Quando Omero nacque – e si pensi all’Europa tra tardo Seicento e primo Ottocento, non alla Grecia
arcaica – gran parte del sistema letterario occidentale fu rivoluzionato.
Improvvise impennate di consensi (da Shakespeare a Dante), alleanze imprevedibili (in nome del «genio ingenuo») e improvvisi crolli (l’intera stagione dell’«età classica» francese, per esempio). E qualche collaterale ma sintomatico problema: per esempio, l’impossibilità di trovare un posto per figure vaghe come il vecchio Esiodo. Stabilite le grandi polarità dell’arcaico e del postumo, dell’ingenuo e del sentimentale, dell’oggettivo e del soggettivo – e via dividendo – che fare di chi in tale schema non si inquadra?
Omero ed Esiodo: per l’antichità, una coppia solidissima. Entrambi inventori del pantheon greco, secondo Erodoto; entrambi mitologi menzogneri, secondo Senofane e Platone; entrambi educatori della grecità, secondo Aristofane; e addirittura parenti, secondo le tarde speculazioni genealogiche. Oppure – perché servono anche le differenze, per garantire la complementarietà – l’uno poeta della guerra, l’altro della pace, secondo la leggenda della Gara tra Omero ed Esiodo, che risale almeno al V sec. a.C. e fa di Omero ed Esiodo due avversari in una pubblica tenzone. Vinta, per la cronaca, da Esiodo.
Sulla lunga durata, invece, a vincere e a stravincere fu Omero. E quando Omero – tra Sei- e Ottocento – divenne Omero, Esiodo divenne un problema. Risolto con un escamotage che continua a dominare, in forme variabili, la storiografia letteraria: la trovata fortunatissima della «figura di transizione». Esiodo, da allora, è l’archetipo di tante ipotetici «passaggi» fra epoche ipoteticamente definite. È un poeta epico, ma non è anonimo (parla di sé nel proemio della Teogonia). È un poeta epico, ma non è sublime (parla di campi e pascoli, nelle Opere). È un poeta epico, ma non è oggettivo (dice in continuazione «io» e «tu»). Un disastro, per le categorie binarie del Romanticismo. Non resta dunque che ipotizzare una «figura di transizione»: una trovata di secolare fortuna, da Schlegel a Snell, su su fino ai più recenti editori e critici dei poemi esiodei.
Liberare Esiodo da tale schema contribuisce dunque a decostruire l’idea stessa della «transizione» e a riformulare, su altre basi, il canone dominante. O almeno denunciarne le aporie. Dà un contributo importante in tal senso il nuovo commento di Andrea Ercolani (Esiodo. Opere e giorni, Carocci, pp. 466, € 33,00), che svolge nel modo migliore il proprio compito di interprete e allo stesso tempo, contro ogni perdurante vulgata, si sforza di reinserire Esiodo in un contesto culturale e poetico che non lo opponga ma lo assimili a Omero. Il che implica rivedere l’idea stessa di epos, di «poesia orale» e/o «popolare», insomma ogni nozione di «arcaico» e di ciò che all’arcaico, per abitudine, si oppone. Finché vivremo in tempi di attardato Romanticismo (si dica pure «post-moderno») riletture come queste saranno benvenute.
“alias” 6 agosto 2011
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