Per orientarsi nei problemi della politica bastano ricordi di operette. Tutto ciò che si può dire contro un governo assolutistico lo si assimila già nel personaggio di un re Bobèche, di un principe ereditario Kasimir o di un generale Kantschukoff. Se l’esigenza dei frasaioli, per cui l’arte dovrebbe occuparsi delle faccende pubbliche, può mai avere un senso, è soltanto in riferimento alla produzione operettistica, che può essere a buon diritto rimproverata di aver trascurato già da qualche decennio le uniche faccende umane che non sono da prendere sul serio, e cioè le faccende pubbliche.
Di fatto, tra le forme dell’arte, l’operetta è l’unica adeguata all’essenza di tutti gli sviluppi politici, perché essa dà alla stupidità la redenzione della inverosimiglianza. Che altrimenti l’arte scelga come suo materiale gli avvenimenti del giorno appena sfornati è una sciocca aspirazione; persino la satira li spregia, perché essa può senz’altro cogliere la ridicolaggine della politica, ma le ridicolaggini intime della politica si svolgono al di sotto del livello di una considerazione spiritosa in senso alto…
Detti e contradetti, Adelphi, 1972
Detti e contradetti, Adelphi, 1972
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