10.4.17

L'enigma del passato e del futuro. Da Aristotele a Boltzmann (Giovanni Maria Pace)

Ludwig Boltzmann
FERMO — Per tre giorni, una folla di giovani ha ascoltato un gruppo di professori riuniti in questa cittadina marchigiana da Ruggiero Romano, direttore dell’Enciclopedia Einaudi. Tema dell’incontro, il tempo: il tempo nella storia, nella scienza, nell’etica. Un tema affascinante, svolto dai relatori con grande competenza ma senza l’impegno divulgativo che il rivolgersi a un pubblico non specializzato avrebbe richiesto. Eppure il pubblico, attento e assiduo oltre l’immaginazione, ha ascoltato, preso appunti, applaudito.

Messaggio cifrato
Che cosa abbiano capito i giovani di Fermo dell’esplorazione kantiana di Jean Petitot, della modellistica matematica di René Thom, dell’excursus geometrico-biologico di Antoine Danchin è difficile dire. L'epistemologo Marco Mondadori — cui spetta, tra gli oratori della sezione dedicata alle scienze, la palma dell’ermetismo — riconosce di aver parlato difficile, ma ritiene che il messaggio scientifico giovi sempre al pubblico, anche se cifrato. Forse ha ragione. I ragazzi di Fermo, gli insegnanti, gli studenti affluiti dal circondario avranno capito poco, è vero; ma per tre giorni hanno respirato l’aria delle grandi scuole di pensiero, dove si crea sapere, hanno assaporato il mistero di sentirsi parte, seppure transitoriamente, di quell’empireo della scienza a cui appartenne il favoloso Einstein; hanno, se non spento, quantomeno attenuato quella sete di certezza che fuori, nella banalità violenta delle piazze, non riescono a soddisfare.
Tra le varie relazioni, ci soffermeremo su quella del professor Giulio Giorello, ordinario di filosofia della scienza all’università di Milano.
Il tempo non è quell’entità assoluta e oggettiva che noi istintivamente pensiamo. Per l’uomo, il tempo si misura sulla durata della vita. Ma se passiamo dalla biologia ai costituenti primi della materia, tempi brevissimi, dell’ordine del miliardesimo di secondo, segnano l’intera vicenda di una particella; mentre su scala cosmica gli eventi sono scanditi da tempi inconcepibilmente lunghi: l’esplosione di una supernova rischiara il cielo per mesi; il Sole, nato una quindicina di miliardi di anni fa, arriverà alla vecchiaia tra cinque miliardi di anni... Interrogarsi sul tempo, sulla sua esistenza o inesistenza al di fuori di noi, è stato sempre un tema di speculazione caro ai filosofi. Aristotele dava del tempo una definizione che tradiva il rammarico per il suo ineluttabile trascorrere: il tempo è causa di corruzione, diceva. Per Aristotele, come per ogni comune mortale, il tempo scorre dunque in una direzione e non può tornare indietro. Ma non si tratta forse di mera apparenza?
La fisica di Galileo e di Newton ha mostrato che certi fenomeni — per esempio la caduta di un 'grave' lungo un piano inclinato — possono essere ripetuti in senso inverso, come un film che scorra. All’incontrario, se al tempo, che assume valori crescenti durante lo svolgersi del fenomeno, si danno valori decrescenti. Alcuni fenomeni della fisica sono reversibili mentre altri — il dissolversi del fumo di una vaporiera — sono irreversibili: in essi c'è una notevole asimmetria tra il passato e il futuro. Nel secolo scorso, ha detto Giorello, una 'strana' scienza, la termodinamica, ha mostrato che certi scambi energetici vanno in una sola direzione: se impieghiamo un certo lavoro per elevare la temperatura di un corpo, non possiamo, invertendo il ciclo, ritornare precisamente allo stadio iniziale del processo: per quanto perfetta sia la macchina che impieghiamo, non otterremo mai dall’abbassamento del livello termico la stessa quantità di lavoro che abbiamo impiegata. Rimarrà sempre una parte dell'energia termica che non si trasforma in lavoro: una sorta di energia degradata. Perché c’è questa degradazione? La risposta, densa di implicazioni anche per l’uomo e la sua storia, occupò per anni una delle menti matematiche più alte e tormentate del secolo scorso: Ludwig Boltzmann, nato a Vienna nel 1844 e morto suicida a Duino, vicino a Trieste, nel 1906.
