Ancora una recensione utile. Sul “Corriere della Sera” del 17 ottobre 2008 Sergio Luzzatto recensisce Quando la mafia trovò l’America di Salvatore Lupo, sintetizzandone i temi fondamentali. Ne riprendo una buona parte. (S.L.L.)
Al primo sguardo, questo libro sembra un film che abbiamo tutti già visto. Sembra Fronte del porto, con la meravigliosa faccia da schiaffi di un giovane Marlon Brando che dapprima si inchina, poi si ribella alle leggi non scritte che fanno dei docks di New York il regno del racket di uomini, dei portuali le complici vittime di un sistema di intimidazione, di omertà, di violenza. O sembra Il padrino, con la faccia dello stesso Brando avvizzita dagli anni e impietrita dai doveri, la maschera di un'«onorata società» che fieramente rivendica i propri istinti, le proprie regole, i propri valori: passione per la famiglia, rispetto della parola data, vigore nel rendere il colpo. Ma appunto, quello di Salvatore Lupo non è un film, è un libro, anche se ha un titolo degno di Sergio Leone: Quando la mafia trovò l' America (Einaudi). Ed è un grande libro, che per la prima volta racconta - con gli attrezzi del più solido mestiere storiografico - oltre un secolo di «intreccio intercontinentale»: la vicenda della mafia italo-americana come fenomeno impossibile da capire senza un andirivieni perpetuo fra la costa occidentale della Sicilia e la costa orientale degli Stati Uniti, Palermo e New York, Castellammare del Golfo e Little Italy. Una storia da scrivere salendo e scendendo dalle navi, spiando in ogni loro viaggio i Masseria e i Terranova, i Luciano e i Gambino, i Mangano e gli Inzerillo...
…Né sociologo né antropologo, Lupo ragiona in modo diverso: da storico. Per lui, studiare la mafia significa ricostruire biografie, rintracciare itinerari, ritrovare tradizioni; ma soprattutto significa riconoscere network, cioè reti umane. In dialetto siciliano, la parola «cosca» non indica forse un recipiente fatto di corde intrecciate?
La prima ondata mafiosa di cui Lupo scrive la storia è quella degli isolani che sbarcarono in America a cavallo del 1900, e fecero fortuna con il racket dei prodotti tipici della loro terra, agrumi, sardine, olio d' oliva. Un poliziotto newyorkese di origini italiane, Joe Petrosino, non tardò molto a scoprire lo schema ternario sul quale la criminalità organizzata fondava il dominio sui traffici: fase uno, minaccia dell' estorsione; fase due, entrata in scena di un mediatore all' apparenza neutrale; fase tre, stipula del contratto di protezione. Ma Petrosino pagò rapidamente anche il prezzo della sua acutezza di sguardo: giunto a Palermo per indagare sul retroterra siciliano dei boss di New York, fu ucciso a colpi di pistola il 12 marzo 1909.
La seconda ondata di mafiosi giunse in America all' indomani della Grande guerra, e fece fortuna negli anni Venti grazie alle opportunità illegali offerte dal proibizionismo. Tra spaccio di alcolici e gioco d' azzardo, fu quella l' età dell' oro per personaggi il cui nome stesso - una volta americanizzato, e associato all' italianissimo cognome - diceva di un destino intercontinentale: Vincent Mangano, Charles Gambino, Joe Bonanno, Lucky Luciano. Meno potenti dei boss ebrei nel traffico degli alcolici e nella gestione delle bische, i siciliani tennero testa agli irlandesi lungo i docks di New York, nel controllo sulla quotidiana «chiamata» di decine di migliaia di portuali. Se i moli del Lower East Side costituivano da tempo il regno di Luciano, i moli di Brooklyn divennero terra di conquista per Mangano, in un groviglio inestricabile di bande sindacalizzate, uomini di mano, coperture politiche.
Mangano era originario della piccola Castellammare, al pari di Bonanno e di un altro capomafia che il volume di Lupo consegna alla storia: Salvatore Maranzano, misteriosa e stupefacente figura di boss che nel giro di pochi anni, tra il 1925 e il ' 31, riuscì a costruirsi nella grande New York un impero tanto criminale quanto diversificato. In teoria, Maranzano vendeva pesce da un lussuoso ufficio di Park Avenue. In pratica, Maranzano era dovunque la mafia avesse modo di prosperare, nell' immigrazione clandestina, nel gioco del lotto, nelle lavanderie a gettone, nelle pompe funebri, ogni volta vendendo protezione agli imprenditori minacciati dai suoi stessi sicari. Il tutto da devotissimo uomo di chiesa, facendo gran sfoggio di croci o di rosari, ed esprimendosi in latino meglio di un seminarista. Finché Maranzano non mise gli occhi sui moli del Fish Market controllati da Luciano, e venne puntualmente freddato tra le false dorature dell' ufficio di Park Avenue, per opera di un commando di ebrei travestiti da poliziotti.
L' età dell' oro della mafia siciliana a New York si esaurì nei primi anni Trenta, quando una nuova leadership politico-giudiziaria - quella dei Roosevelt, dei La Guardia, dei Dewey - riconobbe nella lotta contro la criminalità organizzata un formidabile strumento di conquista del consenso. Si inaugurò allora il terzo capitolo di una storia che Lupo ha la pazienza di seguire per mezzo secolo ancora, traversando le alterne vicende della Seconda guerra mondiale, del separatismo siciliano, del contrasto alla mafia in età kennediana, del narcotraffico corleonese su scala planetaria, sino ai fasti giudiziari degli anni Ottanta: quando l' acribia di magistrati come il newyorkese Rudolph Giuliani e il palermitano Giovanni Falcone provocò la caduta e la condanna, sulle due sponde dell' Atlantico, dei boss vecchi e dei nuovi, Bonanno e Gotti, Gambino e Inzerillo, Badalamenti e Buscetta.
Trent' anni prima, il 2 maggio 1957, il salone di coiffure di un albergo di New York era stato il teatro dell' esecuzione sommaria di un capomafia temutissimo: Albert Anastasia, che fin dai tempi del proibizionismo si era fatto strada da killer sul fronte dei docks. Il calabrese Anastasia aveva sempre goduto di appoggi presso l'establishment democratico newyorkese. Ma la cosa che più colpisce di lui è il network familiare sul quale aveva edificato le proprie fortune di boss: un suo fratello faceva il leader sindacale degli scaricatori, un altro fratello faceva il prete. Sono tre personaggi che sembrerebbero tratti - pari pari - dal film di Elia Kazan che aveva trionfato a Hollywood nel ' 54, Fronte del porto. Salvo che la storia vera degli Anastasia non registrò affatto la virtuosa ribellione di un Marlon Brando. Non contemplò neppure alla lontana la possibilità di un lieto fine.
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