L’articolo da cui ho tratto il brano che segue, sul manicomio giudiziario di Barcellona in Sicilia, è stata pubblicato da “il manifesto” del 17 luglio 2010. E’ il resoconto di una visita della commissione parlamentare guidata dal senatore Ignazio Marino e ne documenta gli orrori.
Il posto era tremendo anche tanti anni fa: ci rinchiusero nel 1970, per punirlo di una sua ribellione contro le angherie dei secondini dell’Ucciardone, un compagno operaio in attesa di giudizio per uno scontro con i fascisti davanti al Cannizzaro. La magistratura di quei tempi, legata a doppio filo ai governanti democristiani, prendeva abbastanza spesso provvedimenti siffatti. Non senza qualche connivenza sanitaria. Quel ragazzo ribelle – mi pare che di cognome facesse Lombardo, come l’attuale presidente della Regione – al processo, assistito dall’avvocato Bacciardi, fu assolto.
A Barcellona Pozzo di Gotto era rimasto un mese o poco più. Ed era già vicino ad impazzire.
Quell’Ospedale psichiatrico giudiziario, in quanto tale, oggi dovrebbe essere chiuso e i suoi ospiti dovrebbero passare in carico alla sanità regionale; ma la Regione Sicilia è speciale, non solo per via dello “statuto”, e si guarda bene dall’attuare la riforma del 2008. Qualche giorno fa, il 10 maggio 2011, una delegazione della Cgil regionale siciliana, accompagnata dalla CGILtv, ha fatto una visita a quel manicomio: le cose stavano più o meno come l’anno scorso. O persino peggio. Il primo passo – dice la Cgil - è il recepimento da parte della Regione Sicilia (unica regione in Italia a non averlo ancora fatto) delle norme che dispongono il trasferimento dell’assistenza sanitaria dalla medicina penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale e la chiusura degli OPG. Sul tema la Cgil Siciliana prepara una iniziativa di dibattito e di lotta per il 31 maggio prossimo. Per informazioni sul tema consultare il sito http://www.stopopg.it/ . (S.L.L.)
Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg), di Barcellona Pozzo di Gotto, Sicilia. Un uomo, contenuto a letto, con una legatura con garza alle mani e ai piedi, con un vistoso ematoma, coperto da un lenzuolo, completamente nudo. L'uomo è legato ad un letto arrugginito, con al centro un foro per feci e urine che finiscono nel pozzetto posto a terra nel pavimento. Di fronte a lui un carabiniere, non sappiamo se scosso dal caldo siciliano o dalla durezza di quella immagine. Non è una scena di un altro secolo. E' l'undici di giugno scorso e il carabiniere non è lì nel ruolo del custode. E' un componente dei Nas che accompagnano la delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia del servizio sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino (Pd). L'Ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, più familiare come manicomio giudiziario, oggi "ospita" 350 internati. Gli internati sono sofferenti psichici autori di reato, condannati ad una misura di sicurezza che può essere prorogata senza limiti. Fu inaugurato dal ministro Rocco, guardasigilli del governo Mussolini nel 1925. La struttura, nata come primo manicomio giudiziario dell'era fascista, è al momento l'unica che ancora non ha neppure cominciato il percorso previsto dalla riforma penitenziaria.
La visita è a sorpresa ed il resoconto parlamentare è impressionante. Marino parla di «celle luride affollate al di là della soglia di tollerabilità, internati seminudi e madidi di sudore a causa della temperatura torrida, per lo più sotto l'evidente effetto di psicofarmaci, contenzioni adottate con metodiche inaccettabili e non repertate sugli appositi registri». Ci va giù duro, senza mezzi termini, come anche gli altri componenti della Commissione. E se per la senatrice Donatella Poretti (Radicali) la critica all'uso della contenzione fisica è un atto coerente con la propria storia, le parole del senatore Saccomanno (Pdl), con un curriculum politico assai differente, segnano la gravità dello stato di cose. Rileva Saccomanno che «dai registri rileviamo che la media della contenzione è di quattro - cinque giorni e non sono riportate motivazioni cogenti anche per un medico non psichiatra, ma solo una generica dichiarazione della sua necessità, nel caso presente, tra l'altro non predisposta dallo psichiatra che sembra essere un materiale professionale raro». Parla, riferendosi alla seconda sezione, (ve ne sono sei in tutto l'Opg), di abbandono sanitario, di degrado igienico, di affollamento con fino a nove persone per cella, del «dramma delle condizioni» di pareti, bagni, letti e lenzuola (cambiate ogni 15 giorni se possibile)». Le cartelle cliniche risultano spesso carenti nell'anamnesi e «certificano per pazienti importanti carenze del programma originario per controlli, regolazioni, indicazioni».
