1.4.17

Un elogio di Maurizio Costanzo (Beniamino Placido)

In un ritaglio di “Repubblica” ritrovo questo elogio di Maurizio Costanzo, scritto da Beniamino Placido nella sua rubrica di commenti televisivi. Al tempo Costanzo era già caduto dal cuore di molti bempensanti per via di quella iscrizione alla P2 di Gelli, dopo molte incertezze confermata da lui stesso in interviste e processi, e della motivazione che ne aveva dato (“sono stato un cretino”). Ma Placido, l'americanista di vaglia, l'intellettuale curioso di tutto, il magnifico divulgatore, che pure non mostrava alcuna indulgenza verso le cospirazioni massoniche più o meno devianti, non aveva smarrito il senso della distinzione e perfettamente sapeva individuare i meriti di Costanzo e la qualità progressista di gran parte della sua comunicazione. (S.L.L.)
Maurizio Costanzo con Elsa Martinelli e Mario Scaccia in una puntata del "Maurizio Costanzo show" (1987)
Anche questa settimana Maurizio Costanzo ha fatto qualcosa per Roma. Senza farsi impressionare dalle invettive a tutti ormai note del professor Luigi Firpo, che ha definito la capitale un agglomerato informe, violento, godereccio, sfaticato e ingovernabile. Questa settimana è accaduto di giovedì. Quando il "Maurizio Costanzo Show" (Canale 5) ha presentato e imposto all'attenzione del pubblico del Teatro Parioli un diciannovenne ragazzo di colore: che qualche cosa di sbagliato l'ha fatta; che per questo è stato condannato ed ha pagato, e adesso chiede soltanto di avere la cittadinanza italiana. Mentre un foglio di via della Questura di Alessandria gli imporrebbe di ritornare in Etiopia, dove non conosce nessuno; non sa parlare la lingua (vive in Italia da quando aveva due anni) e dove lo spedirebbero subito al fronte a fare la guerra. Il pubblico del Teatro Parioli, che per essere un pubblico romano dovrebbe essere composto secondo il professor firpo di indolenti mangioni cialtroni, ha risposto con affettuosa benevolenza alla sollecitazione di Costanzo: ma sì, teniamocelo con noi, questo sorridente riccioluto ragazzo dalla faccetta nera. Sarà migliore certamente e socialmente più utile di tanti filibustieri dalla faccia candida che circolano per Roma: e chissà, forse persino per Torino.
Ma, alla fine della settimana passata, la sera di venerdì 2 dicembre, Costanzo ha fatto qualcosa di più. In una serata memorabile, che rimarrà nella storia del Maurizio Costanzo Show (se gli shows televisivi hanno una storia), Costanzo ha presentato ed imposto al rispetto del pubblico Umberto Bindi. Proprio lui: il cantante delicato e appassionato degli Anni 60 (Arrivederci, Il nostro concerto). Un uomo devastato dalla consapevolezza di essere omosessuale; atterrito dalle conseguenze sociali (che sono state pesanti, negli anni passati), di questo suo modo di essere e di comportarsi; evidentemente danneggiato nella carriera; ma incoraggiato da Costanzo a rivendicare con fermezza la sua diversità: “Se qualcuno le dice ancora qualcosa, venga da me, lo porti da me; gli facciamo insieme una bella trasmissione”.
Il professor Firpo ha certamente ragione. La città di Roma ha tutti i difetti che egli le imputa. Tutti e qualcuno di più, ben noto a noi che l'abitiamo e l'amiamo: di un amore commisto come tutti gli amori a congiunturali irritazioni. Ma non dimentichiamo la Roma di una volta (pochi anni fa, in fondo) che aveva, con tutti questi difetti, una virtù. La virtù della tolleranza: c'è posto per tutti, qui. Ricchi e poveri; malati e sani; bianchi rossi verdi e gialli. A volte questa tolleranza romana si esprime in termini di fiacchezza: che fatica prendersela con qualcuno o con qualcosa; lasciamo perdere. È la tolleranza romanesca di Pippo Franco e di Biberon. Generosa soprattutto verso l'alto, verso i politici: perché ce la dovremmo prendere con loro? Sono esseri umani anche loro (altroché: umani, umanissimi, troppo umani). Lasciamo, anzi lassamo perde. Altre volte si esprime però in termini di saggezza. È il caso di Costanzo: del quale non dimenticherò quella serata della passata stagione in cui ritornò sul palcoscenico accaldato, arrabbiato per affrontare il suo pubblico, il pubblico del Teatro Parioli che aveva fischiato uno zingaro. Gli zingari, si sa, rubano e sono sporchi: mandiamoli via. Costanzo tornò sul palcoscenico e disse: “ahò, Hitler ne ha mandati nei forni crematori un bel po' di questi tzigani; che dite, ci mandiamo anche questo?”. Costrinse quel pubblico, il suo pubblico ad abbandonare la fiacchezza sprezzante, ed a ritrovare la saggezza antica, tollerante.
Il professor Firpo avrebbe ragione ancora se dicesse (forse lo sta pensando) che questa tolleranza benevola c'era una volta, a Roma. È vero: come tutte le grandi città, anche Roma si è illividita, è diventata cattiva e diffidente. Ragione di più per apprezzare il Maurizio Costanzo Show che la ritrova e la ricrea, questa antica virtù, quasi ogni sera. Dico quasi, perché come ogni romano che si rispetti, anche Maurizio Costanzo ha le sue ricadute nella fiacchezza, di tanto in tanto. Ma le sue ultime impennate di saggezza civile per i malati di Aids, per i cittadini di colore, per i diversi sono state rispettabilissime. Qualcuno rimprovera a Costanzo di mischiare troppo. Di mescolare ogni sera sul palcoscenico del Teatro Parioli, storie e personaggi diversissimi. Trovo al contrario che questo è il pregio strutturale e non occasionale, non congiunturale del suo talk-show. Presentando e facendo accettare con i loro pregi ed i loro difetti personaggi diversissimi (questa settimana: la giornalista-salottista Antonella Boralevi e il filosofo Ermanno Bencivenga; lo scienziato Giovanni Berlinguer, autore del libro sulle pulci, e il cantante Sergio Endrigo, per esempio) Costanzo riesce a dimostrare nei fatti che c' è posto per tutti. Sul palcoscenico del Teatro Parioli in Roma; in televisione; e nel mondo in generale. Anche per il professor Firpo; soprattutto per il professor Firpo. Basta un po' di pazienza.


“la Repubblica”,10 dicembre 1988

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