28.4.17

Le nebbie di Milano illuminate da Beppe Viola (Alessandro Robecchi)

Milano 1962. Tifosi al derby.
La solita squadra di pirla vinceva due a zero e si fece rimontare: Inter-Napoli 2 a 2. Beppe Viola, che era milanista ma umano, ci stava scrivendo il pezzo per la “Domenica Sportiva” quando si accasciò sulla scrivania e morì così, quarantatré anni da compiere a giorni, ed ecco perché oggi non si può difendere dai complimenti.
Ora Quodlibet rimette mano a un bel po’ di suoi scritti (ah, le rubriche su “Linus”!), racconti e deliri vari, tutta roba buonissima, con Vite vere compresa la mia, libro (qui ben arricchito) che uscì nell’81 grazie alla tigna di Oreste del Buono. Non che Beppe Viola sia misconosciuto, certo, e va segnalato, per vederlo da un’altra angolazione, anche il bel racconto della figlia Marina, Mio padre è stato anche Beppe Viola (Feltrinelli, 2013). Ma sia: questo libro va sullo scaffale degli omaggi e dei ricordi, roba da leggere ghignando, come sicuramente ghignava lui scrivendo.
La Milano di Viola sa di anni Sessanta (le origini), parla dei Settanta e sfiora appena gli Ottanta. Viola se ne va che già la fabbrica di Vincenzina è in ristrutturazione (vedi struggente canzone), ma ancora non ci sono il luccichìo craxista, né il Pci migliorista, né tutto il brutto che verrà dopo da Berlusconi (uno nato all’Isola, come Beppe) in poi. Però c’era la nebbia, e Jannacci. C’era il Derby, inteso come cabaret (avvertenza: la Milano del Derby è come la Bologna del Dams, sembra che ci siano passati tutti, ma non è vero), c’erano Cochi e Renato, Dario Fo – che c’è sempre, e meno male – e c’era il Luciano Bianchi de La vita agra, il Tognazzi diretto da Lizzani, dal romanzo di Bianciardi, che veniva in città per far scoppiare il Pirellone: di grattacielo c’era quasi solo quello. C’erano un sacco di cose, compresa (si diceva già allora) la “capitale morale”, che a quei tempi – come oggi – voleva dire i dané.
Il mischione non sembri casuale: se si mettono insieme le stralunate epopee proletarie di Jannacci, le periferie gelate di Romanzo Popolare (ancora Tognazzi e la sua Vincenzina, qui la mano era di Monicelli, e Beppe figurava come “consulente per il dialetto milanese”), i bar brutti e quelli belli, il boom e conseguente delusione, lo stadio e l’ippodromo, Rivera e Mazzola, e molto altro, è perché era un mischione vero. Insomma, sì, chiedo scusa, lo scenario è ampio, Viola ne era una pedina preziosa, ma quel che si vuol dire qui è che esisteva una contro-narrazione di Milano, quella che sarebbe diventata “da bere” (maledetti!). C’era un solido racconto della sua umanità, scontroso e satiricamente opposto alla vulgata ufficiale.
Mi scusino i tifosi del Beppe: per gli aneddoti e le battute strepitose leggete lui che è meglio. Però va detto: grazie a lui e a quelli come lui, che erano poi i suoi amici, Milano riusciva a non essere descritta nella mono-dimensione dei soldi e degli affari (e delle fabbriche, allora). Era una città con più udienza nell’immaginario del Paese, con più peso: la sua lingua non era bandita (si pensi a Bramieri nella tivù del sabato sera, oggi conclamatamente romanocentrica) e non era ancora diventata il basic-italian burocratico-nordista delle reti Mediaset. Era in qualche modo una città contemporanea ma non ancora moderna, un po’ gaddiana, con quartieri popolari affacciati sul salotto buono (come il Garibaldi, poi sciccosamente recuperato in stile “volevo essere Parigi”); e di Sesto San Giovanni si diceva “Stalingrado”, ma senza ridere.
Grazie a Beppe Viola e alla sua mirabolante cosmogonia, insomma, si vedevano sfaccettature di Milano non rintracciabili nella narrazione ufficiale, ma abbastanza popolari da diventare mainstream, si pensi alla famosa intervista a Gianni Rivera sul tram. E qui sta il punto. Perché oggi esiste in effetti, per la prima volta dopo anni, una narrazione milanese, approvata e consigliata. La vetrina sul mondo, la propaganda ottimista-governativa, il dogma del “grande successo di Expo” che guai a contraddire, la Bocconi che benedice, l’eccellenza lombarda nonostante il ciellismo-Formigonismo, i grattacieli di vetro dove una volta c’era un luna park scalcagnato (e molto jannacciano), la moda, il design… C’è tutto, e anche troppo: compreso il “modello Milano” da esportare ovunque, toccasana per il paese stanco che Milano dovrebbe, nel caso, energizzare.
Ma oggi la contro-narrazione non c’è, non è data, non esiste. Ecco: in questi casi si innesta di solito un mix tra simulazione e nostalgia, e si immagina cosa avrebbe potuto dire un Beppe Viola di questo e di quell’altro, della sharing-economy (traduco: utilitarie e biciclette), o delle periferie, visto che al Corvetto è più facile veder giocare a domino in djaballa che a biliardo in vestiti dell’Upim, e la vera cucina milanese si chiama sushi. Sarebbe un esercizio divertente, ma impossibile. E questo proprio perché Viola – che viveva di sguincio le “vite vere” che raccontava – non era solo: era immerso, e ne era motore e interprete, in una voce collettiva che rivendicava una Milano per i milanesi (pugliesi, calabresi e “terroni” compresi, ovvio) e non per una milanesità da consiglio di amministrazione, international e cool.
Rileggere oggi il vecchio Beppe, quello che “sono entrato alla Rai rispondendo ‘no’ alla domanda: lei è comunista?”, quello dei panini di Gattullo e dell’ “Ufficio facce”, quello del “il derby di oggi è stato così brutto che vi mostriamo le immagini di quello passato”, fa dunque un effetto strano. Prezioso per quel che si leggeva (a suo modo un classico), e al tempo stesso deprimente per quel che non si legge oggi. Una prova che ad ogni propaganda è possibile rispondere con un racconto alternativo e vivo, allegro e non conforme. Ma anche una conferma che oggi quel racconto alternativo non esiste, silenziato dalle ondate contrapposte di indifferenza o ottimismo obbligatorio. Il “modello Milano”, ha oggi il suo canto e i suoi cantori, ma non il controcanto e i saltimbanchi. Una città a una dimensione, moderna, sì, vabbé. Ma il 3d che sapeva darle Beppe, così antico, era più moderno ancora.


“Pagina 99”, 12 dicembre 2015

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