«Aprire un negozio su
Taobao, è meglio che andare lontano a lavorare per altri». Dipinti
a caratteri cubitali sui muri appena imbiancati delle piccole città
di provincia dell’entroterra cinese, le pubblicità che invitano a
usare i negozi online sono sempre più diffuse. Secondo il
Centro di informazioni sulla rete internet cinese, infatti, alla fine
del 2015 in Cina c’erano 688 milioni di utenti attivi e di questi
quasi il 30 per cento (198 milioni) si collegavano dalle campagne.
Principalmente per comprare: fertilizzanti, mezzi agricoli o anche,
perché no, un televisore ultimo modello.
Alibaba, il gigante
dell’e-commerce cinese, se n’era accorto già nel 2014. È
stato il primo. Il suo gruppo di ricerca Alizila aveva evidenziato
come, seppure il numero di internauti nelle campagne era ancora
basso, quasi due terzi di loro comprava online. Una
percentuale del tutto simile a quella delle grandi metropoli e delle
ricche città costiere. Ma con un potenziale di crescita
incomparabile legato alla penetrazione ancora solo superficiale di
internet. L’anno scorso le transazioni hanno raggiunto la cifra
record di 520 miliardi di euro, un incremento del 33 per cento
rispetto all’anno precedente. Le dimenticate aree dell’entroterra
hanno contribuito con oltre 26 milioni di euro e un aumento del 22,5
per cento dei compratori online. E sta emergendo una novità. Ormai
dalle campagne non si compra semplicemente, ma si vendono i prodotti
locali. Così Jack Ma, il fondatore di Alibaba, è riuscito a firmare
un accordo con la Lega dei giovani comunisti: formerà un milione di
teenager che porteranno l’e-commerce nelle campagne.
Le campagne cinesi si
stanno spopolando e quello che non è monocultura intensiva soffre
per insufficienti canali di distribuzione e mancanza di forza lavoro
e di investimenti. Si tratta di uno squilibrio economico pesante per
un Paese che punta a divenire la prima economia mondiale. Nel 2014 il
reddito medio nelle campagne è stato di meno di 1.500 euro all’anno,
nemmeno la metà di quello delle aree urbane. Il premier Li Keqiang
ha annunciato che per il 2020 vuole sollevare dalla povertà i 70
milioni di cinesi che ancora vivono nelle aree più sperdute del
Paese con meno di 350 euro l’anno. E il nuovo piano quinquennale
prevede che per quella data 50 mila villaggi in più saranno connessi
alla banda larga con il conseguente miglioramento dei servizi per 30
milioni di famiglie contadine. Allora il 98 per cento del territorio
sarà connesso alla rete. Un investimento da 19 miliardi di euro che
scommette sull’e-commerce per riscattare l’economia
impoverita delle campagne e, soprattutto, la sua popolazione. «E
poiché in Cina le politiche vincenti sono sempre scelte dall’alto,
ora i privati fanno a gara per conquistare l’entroterra», spiega
Kaiser Kuo, direttore del dipartimento di comunicazione
internazionale di Baidu, un’azienda in tutto e per tutto
paragonabile a Google. Un’altra pubblicità frequentemente dipinta
sui muri dei villaggi è «Costruire strade per arricchirsi,
consultare Baidu prima di fare acquisti».
Secondo Ying Lowrey,
docente di economia presso la prestigiosa università Tsinghua di
Pechino e autrice de The Alibaba Way: Unleashing Grass-Roots
Entrepreneurship to Build the World’s Most Innovative Internet
Company (McGraw-Hill, 2016) l’assunto del gigante di e-commerce
«semplificare ovunque il modo di diventare imprenditori» ha
convinto molti anche nelle aree più remote del Paese. L’immagine
che l’ha colpita maggiormente durante la sua ricerca nelle campagne
è stata la frequenza con cui Jack Ma veniva inserito nell’altarino
dei numi tutelari assieme agli antenati delle famiglie che avevano
scelto di aprire un negozio online. «Il commercio online sta
salvando anche molti mestieri tradizionali», spiega la Ying. «Se
fino a qualche anno fa cestini di vimini intrecciati, abiti
tradizionali e stoviglie di legno si trovavano di fronte un mercato
sempre più ristretto, oggi gli è data la possibilità di
raggiungere qualsiasi angolo del Paese e, volendo, del mondo. È
anche interessante l’incontro con i cosiddetti migranti di ritorno
che conoscono il valore che gli abitanti delle città attribuiscono
al cibo biologico e all’artigianato e che spingono i loro
compaesani ad affacciarsi al più appetibile bacino di acquirenti
delle città tramite internet».
