Le accuse di comunismo periodicamente rivolte a Chaplin per i suoi film e per i suoi atteggiamenti di uomo libero non hanno alcuna consistenza, mostrano solo la paura e l’intolleranza di un mondo che vuole mantenere i suoi privilegi fondati sullo sfruttamento del prossimo. Ma altrettanto ingiusta è la taccia di individualismo anarchico, smentita proprio da Tempi moderni, anche se il suo richiamo al rispetto della persona umana fa di Charlot un solitario in continuazione respinto dalla società eppure pieno di fiducia. “Ce la faremo” dice alla monella nel finale del film.
Indiscutibile è invece lo profonda e coerente coscienza sociale di Chaplin, uno dei più grandi artisti contemporanei che meglio ha espresso e con maggiore aderenza alla realtà lo spirito della nostra epoca inquieta. Si pensi alla tematica del Dittatore, di Monsieur Verdoux e dello stesso Luci della ribalta.
Qui non si vuol tanto analizzare e sottolineare l’altezza poetica di Tempi moderni (inimitabile perché opera di una personalità singolare ed eccezionale) quanto mettere in rilievo quanto essa sia nutrita da idee suggerite da una piena partecipazione alla vita. Di qui l’immediata risonanza nel pubblico, la sua popolarità.
Nessuna di quelle irresistibili invenzioni, che fanno ridere fino alle lagrime, - e son lagrime salate che lasciano l’amaro in bocca spingendo a riflettere e ad agire – è gratuita, fine a se stessa, ma sono sempre in funzione di una precisa idea, di un preciso giudizio morale. Né è possibile qui ricordarle tutte tanto si succedono rapide, incalzanti, in una requisitoria senza un minuto di tregua, uno degli atti di accusa più lucidi contro una società che stritola gli individui o li meccanizza fino alla follia.
Il film, dopo venti anni, non solo non ha perduto nulla dei suoi pregi artistici, né è invecchiato perché condotto (e fu già a suo tempo questa una polemica) con la tecnica del muto, ma ha acquistato un maggiore mordente critico in quanto oggi se ne scoprono meglio quei valori profondi che, superando le cause contingenti, vanno oltre le intenzioni dell’autore, come accade per le opere d’arte veramente vitali. Se questa è la “storia dell’umanità alla conquista della felicità” è chiaro che per Chaplin tale conquista si potrà avere solo quando l’individuo sarà liberato dalla schiavitù delle macchine, dalla disoccupazione e dall’alternativa tra fame e galera, quando ognuno avrà assicurato un lavoro, una casa, una tavola apparecchiata.
Postilla
Il brano è tratto da un più ampio articolo intitolato "L'uomo di Chaplin" e dedicato alla ripresa nelle sale di "Tempi moderni", sul settimanale culturale del Pci "Il contemporaneo" del 31 marzo 1956.
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