Rita Guerricchio, docente
di Letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di
Firenze, è considerata tra i massimi specialisti sull'opera e sulla
vicenda intellettuale di Sibilla Aleramo, cui dedicò il suo primo
saggio uscito in volume, Storia di Sibilla (Nistri
Lischi, 1974). Nel 1976, in occasione del primo centenario della
nascita della scrittrice, Guerricchio scrisse il profilo della
Aleramo che qui riprendo per “Riforma della scuola”, la
prestigiosa rivista specializzata del Pci diretta da Lucio Lombardo
Radice. (S.L.L.)
A cent'anni dalla
nascita, Sibilla Aleramo non merita di essere oggetto di occasionale
recupero, ha diritto bensì a diventare punto di riferimento stabile
e integrante della storia del femminismo italiano, come, più
latamente, di quella della società letteraria del nostro Novecento.
La ristampa del suo romanzo più famoso ed emblematico, Una donna
(Milano 1973), ha consentito una rinnovata messa a fuoco almeno di
quel settore della sua produzione letteraria, quanto mai nutrito e
sostanzioso, legato al femminismo. Proprio alla luce dell'attualità
e forza della sua battaglia femminista, vale la pena allora di
ripercorrere in breve le tappe della storia umana e culturale di un
personaggio contraddittorio e controverso quanto si vuole, ma
provvisto di una sua significativa memorabile singolarità.
Non è scontato rifarsi
subito al movente principale delle prime riflessioni di Sibilla sulla
«questione femminile», come si diceva a quel tempo, ovvero il
movente autobiografico, legato alla geografia provinciale e stantia
di un piccolo paese delle Marche, Porto Civitanova, alle relazioni
familiari dovute a un padre amabile tiranno e poi ad un marito
tiranno niente affatto amabile, precocemente sposato e precocemente
in grado di immetterla nel più conforme dei ruoli di una
piccolo-borghese 1890. Il rifiuto categorico della propria condizione
caratterizzò la fisionomia dei primi nemici come dei primi
interlocutori del suo femminismo, entrambi, a ragion veduta,
borghesi.
La formazione di stampo
positivistico orientò evoluzionisticamente la coscienza della
necessità dell’emancipazione femminile, considerata quale tappa
obbligatoria di un più generale deterministicamente inevitabile
progresso umano e sociale. Ciò in accordo con il suo approdo al
socialismo, mediato attraverso letture (Achille Loria, Guglielmo
Ferrerò, Edmondo De Amicis) in grado di mantenere intatti certi
equivoci legati a un populismo sostanzialmente umanitario e
interclassista. Un radicale mutamento sociale, genericamente
portatore dell’annullamento di ogni ingiustizia e disparità, fu il
mito propulsore dei suoi interventi sulla questione femminile, anche
se non sottese mai acquisizioni ideologicamente agguerrite. Eppure
l'intransigenza della sua angolazione morale piuttosto che politica,
la portò a concezioni e posizioni d'avanguardia: quelle ad esempio
che, pur sottolineando il problema della condizione femminile come
uno degli aspetti drammatici della più generale e irrisolta
questione sociale, non ne sottovalutarono mai lo «specifico»
strettamente inerente, ne sottolinearono anzi la carica
rivoluzionaria. Il ruolo prescelto fu quello di «guastatrice», sia
pure prevalentemente a livello teorico, teso a mettere in rilievo gli
pseudo-valori cioè i condizionamenti ideologici imposti alla donna
dalla classe dominante, identificata con la classe borghese,
responsabile di un perbenismo ipocrita e conservatore, corrotto e
reazionario. L'opera di sensibilizzazione e sollecitazione morale si
rivolse soprattutto alla «donna proletaria delle classi medie»,
come a quella che, secondo una definizione delia Kuliscioff, le era
autobiograficamente più vicina, e che riteneva la principale
complice e vittima del sistema. A questo proposito sostenne il valore
emancipatorio del lavoro, in grado di sottrarre la donna al
predestinato alienante alveo familiare per inserirla in una «lotta
per la vita» che immancabilmente avrebbe precipitato le sue
convinzioni nel segno dì un dissenso attivo e partecipe nei
confronti della società costituita. E qui Sibilla sottolineava la
necessità di una saldatura con il movimento operaio valutato unico
depositario e garante di una rivoluzione sociale che avrebbe
adeguatamente coronato quella femminile, a patto di non considerare
quest'ultima il meccanico risultato di quella.
