9.4.17

Costumi sessuali. Su questo amplesso costruirò la civiltà (Franco Cardini)

Non è escluso che uno degli ultimi «grandi libri» di storia edito dalla Rizzoli, la Storia dei costumi sessuali della scozzese Reay Tannahill, abbia successo per ragioni non legate al suo valore scientifico, bensì connesse al «voyeurisme» di un certo tipo di lettore, e anche se fosse così, intendiamoci, non ci sarebbe da scandalizzarsi. La letteratura erotica e magari addirittura la pornografia travestita da erotologia sono ormai generi diffusi nell’industria editoriale.
Sarebbe invece un peccato se il titolo - e magari ancor più l’argomento -di questo libro allontanasse dalla sua lettura un altro tipo di pubblico: quello più serio e più colto, ma ancorato forse a una visione un po’ convenzionale della cultura e non aggiornato sugli ultimi sviluppi della ricerca storica, sociologica e antropologica. Questo tipo di pubblico può darsi guardi a una ricerca sui costumi sessuali come a un prodotto futile, appartenente a un tipo di storia secondaria, e magari come a una concessione da parte della storiografia odierna a un certo conformismo erotizzante che ormai non scandalizza più nessuno. Anzi, che è tutto sommato divenuto un noioso ingrediente della nostra vita quotidiana, come ben si vede in certa pubblicità.
Non sarebbe la prima volta che la nostra cultura cade in errori del genere. Basti pensare quanto a lungo l’approssimazione culturale e il moralismo di certi ambienti eruditi hanno permesso la confusione tra un De Sade, un Casanova e la grande cultura libertina da una parte e certi libracci di dozzinali porcheriole dall’altra; o quanto a lungo gli scritti di un sessuologo e antropologo non privo di genio, come Paolo Mantegazza, hanno fatto arrossire le fanciulle e le signore dabbene.
Le nostre biblioteche e i nostri musei hanno ancora oggi degli «inferni» nei quali giacciono opere considerate «immorali» (secondo un «comune senso del pudore» ora genericamente cristiano, ora piuttosto postvittoriano), alle quali può accedere soltanto chi possa documentare le origini scientifiche del suo interesse. D’altronde, se da una parte ci sono la disinformazione e il moralismo di chi confonde l’arte o l’antropologia con la pornografia, dall’altra c’è la malafede di chi vorrebbe smerciare porcherie con la scusa dell’estetica o della libertà: così le cose si confondono ancora di più.
A sgombrare il campo da tutti questi malintesi sarà forse interessante sapere che oggi tutto quanto riguarda l’eros e i costumi sessuali è tenuto in grande considerazione nel mondo degli studi seri, e per molte ragioni. Anzitutto, perché il ruolo di questi temi nell’arte, nella letteratura, nella vita etica e sociale dei popoli è estremamente rilevante; poi perché ai costumi sessuali è legata una serie di problemi che vanno dall’immaginario mitico e religioso alle strutture familiari, fino alle pratiche contraccettive (e quindi alla demografia) e alle strutture sociopolitiche.
Dopo Sigmund Freud, non è un mistero per nessuno il ruolo che il sesso gioca nella cultura occidentale odierna. Ma c’è di più. Grazie a uno studioso sovietico, Michail Bachtin, oggi siamo in grado di osservare come la nostra mentalità sia dominata da una sorta di lotta fra i cinque sensi, due dei quali - la vista e l’udito - sono stati dai greci in poi privilegiati e considerati nobili a detrimento degli altri. Noi godiamo visivamente e auditivamente, con gli occhi e con le orecchie: da qui la dignità della pittura e della musica. Ma ci vergogniamo di riconoscere che in realtà godiamo anche con il tatto, con il gusto, con l’olfatto. Solo di recente si è osato proporre una storia seria della gastronomia e delle strutture del gusto anche come cultura oltre che come piacere - lo ha fatto Jean-Louis Flandrin, che non a caso si è occupato anche di storia della sessualità e dell’eros -, mentre si è scoperto (grazie a un libro di Alain Corbin) che gli stessi odori hanno non solo una storia, ma anche una grande importanza storica.
Parliamo tranquillamente di costumi sessuali, quindi, e non soltanto di amore o di eros, che non esauriscono tutto il problema. La Tannahill ha il merito di condurci, in questo suo grosso libro della Rizzoli, dalla preistoria ai giorni nostri, affrontando una tematica che spazia per tutti i cinque continenti del mondo.