Un fiume di accuse, non nuovo per chi come “il manifesto”, ha sempre raccontato il dolore dei manicomi giudiziari, ma che assume nuovi contorni. Una situazione "oggettiva" che lo stesso direttore Nunziante Rosania definisce «un momento di particolare difficoltà per una drammatica carenza di risorse economiche, per la riduzione di personale e per un numero di ricoverati che è lievitato in maniera esponenziale». E ancora, lo stesso direttore ammette (con sincerità disarmante) «che le terapie psichiatriche (..) sono sicuramente obsolete rispetto a quelle che vengono praticate all'esterno dato che non abbiamo i fondi sufficienti per acquistare, in misura adeguata, neurolettici tipici di ultima generazione». Pippo Insana, cappellano da oltre 25 anni e storico punto di riferimento per gli internati, è diretto: «Mancano farmaci, manca personale idoneo e qualificato a curare e riabilitare. Le persone inferme di mente più problematiche vengono trasferite continuamente da un reparto all'altro, senza un serio e impegnativo intervento sanitario». I numeri confermano questo stato di crisi. Nella struttura, per quasi 400 persone sono presenti solo 28 infermieri di ruolo e 6 medici incaricati. I sei consulenti psichiatrici hanno un monte ore che, suddiviso per il numero di presenti, si traduce in 48 minuti di assistenza al mese. Numeri che comunque non giustificano il ricorso alla contenzione e che lasciano perplessi gli stessi componenti della Commissione. La senatrice Poretti è caustica: «Quando abbiamo chiesto al medico di turno il motivo per il quale il soggetto si trovasse lì, non essendo indicato nel registro di contenzione, sinceramente non l'ho capito. Il medico ha continuato a ripetere che quel soggetto aveva dato fastidio agli infermieri e che addirittura aveva infastidito un'infermiera con delle battute osé». Una ferita ancora aperta quella della contenzione, fenomeno sommerso ancora praticato nei manicomi giudiziari (con l'esclusione di Aversa, dove la contenzione è stata sospesa poco dopo la visita del Comitato europeo per la prevenzione della tortura).
L'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, rispetto agli altri cinque Opg d'Italia (Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere), ha una caratteristica che certo complica le cose. Qui, in virtù dell'autonomia regionale, la riforma del 2008 che ha sancito il trasferimento della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale non è mai stata applicata perché la regione non ha ancora recepito la norma nazionale. In sostanza, se negli altri Opg le direzioni di sono sdoppiate (una penitenziaria e una sanitaria), e le Asl hanno fatto il loro timido ingresso nel sistema manicomiale con propri soldi e personale, qui la situazione è rimasta com'era, confinando questa struttura che è già di per sé un ibrido tra carcere e manicomio, in una terra di confine.
L'altra questione è relativa alla misure di sicurezza e le denunce che arrivano da Barcellona sollevano un problema generale. Le misure di sicurezza, a differenza di una pena definitiva, possono essere prorogate. Applicate in prima sede, a seconda della gravità del reato, ad un sofferente psichico incapace di intendere, possono durare 2, 5 o 10 anni. Al loro termine, valutate le condizioni di pericolosità sociale, possono essere prorogate. Pippo Insana spiega molto bene il meccanismo, con un riferimento alla realtà di Barcellona che vale anche per gli altri internati in Italia: «Ricoverati con lievi reati, rimangono ristretti sino a più di dieci anni con misura di sicurezza provvisoria, senza la definizione del processo (...) i 390 ricoverati con molti anni di proroga della misura di sicurezza (anche oltre 20) continuano a restare ristretti in Opg e a subire ulteriori proroghe. I ricoverati senza residenza continuano a rimanervi con proroghe»…
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