Paola Colaiacomo è un’anglista di poliedrici interessi. Senza mai abbandonare la letteratura inglese, si occupa infatti di architettura, di design e – da alcuni anni sempre più specialisticamente - della moda, della sua storia e dei suoi linguaggi. Il brano che qui riprendo, assai suggestivo, su Agostino, la memoria e la città è tratto da un più ampio articolo su Henry James, di cui costituisce l’incipit. (S.L.L.)
Rovine di Cartagine |
Davvero stupefacente è l'analisi agostiniana del tempo. Letteralmente memorabile, perché passata nella memoria delle generazioni e diventata patrimonio comune, bene ereditario di tutti. Tutti la viviamo e tutti la facciamo nostra, quell'analisi, anche se non ci è mai capitato d'incontrarla sulla pagina. Sul tempo, Agostino dice delle cose in fin dei conti molto semplici. Preliminarmente, accetta le tre partizioni classiche - futuro, passato, presente - e poi, analiticamente, arriva alla conclusione che il tempo tende a non esistere. Tutta colpa del presente, che fuggendosene via verso il passato non riesce ad essere veramente "presente". E una volta venuto meno il presente, anche il passato e il futuro perdono di consistenza, fin quasi ad annullarsi, e tutto il sistema si disordina. Insomma, cose che a chiunque sarà capitato di pensare almeno una volta nella vita.
Dove invece questo pensiero mostra la sua unicità è nella forza che sa trarre dal passaggio attraverso il nulla. L'esito per uno di noi poteva essere scettico, o metafisico. Ma ecco il colpo d'ala: a contrastare la spoliazione dal tempo che tutti subiamo, Agostino inventa la memoria. Il tempo che all'analisi risultava inafferrabile ritorna, attraverso la memoria, come tutto presente: come ricordo e come desiderio. Ritorna potenziato dal ricongiungimento con lo spazio, dal quale era stato separato per schematismo analitico. Se il tempo è la rivoluzione dei corpi celesti, perché mai non dovrebbe essere tempo anche il giro della ruota del vasaio? O quel particolare movimento corporeo prodotto dal passaggio dell'aria attraverso i polmoni, che risuona all'esterno come voce? Attraverso la memoria che se ne conserva - memoria delle sillabe pronunciate, lunghe o brevi - la voce umana e mortale diventa l'unica misura certa del tempo. La metrica della memoria calcola gli intervalli di silenzio in termini di estensione temporale.
Tempo-spazio compresso e stratificato, edificato attraverso i secoli, è la città. E' per questo motivo che le città degli uomini valgono come altrettanti emblemi del tempo. Accade perciò ripetutamente che l'analisi del tempo e della memoria riporti Agostino a Cartagine, città della sua giovinezza. Così ricordo Cartagine, scrive, come la fisionomia delle persone che vi incontrai. E come avviene che la mente conserva il senso della parola, "felicità", anche in assenza della cosa, così rara? Si tratta forse di un ricordo, in tutto simile a quello che ha di Cartagine chi vide quella città?
Nel porre questa domanda, Agostino dà vita - quasi come fosse un sottoprodotto del suo pensiero - a una sequenza mentale dal fortissimo potere modellizzante. I passaggi attraverso i quali ci guida - memoria, città, felicità - ci portano a comprendere che se al viaggio va congiunta l'illusione della felicità, è per via della parentela stretta che l'atto del viaggiare ha con il ricordare. L'incisione arriva così in profondità che ancora oggi, dopo circa duemila anni, sentiamo il nervo scoperto, sensibile. Desiderio e nostalgia, modi della memoria, si legano ancora per noi spontaneamente ai luoghi edificati, alle città: artefatti tutti umani e storici, nei quali lo spazio-tempo della memoria, di per sé invisibile, riceve una esteriorizzazione monumentale. E' questo il circuito dei pensieri e delle emozioni che rende deliziosa la visita di una città straniera, o il ritorno in una città un tempo conosciuta e amata, ma dalla quale ci siamo allontanati.
da L’esule inquieto in “il manifesto”, 17 febbraio 2002
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