La nostra idea di tempo, del suo irreversibile trascorrere, trova dunque conferma nel secondo principio della termodinamica, secondo il quale nelle trasformazioni di calore in lavoro, solo una parte di calore è trasformabile; il resto si ritrova sotto forma di calore a una temperatura più bassa. Questa legge — che possiamo chiamare di ‘accrescimento dell’entropia, cioè della degradazione. del disordine dell’universo — suggerisce una differenza qualitativa tra eventi passati ed eventi futuri, cioè un flusso direzionale e irreversibile del tempo. Essa è valida però a livello dei processi macroscopici, cioè relativi all’universo nel suo complesso, mentre è contraddetta a livello delle leggi elementari microscopiche del moto che sono, come si diceva a proposito della fisica galileiana, temporalmente reversibili.
Applicatosi dunque allo studio di questa contraddizione, il matematico austriaco elaborò il 'teorema H', con il quale ritenne di aver dato una spiegazione meccanica dei fenomeni dell'irreversibilità e della crescita dell’entropia. Il teorema H fu però oggetto di temibili attacchi da parte di u Loschmidt prima e di Zermelo poi. Boltzmann dovette fare appello a tutte le sue risorse di _ matematico e di filosofo per I smontare le critiche, e uscì I dallo scontro visibilmente provato. La spiegazione del dilemma, secondo Boltzmann, è che mentre lo sconfinato u-niverso dal tempo immensamente lungo «è complessivamente in equilibrio termico, e quindi morto», particolari ‘mondi', come la nostra galassia, fluttuano al di qua e al di là di tale stato di equilibrio, per tempi che a noi paiono luoghi ma che sono trascurabili su scala cosmica. «Per l’universo», continua Boltzmann, «le due direzioni del tempo sono indistinguibili, come nello spazio non c’è un 'sopra' e un 'sotto'. Tuttavia, come in una particolare regione della superficie terrestre chiamiamo 'basso' la direzione verso il centro della terra, così un essere vivente in un particolare intervallo di tempo di un particolare 'mondo' distinguerà la direzione del tempo verso stati meno probabili dalla direzione opposta: la prima è il passato, la seconda il futuro...».

La sconfitta di Boltzmann
Le battaglie di Boltzmann non erano però finite, anzi lai più dura doveva ancora svolgersi. A Lubecca, in un convegno del 1895, il matematico dovette tener testa ai promotori dell’energetica, Ostwald e Mach. Ostwald, influente scienziato dell’epoca, dichiarò che gli ultimi sviluppi della fisica e della chimica avevano portato alla sconfitta dell'idea che il mondo sia costituito di atomi e molecole. Dietro la condanna dell’atomismo — e di Boltzmann, convinto atomista — c'era un rigurgito di irrazionalismo, non diverso (ha fatto notare lo storico della scienza Enrico Bellone) da quello che in tempi più recenti ha percorso la cultura occidentale, sulle ali del Sessantotto.
Sulla questione atomica, come prima sulla questione del tempo, Boltzmann esortò i colleghi a guardarsi dalle apparenze, che si fanno più ingannevoli a mano a mano che la scienza progredisce. Ma dallo scontro uscì sconfitto, e fisicamente stremato. Era il 1895. L’anno successivo, l’uomo che più drammaticamente aveva vissuto il paradosso del tempo, mise fine ai suoi giorni.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1979

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