Posto qui una pagina del
volume Veneto felice (Longanesi, 1984) di Giovanni Comisso: fa
parte del capitolo «Una città di pescatori», dedicato a Chioggia e
fu pubblicata in anteprima da “Tuttolibri”. (S.L.L.)
Giovanni Comisso |
Un mio amico che osserva
ed annota gli usi e le memorie locali mi aveva elencato tutte le
parole che registrano le varie tonalità del vento, usate dai
pescatori. Si chiama da principio sentimento, quella
percezione cerebrale del sorgere di un vento, quando cioè lo si
sente nella testa, fatta intontita. Poi viene l'afra, quando
ancora il vento non si vede, ma si sente all'odore e poi àgere
(da aere) se l'aria si muove appena, senza costanza, ad
intermittenza.
Il vento vero comincia
con la bavesèlla, bavetta, bavesiòla, sempre
crescendo fino alla bava e alla bava fresca. Ne segue
tutta la rosa dei venti coi propri peggiorativi e naturalmente il
vento di tramontana, il più nefasto e anche il più definito, perché
è il più controllato. Se è forte si chiama tramontanese, se
più forte ancora, con nebbia e gelido, sizzara.
Mi sembrava impossibile
che i pescatori usassero tutte queste varie definizioni. Ma
trovandomi in un'osteria accanto a un clamoroso gruppo di giovani
pescatori che bevevano e cantavano, in un momento di tregua, chiesi a
uno di loro se sapeva dirmi cosa è la sizzara e mi rispose:
«El vento de tramontana, quando a nebbia si beròndola a fior di
acqua». Egli era ancora più preciso del mio amico, quasi pittorico,
con quel beròndola che significa «rotola» e nello stesso
tempo fa pensare al giro dell'onda. Poi ai venti indicati me ne
aggiunsero un altro: bava a la riva, che significa vento
favorevole prima di partire da qualsiasi punto si trovino.
Altre parole ancora
classificano i venti nelle loro modulazioni: réfolo, quando
il vento viene a sbalzi dolci, ràfega (raffica) se, più
forte, sbocaura (da bocca), quando è improvviso e mordente,
scontraùra, quando il vento è decisamente contrario. Quando
poi girano turbinosi tutti i venti, si dice òrdene (per
disordine) e se la situazione è tremenda allora si dice fortuna.
Strana parola che significa tanto la buona, quanto la mala sorte, in
rapporto con 1' origine latina, della dea omonima che la distribuiva
alla cieca. Ma per i naviganti la fortuna è sempre malvagia, e
rimane usata in tale senso.
Finiti i venti subentra
la bonaccia e anche per questa il chiocciotto annovera tonalità
diverse con la massima precisione. La bonaccia può essere bianca,
quando la superficie del mare è così immobile da biancheggiare in
un livido stagno, più ferma ancora sarà chiamata in pachea,
e se è proprio così ferma da non agitare nemmeno la fiammella di
una candela si dirà bonaccia in candela.
Ma altre espressioni di
questo popolo risentono più che la pittura e la musica, la
caricatura, l'umorismo. Mustacchi: si chiamano le onde che si
dipartono dalla prua quando fila col buon vento, tromboni sono
quelle grandi nubi estive che covano sonori tuoni, cagnolini,
quelle primaverili, piccole, tonde e bianche, e cavallette,
quelle piccole onde saltellanti e subito scomparenti sulla distesa
azzurra con tempo benigno.
Di certo con tanti scrittori e pittori che operano a caso, viene da chiederci se l'arte abbia sbagliato indirizzo e sia andata a dimorare invece tra gli umili e gli anonimi.
Di certo con tanti scrittori e pittori che operano a caso, viene da chiederci se l'arte abbia sbagliato indirizzo e sia andata a dimorare invece tra gli umili e gli anonimi.
Tuttolibri – La Stampa,
24 Novembre 1984
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