20.4.17

Erodoto e il buon selvaggio (Federico De Melis)

Nella geografia erodotea cartografata da Niehbur, l'Africa ha una singolare forma schiacciata: i suoi confini meridionali non arrivano all'equatore. E nella rappresentazione moderna delle Storie non corrisponde tanto all'Egitto, che per Erodoto rappresentava il «mondo alla rovescia» rispetto ai costumi e ai valori ellenici, dunque una proiezione molto palpabile, quanto all'«esotica» Libia (che comprende il resto dell'Africa, anche popoli etiopici).
Fresco di stampa, curato da David Asheri e Silvio M. Medaglia per la Fondazione Valla-Mondadori (lire 45.000), il terzo libro delle Storie (La Persia) - costruito intorno a un nucleo problematico: l'ambivalenza della verità e il suo rapporto con il potere -, descrive nella prima parte (fino al paragrafo 38) il regno di Cambise, successore di Ciro il Grande, e la conquista persiana dell'Egitto. Nella narrazione, resa limpidamente dalla traduzione di Augusto Fraschetti, è incastonato come una gemma il logos etiopico (paragrafi 17-25).
Cambise progetta tre campagne «africane» oltre i confini dell'Egitto: contro Cartagine, gli Ammoni (i sacerdoti del santuario di Ammone nel deserto libico), gli Etiopi. Tre campagne dissennate, fallimentari, su cui la sua figura si staglia in tutto il vano dispotismo, che ne fa, per eccellenza, il re della hybris, dello sbilanciamento spirituale denunciato dall'etica greca.
Prima di una soluzione militare contro gli Etiopi, da Menfi, suo quartier generale in Egitto, Cambise spedisce in avanscoperta un gruppo di Ittiofagi I (mangiatori di pesce), sotto le spoglie di amichevoli messi. L'incontro tra gli esploratori di Cambise e il re degli Etiopi, che occupa quasi l'intero logos, è un saggio di etnografia erodotea, più che altrove condita di fantastica utopia ellenica.
I mirabilia dello storico di Alicar-nasso si condensano in particolare agli estremi del mondo, per il resto avvolti in una nebulosa: nel terzo libro l'India, oltre all'Etiopia. Per i Greci gli Etiopi sono i popoli neri, entrati nella mitologia con Omero, che nell'Odissea li divide in due gruppi, abitanti rispettivamente in prossimità dell'alba e del tramonto. Come riferisce Asheri nel suo commento al logos, i geografi ionici del VI secolo a.C. cercarono di localizzare questa distinzione mitica: ne risultò che un ceppo etiopico abitava l'India e un altro l'Africa, dalla Nubia alla costa atlantica. Quando Erodoto, nella rassegna dell'esercito di Serse in marcia verso la Grecia (settimo libro), descrive il contingente etiopico, lo divide appunto tra le schiere «ricciute», abitanti a sud dell'Egitto, e quelle «dai lisci capelli», «asiatiche». L'Etiopia degli antichi corrisponde più o meno, secondo la geografia erodotea, alla zona compresa tra la prima cateratta del Nilo (Assuan, o Siene, presso Elefantina) e la quinta o la sesta (Meroe), l'odierna Nubia egiziana e Sudan settentrionale, fino a Karthum.
Nell'incontro con gli Ittiofagi, il re degli Etiopi rimane perplesso, poi ride, di fronte ai doni sfarzosi inviatigli da Cambise: una veste di porpora, una collana d'oro, dei braccialetti, un vaso d'alabastro di unguento profumato. Solo il vino fenicio lo incanta. E il sovrano, schernendo il regime alimentare dei Persiani, afferma che morirebbero molto prima, se non possedessero questa bevanda.
Gli Etiopi si cibano di latte e carne cotta, apparecchiata ogni notte, da chi a turno esercita il potere, in un prato che chiamano la mensa del Sole. Per Erodoto, oltre a essere gli uomini più alti e più belli, sono anche i più longevi. La loro età media è 120 anni, «forse» grazie a una fonte dal profumo di viole, dove continuamente si lavano e diventano «più lucenti come se fosse d'olio».
Il confronto più problematico tra cultura etiopica e persiana è intorno al concetto di «giustizia». Subito il re degli Etiopi capisce che i mangiatori di pesce non sono altro che spie, e che Cambise si prepara alla guerra. «Non è un uomo giusto - afferma al suo riguardo - poiché, se fosse stato giusto, non avrebbe desiderato un altro paese oltre al suo». Poi lo sfida ad attaccare. Cambise, «pieno d'ira», marcia contro gli Etiopi, agli «estremi confini della terra», «senza dare nessuna disposizione sulle provviste». E sarà costretto a battere miserevolmente in ritirata quando i suoi uomini cominceranno a sbranarsi l'un l'altro sotto i morsi della fame.
La hybris di Cambise, il profanatore della tomba del faraone Amasi e l'assassino del dio Api, è punita. Per raccontare la tormentata campagna etiopica Erodoto si avvale, probabilmente, di notizie raccolte in Egitto da informatori ostili al re persiano, che parlano greco. Erodoto il «filobarbaro», il fìlopersiano, come lo definirà Plutarco oltre cinque secoli dopo, proietta sull'Etiope - il «buon selvaggio dell'antichità», nota Asheri - i valori periclei di misura e continenza.


“il manifesto”, 2 dicembre 1990

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