. Spesso a presentare quei diari non sono gli autori che magari non ci sono più, ma i familiari che avendo ritrovato quelle scritture in qualche angolo di casa, ridanno vita ai loro cari facendone conoscere la scrittura.
A vincere il premio quest’anno è stata una signora di Baucina, nella provincia di Palermo. Si chiama Antonina Azoti, e subito dopo la guerra, quando aveva solo quattro anni, le fu ucciso dalla mafia il padre, sindacalista. Quell’evento ha segnato la sua infanzia, come racconta nel suo diario. La obbligò a censurare il cappotto rosso appena ricevuto per essere immersa come tutta la famiglia e la casa nel nero del lutto. C’è voluto molto tempo per lei per uscire dal mistero di quella morte, e forse anche dalla “vergogna” che per quella morte oscura un ambiente omertoso le faceva pesare. Il diario le è servito anche a questo, a ridare spessore e grandezza al padre ucciso, e a ristabilire i contorni della tragedia sociale e civile che con la cultura mafiosa grava sull’isola come maledizione ineluttabile.
I diari di Pieve Santo Stefano sono così: insegnano la memoria e la storia parlando di cose piccole e private.
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