Alcune peculiarità toponomastiche del mio paese natio certamente derivano dalla esuberanza di Calogero Gueli, per lungo tempo sindaco di Campobello di Licata, il quale, mai del tutto dimentico degli ideali rivoluzionari della sua giovinezza, battezzò una via Che Guevara, una via Lenin, una via Rosa Luxenburg e perfino una via Trotzkij, rarissima se non unica in Italia.
Altri nomi derivano dall’attenzione che lo stesso Gueli riservava all’attualità.
Fu felice, per esempio, la trasformazione in piazza Aldo Moro della piazza Costanzo Ciano, molto centrale e dai più chiamata “la Vasca”, per la presenza di un’ampia fontana non sempre zampillante a causa delle ricorrenti penurie idriche. Non c’è dubbio che il pur controverso statista democristiano pugliese ucciso dalle Brigate Rosse avesse più meriti civici del famigerato Ammiraglio Ciano, sedicente eroe della Grande Guerra, grande beneficato del fascismo di cui fu sostenitore e ministro e i cui sospetti e favolosi arricchimenti determinarono il soprannome di Ganascia, infine consuocero del Duce.
Meno felice la dedica a Tien An Men della piazza che prima era intitolata al Campo Sportivo e che appunto aveva preso il posto del vecchio stadio di calcio (il nome dialettale al tempo della mia infanzia era “lu campu viecchiu”). Mentre Gueli ed il suo amico Silvio Benedetto, l’artista argentino di cui s’era fatto pubblico mecenate, provvedevano a dotare la piazza di obelischi, mani semichiuse ed altri scultorei simboli, oltre che di pretenziose citazioni, il moto pechinese fu sanguinosamente represso. Gueli, come tutti gl’ingannati mediatici d’Occidente (me incluso), pensava che le vittime fossero assai più numerose di quelle che effettivamente furono e fu spinto a scegliere quel nome dalla convinzione che potesse diventare simbolo perenne d’oppressione ed insieme di libertà. Ma il regime cinese del PCC (non mi pare il caso di parlare di comunismo) s’è dimostrato assai più vitale di quanto allora Gueli probabilmente non pensasse: nella storia ufficiale della Cina attuale gl’incidenti di quella piazza sono raccontati come un ritorno all’ordine che ha permesso il successivo grande sviluppo economico e in Occidente sono stati quasi dimenticati.
L’oblio ha sepolto anche le ragioni dell’intitolazione della piazza principale del paese. Un sindaco duraturo come Gueli, tal Ciotta, tra l’Ottocento e il Novecento, la inaugurò, dopo aver abbattuto il borbonico carcere che occupava quello spazio e, data la sua caratura massonica, scelse come nome la data del 20 settembre, fine del potere temporale dei papi. A quel tempo in paese c’era chi cantava in una strana mistura tra lingua e dialetto “Versu li venti / settembri del mesi / sonava le cinque / l’orologgiu francesi./ Evviva Maria!/ Evviva Gesù, / sti boia preti non regnano più”. Ma in una Italia profondamente clericalizzata quella data perde sempre più di significato ed anche quella intitolazione, come molte di quelle gueliane, appare anacronistica o addirittura insignificante.
1 commento:
Devo aggiungere che dopo piazza Ciano fu per un breve periodo intitolata "Piazza del Popolo"
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