Su Tuttolibri de “La Stampa” del 17 maggio 2008, Giuseppe Marcenaro, in occasione dell’uscita di un documentato libro sull’argomento, non si limita a rievocare i tratti costitutivi di un antico abitatore del paesaggio sociale italiano, il cicisbeo, ma ne verifica l’evoluzione fino ai giorni nostri.
(S.L.L.)
Nel XVIII secolo arrivò all'onore del mondo completando la sua «evoluzione». Conseguì allora l'aspetto che lo ha consegnato all'immaginario: una originalità sociale tra la gente di sangue blu: cicisbeo, cavalier servente, damerino un po' civetto con la vocazione dichiarata di vivere al fianco di una donna maritata a un altro.
Il cicisbeo accudiva madame nei suoi capricci, nelle afflizioni, la soccorreva durante gli assalti dei vapeurs; la accompagnava in società, faceva lo spiritoso, vezzeggiandola. Così la prassi e i preventivi accordi, visto che, nei gironi nobiliari, «un cicisbeo» entrava sovente nel contratto delle nozze.
Gradito a madame, doveva piacere soprattutto al marito, il quale poteva anche considerare il cavalier servente, nella liberalità delle scenette esteriori a lui consentite che distraevano la moglie, come un improprio guardiano della di lei virtù.
Non doveva essere però proprio così perché all'occorrenza - immaginandolo ruffianissimo - avrebbe potuto reggere il moccolo alla «sua signora» durante un combino con un segreto amante. E lui, complice voyeur, il ci-ci-ci-babbeo (volatile onomatopea della chiacchiera incrociata a babbeo da cui sembra venuto fuori cicisbeo) restare a bocca asciutta perché madame, oltre la truffaldina intesa, le grazie più segrete le doveva ufficialmente al legittimo consorte.
Per il vezzoso incarico, da supporlo a mezzo tra lo sgabello e il pirlone contento, veniva naturalmente scelto un giovane, magari pubere ma sufficientemente navigato, comunque sospetto di sesso incerto. Di gradevole presenza, elegante, celibe, di buona reputazione tanto da consentirgli l'accesso ai salotti delle femmine di pregio le quali, i «pericoli», andavano semmai a cercarseli altrove, ovviamente extra accompagnatore ufficiale.
La curiosità che suscita ancor oggi un ganzo di questo tipo sta nel retrogusto un po' piccante, coniugato alla malizia con cui lo vagheggiamo. L'occasione ci è offerta da un curioso e documentato saggio di Roberto Bizzochi - Cicisbei. Morale privata e identità nazionale in Italia, in uscita da Laterza - che seriosamente, tuttavia ironicamente celiando, delinea un esemplare sociale molto italiano che, attraversati i secoli, in altre spoglie, arriva alla contemporaneità. Un «modello umano» che ha avuto l'onore e l'attenzione di Mozart nelle Nozze di Figaro, di Rossini nell'Italiana in Algeri e di Goldoni nella Famiglia dell'antiquario. Nel secolo dei Lumi, nella bella e raffinata civilta' italiana settecentesca, nell'Italia di Goldoni, Parini, Alfieri, della fioritura del teatro d'opera, dell'Accademia dei Pugni di Pietro Verri e Cesare Beccaria, quando il cicisbeo sguazzava nell'acqua come un pesce, gli era già stata fatta «la caricatura». Versi d'alto pregio però. Giuseppe Parini satireggiò la società nobiliare milanese, oziosa, privilegiata, costosa, inutile: e al centro dell'elegante «celebrazione poetica» - Il giorno - pose un «giovin signore», il cavalier servente di una dama maritata: «la pudica d'altrui sposa a te cara». Tutto funzionava in uno scenario molto esclusivo dove, tra raffinatezze e boccucce e frivolezze, un damerino snob, elegante, galante e effeminato, faceva il farfallone nei salotti. Fenomeno curioso e stravagante, capace, per l'originalità dei tratti, di suscitare la curiosità anche di viaggiatori stranieri approdati nel bel Paese.
Joseph-Jérome de La Lande sorprese il cicisbeo a Roma: «Una dama non appare mai in società senza un cavalier servente... e li si vede sempre ai ricevimenti. Il cavaliere è obbligato a intrattenere la sua dama fin dal mattino: resta in salotto finché ella non si lascia vedere; la serve alla toeletta... gioca con lei a carte... Nel pomeriggio assiste a una nuova toeletta, la conduce alle conversazioni...». Poi il ballo, il teatro. Il parlare fitto fitto, ordendo trappole sensuali, inscenando scenette da innamorati. Con lo scopo di suscitare commenti e richiamare attenzione. Il cavalier servente ambiva al centro delle cose, si insinuava nelle vite altrui, gavazzando nei pettegolezzi e negli intrighi. Un daffare da mattina a sera.
Apparendo amoroso, corteggiatore, vagheggino, zerbinotto, civetto, vorace della propria immagine, l'ambizioso cicisbeo d'un tempo sembra proprio essere il «padre nobile» e l'ineffabile precursore di tipi e controtipi da Terzo millennio. Si è trasfigurato in salottieri, televisivi, comparse, sarti e veline, calciatori, accompagnatori e accompagnati, intrinseci al potere, d'ogni sesso variabili, figuranti nel corteo dei Rosselle O'Hara, tutti firmati da cap-a-pe'.
Il cicisbeo d'oggi, con esibita sado-voluttà ambisce allo show-business dell'audience e dei patinati; e amplia ogni giorno l'effervescenza del linguaggio con alteri nuovi attributi attraverso i quali, per traslato di senso, il moderno ci-ci-ci-babbeo può essere individuato e riconosciuto. Una superba parade di definizioni e sinonimi che il «gran lombardo», un gioiosamente ingrugnito Carlo Emilio Gadda, si dedicherebbe a elencare con fervido furore: macho, playboy, starletta, gigolò, leccapiedi, compariello, incensatore, reggiballe, reggicoda, leccaculo, portaborse...
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