Il rischio? Quello comune a tutti i lavori di sintesi, anche ai migliori: la genericità. I vantaggi? Superiori senza dubbio ai rischi: seguendo il coraggioso discorso della Tannahill, che affrontando tempi lunghi e vasti spazi sa essere al tempo stesso genetico e comparativistico, si apprendono essenzialmente due cose. Primo, l’estrema varietà degli usi sessuali e dei tabù ad essi legati (e quindi il carattere relativo di qualunque morale); secondo, gli esiti talvolta disastrosi di tutte le situazioni storiche nelle quali due differenti morali sessuali sono venute in conflitto fra loro.
Ad esempio, la colonizzazione dell’Africa e dell’America ha trovato per secoli un alibi nella considerazione che quei popoli «selvaggi» erano anche, sotto il profilo sessuale, «immorali». I conquistadores erano o si dicevano scandalizzati dal fatto che taluni popoli indios potessero praticare liberamente la sodomia, o il rapporto omosessuale, o la poligamia, o quello che per loro era l’incesto. Nel Nord America i coloni puritani erano scandalizzati dal fatto che i pellerossa seguissero un'etica sessuale «licenziosa» non meno che dal fatto che non avessero «voglia di lavorare».
Le due cose, dirompenti in una società come quella dell’Inghilterra o dell’Olanda del Seicento, avevano evidentemente la loro ragion d’essere nel Nuovo Mondo; ma questo, i bravi cristiani provenienti dall’Europa - i quali credevano onestamente nel valore dell’etica desunta dalla Bibbia come canone universale - non vollero comprenderlo mai. Il risultato fu il genocidio.
La Tannahill ci accompagna quindi in un’affascinante e divertente escursione attraverso età dimenticate e popoli lontani. Grazie al suo libro molti di noi comprenderanno finalmente, ad esempio, in che modo leggere correttamente il Kamasutra, il grande trattato mistico indiano da noi fino ad oggi stampato quasi alla macchia e considerato un manuale di strane posizioni erotiche per maniaci contorsionisti. E comprenderanno anche, ad esempio, le ragioni storiche e sociologiche per cui, a tutt’oggi, l’omosessualità sia grandemente diffusa nei paesi arabi nonostante il Corano la condanni duramente.
Non che tutto fili liscio e lasci convinti, intendiamoci. Ad esempio, sulla cultura occidentale e cristiana - la nostra - si resta francamente con la voglia di saper qualcosa di più. Per chi volesse su ciò informarsi meglio c’è per fortuna il libro Sesso e società alle origini dell’età cristiana di Aline Rousselle, edito dalla Laterza. Ma anche sul Medioevo il discorso risulta carente. Sulla coscienza sessuale occidentale ha pesato a lungo il conflitto nato nel XII secolo fra cattolicesimo e catarismo, l’eresia a carattere dualistico che sosteneva la radicale malvagità della materia. Per i cattolici, il primo e più grave peccato sessuale è la dispersione del seme; al contrario, per i catari, esso è proprio la procreazione, in quanto ogni bimbo che viene al mondo ribadisce la schiavitù dello spirito rispetto alla materia. Ne derivava che per i catari la sodomia era un peccato di gran lunga più leggero della procreazione, ch’era viceversa il fine etico del matrimonio cristiano.
Da qui l’orrore dei cristiani nei confronti dell’omosessualità: essa era quasi tollerata prima del XII secolo (nonostante la condanna biblica) anche grazie alla memoria dei costumi greci e romani; divenne un flagello perseguitato da allora in poi; Bernardino da Siena predicava inflessibile il rogo per chiunque si rendesse colpevole di un peccato di sodomia.
Insomma: chi nel libro della Tannahill cerca le emozioni forti, le descrizioni di pratiche ai limiti oppure oltre i limiti dell’osé, non resterà deluso (a patto sia almeno un pornofilo intelligente). Ma la lettura di questo libro si addice soprattutto a chi voglia verificare quella verità di cui oggi molto si parla: che cioè la storia non è fatta solo di condottieri, di battaglie e di eventi eccezionali, ma anche di vita quotidiana, di abitudini costanti e profonde, di valori in apparenza futili. In fondo, al mondo esiste una sola cosa della quale valga la pena di scandalizzarsi: l’ignoranza.


L'Europeo, 27 aprile 1985

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