Avevo espresso su fb un forte malessere per il fatto che alla festa regionale umbra di Sel, a Ramazzano Le Pulci, una frazione di Perugia, avessero scelto per l’intervento di Vendola la formula spettacolare dell’intervista, cosa che mi pare un malvezzo.
La mia lamentela ha riscosso consensi fra gli antipatizzanti del presidente pugliese, che non mancano in nessun ambiente, ma Vendola l’ha bellamente scavalcata. Nella sera di sabato 24 ha tenuto praticamente in non cale le domande del vicedirettore del “Sole 24 Ore”, riservando poco più di qualche battuta a Casini e alle altre questioni di cucina politica, e ha invece rivolto il discorso al suo popolo, un discorso d’altri tempi a un popolo d’altri tempi: “compagne e compagni”.
La mia lamentela ha riscosso consensi fra gli antipatizzanti del presidente pugliese, che non mancano in nessun ambiente, ma Vendola l’ha bellamente scavalcata. Nella sera di sabato 24 ha tenuto praticamente in non cale le domande del vicedirettore del “Sole 24 Ore”, riservando poco più di qualche battuta a Casini e alle altre questioni di cucina politica, e ha invece rivolto il discorso al suo popolo, un discorso d’altri tempi a un popolo d’altri tempi: “compagne e compagni”.
La sorpresa è stata grande: il “narcisista” Vendola che sottolineava il “noi” contrapponendolo all’“io”, ove il noi non era – ovviamente - la modesta area dei militanti e simpatizzanti Sel o dell’intera frammentata sinistra residua, ma un popolo che egli sente ampio e plurale, e che forse lo è.
L’eloquio di Vendola è sempre fine e non è mancata una sacrosanta stoccata contro la volgarità e contro il parlare per slogan aggressivi e sciatti (tipico della destra, ma anche di Grillo e, un po’, anche di Di Pietro), ma non c’erano nel suo dire i ricorrenti voli poetici. All’osservazione dell’interlocutore “Non ha mai usato la parola racconto” ha replicato “Mi autocensuro”.
L’eloquio di Vendola è sempre fine e non è mancata una sacrosanta stoccata contro la volgarità e contro il parlare per slogan aggressivi e sciatti (tipico della destra, ma anche di Grillo e, un po’, anche di Di Pietro), ma non c’erano nel suo dire i ricorrenti voli poetici. All’osservazione dell’interlocutore “Non ha mai usato la parola racconto” ha replicato “Mi autocensuro”.
Forse era vero. Vendola è un politico di razza e capiva che non stava parlando ai giovani “desideranti” delle fabbriche di Nichi, due o trecento su tremila e più presenti, ma al popolo del Pci, alla gente di quelle frazioni dell’area Nord di Perugia, eredi delle lotte mezzadrili, che erano la forza del Pci e restano la forza elettorale del Pd e della sinistra, ma che oggi non si ritrovano in nessun partito e cercano un punto di riferimento, una guida. A Ramazzano sono arrivati in buon numero, da quarant’anni in su, spesso in gruppi familiari, hanno mangiato la torta al testo e si sono seduti sulle seggiole bianche di plastica (ne occupavano 2200) ad ascoltare Nichi. E non sono rimasti delusi.
Vendola ci ha tenuto a presentarsi come un figlio del partito e in un passaggio, maliziosamente scavalcando la sua stessa autocensura, ha ricordato. “Mi sono iscritto alla Fgci nel 1972. Qualche anno dopo mi toccò di incontrare Natta, che nella segreteria si occupava della scuola. Volli andare a ripassarmi il latino, per non fare brutta figura. Nel Pci c’erano uomini come Natta, come Tortorella, come Pecchioli, che davano al partito una forte impronta pedagogica: non si poteva parlare a vanvera, senza prima aver studiato a fondo le questioni. Il Pci era una grande scuola”.
Questa impronta pedagogica si è notata in tutto il comizio (perché di questo in realtà si trattava), un comizio del Pci, somigliante a quelli che, in chiusura delle feste nazionali dell’Unità, teneva Berlinguer. Il fantasma del Berlinguer – del resto – aleggiava non solo nell’atmosfera, nel pubblico, ma anche nel discorso, anche non citato. Un applauso grande è scoppiato quando Vendola, parlando degli scandali Pds-Pd che percorrono anche l’Umbria oltre che il circondario milanese, non si è limitato a parlare di “mariuoli” (come Craxi per Mario Chiesa) o di “mele marce” come ha fatto la Bindi a Perugia l’indomani, ma di un sistema diffuso, fondato sul rapporto politica-affarismo, e ha chiesto “pulizia”.
Vendola ci ha tenuto a presentarsi come un figlio del partito e in un passaggio, maliziosamente scavalcando la sua stessa autocensura, ha ricordato. “Mi sono iscritto alla Fgci nel 1972. Qualche anno dopo mi toccò di incontrare Natta, che nella segreteria si occupava della scuola. Volli andare a ripassarmi il latino, per non fare brutta figura. Nel Pci c’erano uomini come Natta, come Tortorella, come Pecchioli, che davano al partito una forte impronta pedagogica: non si poteva parlare a vanvera, senza prima aver studiato a fondo le questioni. Il Pci era una grande scuola”.