Con la pubblicazione del
report del 2014, Alibaba aveva annunciato un investimento di 1,3
miliardi di euro nelle aree rurali da destinare a infrastrutture e a
formazione. L’idea era talmente buona che dopo appena due mesi
Jingdong, il suo principale competitor, aveva annunciato un programma
di microcredito per chi era intenzionato ad aprire un negozio online
rimanendo in campagna. A un anno di distanza anche il governo si è
convinto. Le micro aziende che possono essere aperte in campagna
rientrano alla perfezione nei piani del governo. Per scongiurare
l’hard landing, Zhongnanhai, il Cremlino cinese, punta su
un’economia basata su servizi e consumi che conquisti anche le
sconfinate campagne cinesi. Per questo, stando ai proclami
governativi riportati dalle agenzie di stampa, Pechino «aiuterà i
lavoratori migranti, i laureati e i veterani dell’esercito che
vorranno tornare nei loro villaggi natali per avviare un’attività
economica». E ulteriori fondi sono offerti all’interno del
progetto Internet Plus che individua nelle aziende tecnologiche un
nodo fondamentale per lo sviluppo del terzo settore.
Secondo lo studio di
Alizila, infatti, meno una regione è sviluppata economicamente più
è veloce la crescita dello shopping online. Ad esempio tra le cento
cittadine che hanno visto lo sviluppo maggiore nell’ultimo anno, 75
erano nell’impoverito nordovest del Paese. E un campione di 300
cittadine che avevano aperto i propri negozi online hanno generato
oltre 13 milioni di euro in un anno. Per aiutare a sviluppare questi
nuovi canali, Alibaba ha già aperto nuove postazioni internet in
1.800 villaggi e prevede di arrivare a centomila entro il 2019. Li
chiama «Taobao per le campagne». Chiunque può accedervi. Qui,
personale qualificato aiuta i locali a accedere alla rete, vendere e
comprare online. Stando a quanto affermato da Jin Jianhang,
presidente del gruppo Alibaba, «la Cina ha circa 570 mila villaggi
che vogliamo aiutare a raggiungere la stessa fiducia nell’e-commerce
che hanno le grandi città». Lo fa attraverso quelli che chiama
«soci rurali», persone formate da Alibaba che aiutano i compaesani
a comprare e a vendere online. A dicembre dello scorso anno poteva
già contare su 5.870 figure di questo genere che, guadagnando a
percentuale, riuscivano a fare tra i 250 e 2.200 euro al mese. L’idea
è quella di raggiungere attraverso i propri servizi la gran parte
dei cinesi che vivono in campagna. Un numero che è stimato tra i 600
e gli 800 milioni. E il governo sta facendo lo stesso. L’anno
scorso ha stilato una lista di 200 contee dove, con un investimento
di 270 milioni di euro, favorirà la sperimentazione di quello che
ormai va sotto l’etichetta di e-commerce rurale e svilupperà le
infrastrutture in modo da rendere più semplice il trasporto delle
merci. Secondo il ministro del Commercio Gao Hucheng, questo aiuterà
anche ad abbassare i costi logistici riducendo del 15 per cento il
prezzo delle merci al consumatore. «In passato», spiega ancora la
Ying, «se vivevi nelle campagne non avevi altra scelta che fare il
contadino. Oggi ti basta una connessione a internet e qualcuno che ti
insegni come funzionano i negozi online per diventare imprenditore».
Pagina 99, 9 aprile 2016
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