Sono queste le direttrici
fondamentali di un’impostazione che Sibilla via via maturava
attraverso diversi articoli inviati alla stampa dell'epoca, stampa
non necessariamente specializzata sull'argomento, e a tutt'oggi
pressoché ignorata. All’interno del dibattito che in quegli anni
si svolgeva sulla questione, quasi interamente in ambito socialista,
esponenti e concorrenti principali le posizioni di Anna Kuliscioff e
di Anna Maria Mozzoni, le proposte di Sibilla risultano in sostanza
compromesse con il versante che non ignorando la necessità e
l’importanza di puntuali battaglie rivendicative legate a
un’emancipazione politico-economica della donna, riteneva primaria
una lotta più ampia e generalizzata per una sua particolare e
inimitabile emancipazione sociale. Le agitazioni per il diritto di
voto, la parità salariale e la tutela del lavoro femminile, la
videro comunque allineata sulle posizioni del Partito Socialista, di
cui però non entrò a far parte. Nel 1899 durante una permanenza a
Milano, ebbe modo di dirigere il settimanale «L'Italia Femminile»,
fondato da Emilia Mariani, socialista e tra le voci più autorevoli
del dibattito femminista; ugualmente ebbe occasione di conoscere e
frequentare diverse e insigni rappresentanti del movimento, Paolina
Schiff, Alessandrina Ravizza, Virginia Olper Monis.
La militanza
femminista
Costretta a ritornare in
provincia, nel 1902 abbandona Porto Civitanova, cioè il marito e il
figlio. È l'atto determinante e definitivo con cui Sibilla fa
cominciare da sé quella nuova etica dei rapporti umani che aveva
sostenuto, e con l’impegno lucido e spericolato dovuto a una
conseguenza letterale e ineluttabile delle sue premesse ideologiche.
La straordinaria coerenza, e il coraggio per quell’epoca, di una
emancipazione vissuta e pagata di persona, radicalizzarono ancor più
le sue posizioni, corroborarono la polemica e la protesta contro
un'egemonia sociale sperimentata ancor più direttamente. A Roma dove
si trasferì, si dedica all'attività filantropica che, in accordo
con lo sviluppo del femminismo nazionale, faceva capo all’Unione
Femminile. Fra le opere di assistenza sociale promosse
dall’organizzazione, collabora in particolare alla creazione di
scuole nell'Agro Romano. L'incontro e il legame con Giovanni Cena,
socialista dai forti interessi umanitari nonché scrittore già
affermato, le conferma il senso da dare all'istruzione, intesa come
strumento di affermazione di diritti elementari, momento acceleratore
del formarsi di una prima coscienza sociale nei contadini sfruttati
dai proprietari terrieri romani. Nel 1909 partecipa con Cena,
Josephine Lemaire, Gaetano Salvemini, a un'inchiesta sulle scuole in
Calabria, dove si era già recata per il terremoto del 1908.
Sono tutte attività che
non escludono il concentrarsi verso una sua nuova dimensione, quella
di scrittrice. Nel 1906 infatti esce Una donna, in pratica la
storia di se stessa fino a quel momento, proiezione particolareggiata
di vicende autobiografiche in cui convoglia risentimenti e proteste
già esposte, ma inserite nel vivo di esperienze ancora brucianti.
Chi ha letto il libro, ha
potuto constatare di persona l'indubbia suggestione che ancora
proviene dalle sue pagine, dove il percorso accidentato di uno
svincolo graduale dalle costrizioni tradizionalmente imposte alla
donna, viene proposto e discusso con notevole forza persuasiva.
Nonostante il lirismo traboccante che lo percorre dall'inizio alla
fine, il libro conserva a tutt’oggi la sua attualità, in forza
soprattutto della denuncia che si appunta nei confronti
dell'istituzione familiare, di cui vengono messi in luce conformismi
e pregiudizi e la sostanza reale di struttura funzionale al sistema.
