24.5.11

L'abate Meli e Pietro Follone. Un aneddoto-apologo da "Magarìa" (S.L.L.)

Questo aneddoto-apologo, tratto dalle tradizioni popolari, è inserito in un mio lungo racconto, vecchio di decenni ma tuttora inedito, dal titolo provvisorio Magarìa. (S.L.L.)
La statua dell'abate Meli al Teatro Massimo di Palermo
Una volta Pietro Follone venne a contrasto con l’abate Meli ed era materia del contendere se la vincesse l’arte o la natura.
Meli, l’artista, volendo dare pubblica prova all’avversario, fece porre al centro del Ballarò un pianoforte a coda e illuminare con candelabri la tastiera e lo spartito sul leggio. A tarda sera, quando tutto il popolo si fu raccolto, tirò fuori da una cesta quattro gatti che, ritti su quattro sgabelli, fecero una sonata ad otto zampe, mirabile per effetti timbrici e limpidità d'esecuzione. Poiché a nessuno passava per mente che l’eseguir sonate fosse nei mici naturale istinto, a tutti parve che il Meli avesse ragione.
Ma Follone non s’arrese: sfidò il rivale a ripetere l’esperimento l’indomani, nello stesso luogo e alla stessa ora. Non avevano ancora i gatti sgranchito e stirato gli arti anteriori per predisporli all’esibizione che una forza superiore sembrò trascinarli in mezzo alla folla, a velocità vertiginosa. Un solo sorcio, per nulla addestrato, aveva vanificato un lungo ammaestramento.
Il Meli, del resto, avrebbe potuto essere facile profeta dell’inanità dei suoi sforzi se fosse tornato ai suoi libri, che in mille modi e per mille voci gl’insegnavano che non c’è forza capace di resistere all’imperio della natura. Ma questa, di domar la natura, è incoercibile tra le illusioni.

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