Alla vigilia del
centenario della nascita di Elsa Morante uscì per i tipi della
Sellerio un volume miscellaneo che conteneva inediti morantiani,
testimonianze, contributi critici. La recensione che segue, di un
critico di nuova generazione, lontano dalle polemiche suscitate dal
libro più controverso della scrittrice, La Storia,
coglie l'occasione per un approccio che si vorrebbe più equilibrato,
meno pervaso da furori ideologici. Non mi convince, credo che la
nuova stroncatura di quel libro (perché di questo si tratta),
parallela ad una rivalutazione nettamente positiva dell'intera opera
della Morante, non sia esente da quei pregiudizi (“ideologici”)
da cui Scaffai si proclama immune. Il pezzo è comunque degno d'esser
tenuto presente per una “riscoperta” che oramai mi pare non solo
matura, ma addirittura urgente. (S.L.L.)
A una festa, capita di
incontrare amici che non si vedevano da molto tempo. In quel caso, ci
si coglie a misurare i cambiamenti che i mesi o addirittura gli anni
trascorsi hanno portato, e talvolta regalato, ai volti e alle figure.
L'anno scorso era il venticinquesimo dalla morte di Elsa Morante,
l'anno prossimo cadrà il centenario della nascita. Prima di disporsi
alle grandi manovre critiche e congressuali che le circostanze
richiedono e che l'opera della Morante merita, è utile prendere in
mano il volume appena pubblicato da Sellerio (Festa per Elsa,
a cura di Goffredo Fofi e Adriano Sofri, pp. 194, € 14,00), per
ricevere la testimonianza di quelli che la Morante l'hanno conosciuta
in carne e ossa. È un po' come nella canzone del Mondo salvato
dai ragazzini: quei fortunati sono i Felici Pochi agli occhi di
noi Infelici Molti che oggi frequentiamo Elsa Morante solo come
autore (guardiamoci dall'usare i femminili - 'autrice', 'scrittrice',
e men che mai 'poetessa' - che Elsa detestava) di un libro bellissimo
quale è Menzogna e sortilegio.
Il titolo di questo
rendez-vous ricorda la parola Festschrift, di gusto assai più
accademico; ma in fondo, se pensiamo che quel tipo di miscellanea si
allestisce in vita del celebrato, la coincidenza etimologica non
stona. C'è da dire che questa non è la prima Festa per Elsa,
perché il titolo e gran parte dei testi appartenevano già a un
numero speciale di «Fine secolo», supplemento di «Reporter»
uscito nel dicembre del 1985, poco dopo la scomparsa della Morante.
Intervennero tra gli altri, e ritroviamo oggi, Fabrizia Ramondino,
Carmelo Samonà, Patrizia Cavalli, Ginevra Bompiani, Giorgio Agamben,
Ninetto Davoli. Alla Festa del 2011 partecipa anche un ospite di
speciale riguardo, la stessa Morante, di cui sono ora pubblicate
alcune lettere a Fofi e la citata Canzone degli F. P. e degli I.
M. Inoltre qui il co-curatore Sofri, già autore di un breve
scritto nella raccolta dell'85, affida il suo ricordo anche a un più
lungo memoriale-postfazione (Gli ombrelli sono bellissimi quando
si aprono).
Sono proprio gli anni
trascorsi fra l'una e l'altra 'festa' a permetterci, come si diceva
all'inizio, di scorgere i segni del tempo; il che non vuol dire solo
rimpiangere la scomparsa di alcuni amici di Elsa presenti all'epoca e
qui riconvocati. Come Giorgio Caproni, che motivava la sua
«defezione» dal funerale della Morante con l'insofferenza nei
confronti di «chi si reca quasi goloso (...) alle esequie di un
personaggio illustre soltanto per mettersi in vista». Come Natalia
Ginzburg, che tornava col ricordo alla prima lettura di Menzogna e
sortilegio e all'emozione di scoprire che era possibile, nella
nostra epoca dove i libri erano annodati e avari, dare al prossimo
un'opera così luminosa e generosa». O come Cesare Garboli che di
Elsa Morante è stato il massimo intenditore, curandone le varie
edizioni postume uscite da Einaudi e da Adelphi e, con Carlo Cecchi,
il doppio «Meridiano» delle Opere. Ma, appunto, non sono solo
questi i segni. Si tratta di una festa, non di una necrologia né di
un fantastico colloquio con le ombre, come quello di Elisa in
Menzogna e sortilegio.
Vale la pena leggere
Festa per Elsa facendolo reagire col vivo presente: è anche
un'occasione per guardare sub specie morantiana al Paese che l'autore
aveva abitato e conosciuto fino al 1985, confrontandolo con quello
che abitiamo e conosciamo oggi. Per esempio, nell'introduzione Fofi
scrive che «La Storia divise la sinistra per il suo salvar
ben poco della Storia, mentre la sua ispirazione era stata (...)
quella di metterci in guardia, di mettere in guardia una generazione
dai pericoli della Storia, e cioè del Potere. (...) Una messa in
guardia dai rischi e dalle aberrazioni della politica, disse Norberto
Bobbio che ne capiva più di noi». Non ci è oscuro nemmeno oggi il
concetto di 'divisione della sinistra', ma faremmo fatica a
immaginare una frattura provocata da un romanzo, per di più da un
romanzo dell'entità della Storia (il recente caso-Gomorra, o
meglio caso-Saviano, che qualche attrito l'ha creato, mi pare sia
tutta un'altra cosa). E se dei pericoli della Storia la
generazione della Morante fu più esperta della nostra, qualcosa
sulle aberrazioni della politica, nel frattempo, abbiamo imparato
anche noi.
Reagire col presente e
nel presente, da un punto di vista critico-letterario, significa
anche impegnarsi nel giudizio di valore. Elsa Morante è ormai da
tempo collocata tra i primissimi scrittori italiani del Novecento,
tra gli autori necessari. Per questo non le si fa più danno se si
prova a rimetterne in discussione certi esiti. Anzi, una raccolta
come Festa per Elsa, nel ribadire e salvaguardare la vivente eredità
di affetti che la Morante ha lasciato, può forse servire per
sottrarre la sua opera all'immobilità dei canoni, alla prigione dei
valori indiscutibili, restituendola viva ai lettori di oggi. Lettori
che possono permettersi, ad esempio, di relegare le antiche critiche
a La Storia nello sciocchezzaio ideologico dell'epoca; ma che
possono anche riconoscere sine ira et studio le cadute formali
e gli effetti facili di quel romanzo. Non è un'idea nuova, ma non
per questo è meno fondata: la precipitazione della narrativa
ottocentesca, Trivialliteratur inclusa, ha prodotto un'opera
sublime come Menzogna e sortilegio. Invece la saturazione di
una certa topica neorealistica, che pure la Morante rifiutò quando
il neorealismo era in voga, ha prodotto un romanzo di tenuta
diseguale, che non sempre resiste all'attrazione del triviale. Più
che in un risarcimento fuori tempo nei confronti di una moda mai
amata, la ragione risiede forse nella tenace volontà di aderire alla
«finzione tragica» che, scrive qui Agamben, «alla fine apre un
varco al di là di se stessa. In quel varco, senza pena ne
redenzione, contempliamo per un istante la pura Finzione, prima che i
demoni la trascinino all'inferno o gli angeli la sollevino in cielo”.
"alias - il manifesto", 26 marzo 2011
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