È noto, e non fu casuale, i1 successo straordinario che il libro
consegui, tradotto presto nelle principali lingue europee. Meno note
le discussioni cui dette origine la famosa soluzione finale (appunto
l'abbandono del figlio) che al pari dell’ibseniana Casa di
bambola, costituì oggetto di polemiche, e non sempre benevole
come si può immaginare, da parte delle stesse femministe più
avanzate.
In base a ciò la
raggiunse una notorietà che fini col coinvolgere piuttosto che la
scrittrice, il «personaggio», rappresentativo di una scelta morale
che scavalcava istituzioni e convenzioni con un'audacia che non le fu
mai perdonata. La prima guerra mondiale la trovò pacifista convinta,
sta pure per ragioni umanitarie piuttosto che politiche, e da qualche
anno ormai sganciata dal movimento femminista. Coincise infatti con
l'inizio di un periodo che all’insegna di un dispendioso disordine
esistenziale e sentimentale, vide il formarsi della sua «leggenda»,
legata a una libertà di comportamento che, pur non aliena da
suggestioni estetizzanti, quella di D'Annunzio in primo luogo, si
autopropose quale modello di vita e di sistema morale. D'ora in poi è
in un certo senso privatamente, ossia sul piano di un'insurrezione
individuale, che Sibilla continua la sua battaglia femminista, e. al
di là di discutibili archetipi culturali, con imperterrita coerenza.
Scriveva nel '27:«Tutta la vita sono stata la refrattaria, la
ribelle, oh ma inerme!... La società, non mi perdona proprio questo,
non mi perdona ch’io vada sola ed indifesa, io donna, e cosi
condanni implicitamente, s'anche in silenzio, il suo modo di essere,
e le sue corazze, i suoi pugnali, e i suoi veleni. Non mi perdona, e
sì vendica, è logico. Cioè, crede di vendicarsi, forte del suo
oro, dei suoi statuti, della sua infinita viltà». Non vennero a
mancare dunque né si attenuarono le ragioni di un dissenso antico e
ora tanto più motivato. Lo comprese, tra i pochi, Piero Gobetti, che
nel '24 le dedicò un saggio, in cui, fuori dai connotati ormai
acciarati di Superdonna, le rivendicava forza morale e sensibilità
sociale. L’intreccio di nomi, luoghi, occasioni culturali
avvicinati con maggiore o minore adesione si fa intanto in questi
anni quanto mai fitto e intricato. A Firenze entra in contatto con
l'équipe della «Voce», stabilendo intensi rapporti d’amicizia o
d'amore con i suoi rappresentanti più significativi, da Papini a
Boine da Rebora a Slataper a Campana. Attraverso Boccioni avvicina il
futurismo, di cui recepisce l'aspetto eversivo e vitalistico. A
Parigi conosce D’Annunzio, al quale sarà legata da infrequenti ma
duraturi rapporti di amicizia. Dalla folta corrispondenza (che
intrattiene) con i vari personaggi, emerge la sua straordinaria
carica passionale, ma anche la coscienza di una infrazione continua e
smisurata rispetto al cerchio di pregiudizi e conformismi di cui
anche i migliori interlocutori risultano vittime fin troppo passive.
Le opere pubblicate tra il '19 e il ’21, il romanzo Il
Passaggio, la raccolta di poesie Momenti, il volume di
prose Andando e stando, ripropongono la dimensione
autobiografica come invariante tematica ormai di tutta la sua
produzione, stilisticamente vicina alle esperienze del frammentismo
vociano come del D'Annunzio segreto. Anche il suo discorso femminista
risulta legato alla sfera letteraria, in relazione al problema della
donna scrittrice, cioè alla rivendicazione anche in letteratura di
un punto di vista femminile in grado di sottrarsi alla mimesi fino
allora verificatasi, di un’ottica ancora essenzialmente maschile.
Anche questa polemica suona anticipatrice: sono gli anni del resto in
cui una nuova leva di scrittrici (la Manzini, la Banti) si rifanno a
Sibilla come al precedente più illustre in Italia.
