20.4.17

Le note in punta di dita. Intervista a Franco Cerri (Marco Ranaldi)

Anni Quaranta. Franco Cerri alla chitarra, con Gorni Kramer e il Quartetto Cetra
Ci voleva un libro per riportare all'attenzione della gente che legge e che ascolta chi è Franco Cerri, eppure, come si direbbe in determinate situazioni, in America uno come lui sarebbe un chitarrista ultra famoso e milionario, altro che Pat Metheny.
Ma siamo in Italia, la repubblica del lambrusco e del prosciutto e di tutto quello che, se non è assordante, difficilmente rimane a galla. Poco male perché una persona come Franco Cerri sorride sempre alla vita con quel suo modo un poco english, un poco napoletano di saper vivere; fatto sta che un altro personaggio come Vittorio Franchini è riuscito a tracciare uno dei ritratti più sinceri di Cerri (così come in passato aveva fatto con Gorni Kramer) in un volume con prezioso cd edito in una spaziosa e spaziale serie diretta dal chitarrista Antonio Onorato per i tipi di Sigma Libri (Franco Cerri: in punta di dita. Note inedite n. 5123 pag., euro 19,00).
L'occasione è stata ghiotta per scambiare quattro chiacchiere con il maestro che come sempre si mostra sincero e umile e di una disponibilità impressionante.

Qualche anno fa facemmo una lunga ricostruzione del suo rapporto con Gorni Kramer e mi piacerebbe riprendere quel discorso.
Gorni Kramer è stato sicuramente il mio maestro in tutti i sensi e grazie a lui ho suonato tanto e con grandi personalità; ero molto legato e gli sono stato vicino fino agli ultimi momenti e anche quando era in ospedale aveva sempre quella bonomia e quella ironia che lo ha reso così amabile. Ricordo sempre con piacere il nostro primo incontro, infatti io con alcuni amici stavo strimpellando in un cortile e tentavo di fare un poco di jazz nostrano; qualcuno ci disse «guardate che sta arrivando Gomi Kramer per sentirvi», noi naturalmente ci mettemmo a ridere perché non pensavamo che fosse possibile, anche perché lui era già una grande invece eccolo spuntare con i suoi baffi e il suo cappotto, mi si avvicinò e mi chiese di suonare: ne uscì magicamente un duetto chitarra e fisarmonica e da allora iniziò la mia amicizia e collaborazione con lui. Mi ha sempre spronato a studiare, a migliorare, ma io ero giovane, mi piacevano le ragazze e mi piaceva suonare soprattutto quello che sapevo fare e forse per questo non ho mai preso lezioni di chitarra anche se poi ho scritto due metodi, uno per la Fabbri e l'altro con Ricordi.
Dalla mia amicizia con Kramer è nata un'altra grande amicizia, quella con Gianpiero Boneschi, che considero come il vero amico del cuore; ci siamo conosciuti tanto tempo fa quando nel gruppo di Kramer suonava il pianoforte Giannini, il quale, a un tratto, decise di tornare a Bari facendo sì che potesse subentrare Giampiero.

Lei però non è solo amico di Boneschi ma nel tempo ha coltivato amicizie con altri grandi musicisti.
Ho avuto molta fortuna nella mia vita di musicista e nel tempo ho potuto collaborare con musicisti come Dizzi Gillespie, Lionel Hampton, Martial Solal, Jean Luc Ponti, Lu Benet, Phil Woods; ma in particolare per un puro caso ho avuto l'onore di stringere amicizia con un pianista eclettico come Friederich Goulda che era osannato dalla critica e dal pubblico della classica ma era inviso a quello del jazz. L'incontro avvenne a Viareggio dove suonavo assieme a Gii Cuppini, Oscar Valdambrini e Gianni Basso; una sera si avvicinò questo signore e mi chiese di suonare il basso e nacque una memorabile jam. Alla fine, dopo tanti sforzi gli chiesi chi fosse e lui mi disse che era Friederich Goulda. Rimasi sorpreso e allibito allo stesso tempo e comunque grazie a quel fortuito incontro, ebbi la possibilità di divenire suo amico, anche se gli proposi subito di averlo mio ospite, ma lui mi disse che purtroppo aveva impegni per almeno due anni e che ci saremmo dovuti risentire.

Lei è stato anche grande amico di Leonardo Sciascia...
Ho conosciuto Sciascia attraverso il pittore Cazzaniga, famoso per essere un ritrattista di jazzisti, e la sera in cui lo conobbi ebbi il piacere di complimentarmi per il fraseggio che trovavo nella sua scrittura. Mi rispose che nella sua vita aveva letto almeno 2000 libri e grazie a quelle conoscenze era riuscito a creare il suo «fraseggio» e questo mi ha fetta capire che bisogna ascoltare molto per accumulare esperienze: sono molto felice quando le persone mi dicono che riescono a riconoscere il mio modo di suonare, dal mio suono, dal mio fraseggio, appunto.

Ricordiamo la sua lunga esperienza con il mondo della radio e della televisione?
Sempre con Kramer ho fatto veramente tante cose, dischi, radio e televisone, tant'è che già nel 1953 suonavo in «Arrivi e partenze». La trasmissione che però mi è rimasta più impressa è stata «Fine serata da Franco Cerri», sei puntate girate in una ipotetica casa mia dove ospitavo i migliori jazzisti italiani. Ho poi fatto «Chitarra e fagotto» dedicato ai bambini e trasmesso il sabato pomeriggio e poi ricordo «Jazz primo amore» con Intra, Kramer, Semprini, la Pizzi, che si era innamorata del jazz ma non ne era molto convinta, tant'è che non riuscii a farla cantare in televisione. Infine ricordo di aver condotto con Franco Fayenz «Jazz in Italia e Europa» dove riuscii ad avere come ospite anche Goulda, il quale era anche un bravissimo arrangiatore.

L'idea del libro di Franchini come è nata?
È stato Antonio Onorato, che mi meravigliò con la sua richiesta di a un libro su di me; per me l'unica persona che poteva mettere mani nella mia vita era ed è è Vittorio Franchini che è stato così bravo a raccogliere notizie, memorie e foto e realizzare un lavoro che non avrei mai immaginato. In verità già in passato ero rientrato in un volume sulla resistenza a Milano scritto dalla giornalista Ferri; mi ricordo che narrai tutto quel periodo unico e irripetibile nel quale già suonavo, e proprio per questo mio lavoro, finendo di trasmettere in una radio milanese alle quattro della notte, mi imbattevo nel coprifuoco e naturalmente in tutti i pericoli a esso connesso: una paura incredibile ma che ben potevo vivere per tutto quello che succedeva e per la mia esperienza personale. Vivevamo sì nel terrore ma anche nella consapevolezza di fare jazz in un periodo così rovinato dalla guerra ed è stata forse la mia, la nostra salvezza.
Il nostro passato lo abbiamo vissuto con poesia, non tornerà mai, quando c'era l'ingenuità e quando Kramer andava al Ministero dell'Istruzione dove veniva accolto da grande personaggio ma alle sue richieste di inserire l'educazione musicale nelle scuole a tutti i livelli le orecchie si chiudevano. E oggi siamo ancora qui!


“alias il manifesto”, 3 marzo 2007

Nessun commento:

statistiche