In un ritaglio di
“Repubblica” ritrovo questo elogio di Maurizio Costanzo, scritto
da Beniamino Placido nella sua rubrica di commenti televisivi. Al
tempo Costanzo era già caduto dal cuore di molti bempensanti per via
di quella iscrizione alla P2 di Gelli, dopo molte incertezze
confermata da lui stesso in interviste e processi, e della
motivazione che ne aveva dato (“sono stato un cretino”). Ma
Placido, l'americanista di vaglia, l'intellettuale curioso di tutto,
il magnifico divulgatore, che pure non mostrava alcuna indulgenza
verso le cospirazioni massoniche più o meno devianti, non aveva
smarrito il senso della distinzione e perfettamente sapeva
individuare i meriti di Costanzo e la qualità progressista di gran
parte della sua comunicazione. (S.L.L.)
Maurizio Costanzo con Elsa Martinelli e Mario Scaccia in una puntata del "Maurizio Costanzo show" (1987) |
Anche questa settimana
Maurizio Costanzo ha fatto qualcosa per Roma. Senza farsi
impressionare dalle invettive a tutti ormai note del professor Luigi
Firpo, che ha definito la capitale un agglomerato informe, violento,
godereccio, sfaticato e ingovernabile. Questa settimana è accaduto
di giovedì. Quando il "Maurizio Costanzo Show" (Canale 5) ha
presentato e imposto all'attenzione del pubblico del Teatro Parioli
un diciannovenne ragazzo di colore: che qualche cosa di sbagliato
l'ha fatta; che per questo è stato condannato ed ha pagato, e adesso
chiede soltanto di avere la cittadinanza italiana. Mentre un foglio
di via della Questura di Alessandria gli imporrebbe di ritornare in
Etiopia, dove non conosce nessuno; non sa parlare la lingua (vive in
Italia da quando aveva due anni) e dove lo spedirebbero subito al
fronte a fare la guerra. Il pubblico del Teatro Parioli, che per
essere un pubblico romano dovrebbe essere composto secondo il
professor firpo di indolenti mangioni cialtroni, ha risposto con
affettuosa benevolenza alla sollecitazione di Costanzo: ma sì,
teniamocelo con noi, questo sorridente riccioluto ragazzo dalla
faccetta nera. Sarà migliore certamente e socialmente più utile di
tanti filibustieri dalla faccia candida che circolano per Roma: e
chissà, forse persino per Torino.
Ma, alla fine della
settimana passata, la sera di venerdì 2 dicembre, Costanzo ha fatto
qualcosa di più. In una serata memorabile, che rimarrà nella storia
del Maurizio Costanzo Show (se gli shows televisivi hanno una
storia), Costanzo ha presentato ed imposto al rispetto del pubblico
Umberto Bindi. Proprio lui: il cantante delicato e appassionato degli
Anni 60 (Arrivederci, Il nostro concerto). Un uomo
devastato dalla consapevolezza di essere omosessuale; atterrito dalle
conseguenze sociali (che sono state pesanti, negli anni passati), di
questo suo modo di essere e di comportarsi; evidentemente danneggiato
nella carriera; ma incoraggiato da Costanzo a rivendicare con
fermezza la sua diversità: “Se qualcuno le dice ancora qualcosa,
venga da me, lo porti da me; gli facciamo insieme una bella
trasmissione”.
Il professor Firpo ha
certamente ragione. La città di Roma ha tutti i difetti che egli le
imputa. Tutti e qualcuno di più, ben noto a noi che l'abitiamo e
l'amiamo: di un amore commisto come tutti gli amori a congiunturali
irritazioni. Ma non dimentichiamo la Roma di una volta (pochi anni
fa, in fondo) che aveva, con tutti questi difetti, una virtù. La
virtù della tolleranza: c'è posto per tutti, qui. Ricchi e poveri;
malati e sani; bianchi rossi verdi e gialli. A volte questa
tolleranza romana si esprime in termini di fiacchezza: che fatica
prendersela con qualcuno o con qualcosa; lasciamo perdere. È la
tolleranza romanesca di Pippo Franco e di Biberon. Generosa
soprattutto verso l'alto, verso i politici: perché ce la dovremmo
prendere con loro? Sono esseri umani anche loro (altroché: umani,
umanissimi, troppo umani). Lasciamo, anzi lassamo perde. Altre volte
si esprime però in termini di saggezza. È il caso di Costanzo: del
quale non dimenticherò quella serata della passata stagione in cui
ritornò sul palcoscenico accaldato, arrabbiato per affrontare il suo
pubblico, il pubblico del Teatro Parioli che aveva fischiato uno
zingaro. Gli zingari, si sa, rubano e sono sporchi: mandiamoli via.
Costanzo tornò sul palcoscenico e disse: “ahò, Hitler ne ha
mandati nei forni crematori un bel po' di questi tzigani; che dite,
ci mandiamo anche questo?”. Costrinse quel pubblico, il suo
pubblico ad abbandonare la fiacchezza sprezzante, ed a ritrovare la
saggezza antica, tollerante.
Il professor Firpo
avrebbe ragione ancora se dicesse (forse lo sta pensando) che questa
tolleranza benevola c'era una volta, a Roma. È vero: come tutte le
grandi città, anche Roma si è illividita, è diventata cattiva e
diffidente. Ragione di più per apprezzare il Maurizio Costanzo Show
che la ritrova e la ricrea, questa antica virtù, quasi ogni sera.
Dico quasi, perché come ogni romano che si rispetti, anche Maurizio
Costanzo ha le sue ricadute nella fiacchezza, di tanto in tanto. Ma
le sue ultime impennate di saggezza civile per i malati di Aids, per
i cittadini di colore, per i diversi sono state rispettabilissime.
Qualcuno rimprovera a Costanzo di mischiare troppo. Di mescolare ogni
sera sul palcoscenico del Teatro Parioli, storie e personaggi
diversissimi. Trovo al contrario che questo è il pregio strutturale
e non occasionale, non congiunturale del suo talk-show. Presentando e
facendo accettare con i loro pregi ed i loro difetti personaggi
diversissimi (questa settimana: la giornalista-salottista Antonella
Boralevi e il filosofo Ermanno Bencivenga; lo scienziato Giovanni
Berlinguer, autore del libro sulle pulci, e il cantante Sergio
Endrigo, per esempio) Costanzo riesce a dimostrare nei fatti che c' è
posto per tutti. Sul palcoscenico del Teatro Parioli in Roma; in
televisione; e nel mondo in generale. Anche per il professor Firpo;
soprattutto per il professor Firpo. Basta un po' di pazienza.
“la Repubblica”,10
dicembre 1988
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