2.5.11

Come Robespierre. Il grande Rothschild (di Fabio Troncarelli)

Una recensione che è, ancor più, una colta riflessione. La fonte è "Alias", il supplemento del sabato del "manifesto". Nel ritaglio che ho ripreso non c'è indicazione di numero, ma l'anno è certamente il 1998, quello in cui venne pubblicato il libro di Elon, di cui si dà conto. (S.L.L.)
Sulla porta della vecchia Francoforte il Senato della Città aveva fatto dipingere un affresco nel Medioevo: la Judensau, la scrofa dei Giudei. raffigurava un enorme maiale circondato da ebrei. Sotto all’immagine si leggeva la scritta: “Bevi ebreo, bévine il latte; rabbino cibati dei suoi escrementi”: Com’ebbe a dire Goethe: “Il gran dipinto schernitore non era certo stato eseguito per astio privato, ma per pubblica istituzione”.
Quest’immagine terribile ci accompagna, invisibile come un angelo del male, durante la lettura del libro di Amos Elon (Mondadori, Le scie) Il grande Rothschild dedicato al fondatore della grande dinastia di banchieri e finanzieri ebrei. Ripercorrendo infatti le vicende di un’esistenza fuori del comune come quella di Meyer, non possiamo dimenticare la durezza delle condizioni di vita delle comunità ebraiche tedesche nell’Europa dei Lumi. Non a caso Montesquieu si rifiutò di chiamare la sua epoca illuminata e la definì “barbarica” proprio per il trattamento inflitto agli ebrei nelle città della Germania.
A Francoforte il ghetto aveva confini invalicabili. La Judenstrasse era “inistra”, come ricorda Goethe, che era nato in una bella casa dei quartieri alti. In questa via “tetra, umida e sudicia” il 23 febbraio 1744 venne al mondo Meyer Amschel Rothschild, da una famiglia di mercanti e cambiavalute. Rimasto orfano giovanissimo, si trovò capo di una famigliola di ragazzini affamati e senza prospettive, destinati a una vita di stenti. Il giovane Rothschild si impegnò con costanza, con caparbietà, con furore a migliorare le sue condizioni di vita, dedicandosi al commercio e al prestito ad interesse con la stessa passione con cui un conquistador avrebbe cercato fortuna nelle Indie.
Audace, pronto al rischio, spericolato nell’abbassare i tassi per conquistare clienti, questo ragazzo diventato uomo prima del tempo non padroneggiò mai il tedesco e le belle lettere, ma riuscì a farsi una posizione invidiabile e una solida fama. In questo modo divenne il banchiere di fiducia del Langravio della città, avido, arido, ricchissimo. Poi venne Napoleone e con Napoleone venne la guerra, la rovina, la distruzione. E la fortuna. Il langravio in fuga affidò i suoi beni a Rothschild. Lo scrupoloso e onestissimo banchiere poté amministrare legalmente ricchezze enormi guadagnando legittimamente somme enormi, acquistando e rivendendo titoli azionari.
Ancora maggiori furono i profitti assicurati dell’import-export con l’Inghilterra, ufficialmente illegale e di fatto praticato alla luce del giorno. In Inghilterra c’era il figlio di Meyer, Nathan, simpatico arruffone con il talento degli affari, che lavorava come un pazzo. Anche gli altri quattro figli, distribuiti nelle capitali d’Europa contribuirono alla fortuna della famiglia. I Rothschild divennero in pochi anni una potenza economica.
Alla fine della vita Meyer poteva guardare al passato con orgoglio: aveva vinto la battaglia contro l’emarginazione sociale e aveva creato un impero, restando profondamente fedele alle tradizioni ebraiche, devotamente osservante nelle pratiche religiose e generoso con i poveri. I figli dominavano la finanza europea e trattavano abitualmente con sovrani e nobili. Poeti, scrittori, ammiratori, detrattori propagarono la leggenda di questa famiglia di “Neroni della finanza”, come li definì Heine, aggiungendo: “La loro ricchezza ha distrutto i privilegi degli aristocratici come avevano fatto Richelieu e Robespierre”. L’ascesa dei Rothschild era una sorta di simbolo della crisi dell’antico regime e della nascita di un mondo nuovo, in cui si diviene eroi se si è devoti al demone che il medioevo giudicava sordido e di cui Balzac avrebbe celebrato la fosca grandezza.

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