Questa impronta pedagogica si è notata in tutto il comizio (perché di questo in realtà si trattava), un comizio del Pci, somigliante a quelli che, in chiusura delle feste nazionali dell’Unità, teneva Berlinguer. Il fantasma del Berlinguer – del resto – aleggiava non solo nell’atmosfera, nel pubblico, ma anche nel discorso, anche non citato. Un applauso grande è scoppiato quando Vendola, parlando degli scandali Pds-Pd che percorrono anche l’Umbria oltre che il circondario milanese, non si è limitato a parlare di “mariuoli” (come Craxi per Mario Chiesa) o di “mele marce” come ha fatto la Bindi a Perugia l’indomani, ma di un sistema diffuso, fondato sul rapporto politica-affarismo, e ha chiesto “pulizia”.
Il Vendola che parlava, d’altra parte, non è sembrato mai il leader “fru-frù” di cui taluni parlano, ma nella tradizione di Berlinguer e degli altri dirigenti comunisti usava il tono grave e preoccupato – un po’ da prete di campagna - dei momenti duri. Spiegava le origini della crisi nel dominio del capitalismo finanziario. Denunciava le sofferenze dei lavoratori colpiti nei redditi e nei diritti e la profonda immoralità del sistema Marchionne. Metteva in chiaro l’equivoco della parola “riformismo” che ha accomunato destra e sinistra: “Dicevano riformismo, intendevano liberismo”. Nella condanna del “berlusconismo” non si è fermato al “bunga bunga” ma lo ha visto come brutale riscossa di tutti i poteri forti, da quello del denaro a quello maschile e patriarcale a quello razziale eccetera: una vera e propria rottura del vincolo sociale; e ne ha mostrato il nesso con tanta altra destra europea che forse irride Berlusconi, ma che ha lo stesso feroce orientamento nella distruzione di diritto e di diritti. Ha cercato di ridare nuovo senso alla opzione delle “primarie”, considerate non solo scelta del leader, ma discussione ampia e partecipata alla base sugli orientamenti politici e programmatici di un centrosinistra davvero nuovo, in cui la sinistra possa avere un ruolo di traino. E ha illustrato con pazienza le linee programmatichedi fondo della nuova coalizione che spera di guidare alla vittoria. Un programma che io definirei “classicamente riformista”.
Il riformismo di Vendola è classico perché primariamente “redistributivo”: visto che oggi si distribuiscono più che altro i costi della crisi egli parla di patrimoniale per indicare chi soprattutto deve pagare, nominando quelli che hanno tratto alti redditi e costruito cospicui patrimoni dalla stagione neoliberista. Ha citato per questo un libretto di Luigi Einaudi in favore della “imposta patrimoniale”, secondo un artificio retorico caro al Pci che sovente cercava ragioni nelle intelligenze della parte avversa (Togliatti e Sereni, ad esempio, non disdegnavano le citazioni di Croce). Ma Il riformismo di Vendola è classico anche perché “statalista” o comunque “pubblicista”: il programma di sviluppo che enunciava a Ramazzano richiede, se non una organica programmazione, un forte intervento pubblico. Ha parlato, infatti, di “beni comuni”, di nuove energie, di trasporti pubblici, di agricoltura di qualità, di riconversione verso il restauro e riqualificazione dell’industria delle costruzioni e di tante altre cose. Insomma un Vendola ai miei orecchi imprevisto, ma di certo gradito a quel pubblico che vi risentiva il pedagogismo del Pci, quello che ambiva a spiegare con esempi concreti la politica economica ai lavoratori e ai cittadini comuni. Mi fermo qui.
C’è tuttavia nel suo discorso più di un buco e uno molto grande, che riguarda l’analisi della fase internazionale (cosa che nel Pci non mancava mai). Capiamo che è difficile: il campo socialista non c’è più, il più grande partito comunista del mondo (100 milioni di iscritti) spinge in avanti un capitalismo rampante e include i miliardari tra i propri altri dirigenti, il riformismo di Obama è una delusione e non alieno da tentazioni belliciste, i regimi populisti e nazionalisti a partire da quelli mediorientali hanno tratti autoritari e talora odiose e feroci politiche sessiste. Insomma è molto difficile ritrovare – come faceva il Pci – un campo di forze di progresso antimperialiste a cui - seppure criticamente - collegarsi. E tuttavia è un po’ deludente il limitarsi – come ha fatto Vendola – a indicare come tema principale l’unità politica dell’Europa senza un giudizio chiaro sulle scelte internazionali degli Stati Uniti. Sulla Libia per esempio non ha detto una parola (speriamo ne parli a Roma il primo ottobre). Solo indirettamente ha preso le distanze dall’interventismo "bombardiero", chiedendo una forte riduzione delle spese militari. E’ cosa importante per chi aspira a fare il presidente del Consiglio, in un paese che, pur in crisi, impegna molte risorse per le armi e la guerra, ma non sostituisce l’analisi che non c’è.
E qui si innesta il mio dubbio un po’ distruttivo, da vetero-marxista. Esistono in questo contesto planetario oltre che nazionale i margini per una politica riformistica? A me molte cose dicono di no ed ho perfino l’impressione che l’imperialismo occidentale abbia deciso una stretta autoritaria oltre che sociale e una guerra generale. Non ho certezze e vorrei che Vendola mi convincesse con buoni argomenti che esiste davvero una prospettiva di pace e di progresso per l’Italia e il mondo; ma fino ad oggi tace. Non può tacere sempre.
1 commento:
Ciao Salvatore. Un bel resoconto accurato e pensoso, difficile da commentare al volo. Ma troveremo un'occasione, se gli dèi ci sono propizi...
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