L'iniziale avversione al
fascismo (fu tra i firmatari del manifesto di Croce), trova modo di
intiepidirsi attraverso gli anni, sebbene troppo alonata di scandalo
fu la sua fama per riuscire ben accetta al regime. Vive appartata e
fuori dalla cultura ufficiale, oltre che alle prese con notevoli
difficoltà economiche. Le opere pubblicate in questo periodo, e sono
ancora romanzi, prose, poesie, ottengono scarso successo, anche se la
critica continua a prestarle attenzione.
La seconda guerra
mondiale, vissuta in condizioni estremamente precarie, costituì
anche per Sibilla il reagente di una nuova presa di coscienza: nel
diario che scrive in questi anni (pubblicato per una parte nel ’45),
si assiste alla rinascita di antiche convinzioni umanitarie e
socialiste. Lo spettacolo della guerra rinfocola la protesta sociale,
ma in nome di risentimenti che da individuali tendono a recuperare
una dimensione collettiva. Alcune amicizie convalidano le rinnovate
esigenze (Debenedetti, Guttuso, Mucchi, Sapegno) e mediano il suo
passaggio al comuniSmo. Nel '46 infatti si iscrìve al Partito
comunista italiano al quale rimane legata sino alla morte (avvenuta
nel gennaio del ’60).
La «quarta
esistenza»
Il mito della giustizia
sociale, l'esaltazione del popolo lavoratore, sempre contrapposti
all'ipocrisia e alla corruzione della classe borghese, nell’ambito
di una volontà palingenetica già fondamentale nei suoi precedenti
socialisti, trovano sbocco naturale nel partito, subendo un principio
di rigore ideologico e di concreta verifica. Comincia cosi quella che
lei chiamò la sua «quarta esistenza», o «seconda giovinezza»
come dissero altri, vedendola a 70 anni impegnata in una milizia che
se escluse sempre sapienza dottrinale o ampiezza di analisi, fu
tuttavia assidua e appassionata. Presente in molte delle iniziative
culturali del partito, come intellettuale si sentì in dovere di
compiere opera di diffusione e divulgazione, andando in giro per
l'Italia, nelle case del popolo, a leggere le sue poesie, i suoi
resoconti di viaggi nei paesi socialisti, le sue lunghissime
frastagliate memorie. Rinnovato anche l'impegno femminista, entra
nell'Udi e collabora di frequente alla stampa femminile del partito,
in particolare redige per qualche tempo su «L'Unità» una rubrica
diretta esclusivamente alle donne. Non cambiò sostanzialmente
l'impostazione data un tempo alla questione femminile: sia pure
innestati nel corso di battaglie precise e ancorati più strettamente
a un obbiettivo politico, i suoi rinnovati appelli si svolsero
sempre, ed è quanto ci lascia in eredità, nel senso di un'auspicata
determinante interiorizzazione da parte della donna non solo dei
diritti da conquistare ma anche di quelli già conquistati. Poiché,
come scriveva, nell'ambito di una « lotta per l’uguaglianza morale
e civile nella famiglia e nella società [...] moltissimo è ancora
da fare, qui in Italia, [...] nel costume, nello spirito ». La
necessità di una reale incidenza della donna in una società da
trasformare valutava dunque nei giusti limiti anche la sua
uguaglianza formale, del resto consentita dalla società
capitalistica in grado di manovrarla e svuotarla di senso e di
mantenere intanto una subordinazione reale.
Ciò che pubblicò
risulta strettamente legato al suo impegno sociale: raccolse articoli
e conferenze in Il mondo è adolescente (1949) e in Luci
della mia sera (1956) l'ultima produzione lirica. Sono opere in
cui sia pure in mezzo a mai abbandonati risvolti oratori, si insinua
con forza quel «sì alla terra» che secondo il titolo sintomatico
di una sua raccolta di poesie del '35, equivaleva al suo vitalistico
ma intrepido e incessante «ottimismo della volontà». In questo
senso da promuovere e da condividere, ancora.
"Riforma della scuola", ritaglio senza data, ma 1976
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