Non è escluso che uno
degli ultimi «grandi libri» di storia edito dalla Rizzoli, la
Storia dei costumi sessuali della scozzese Reay Tannahill,
abbia successo per ragioni non legate al suo valore scientifico,
bensì connesse al «voyeurisme» di un certo tipo di lettore, e
anche se fosse così, intendiamoci, non ci sarebbe da scandalizzarsi.
La letteratura erotica e magari addirittura la pornografia travestita
da erotologia sono ormai generi diffusi nell’industria editoriale.
Sarebbe invece un peccato
se il titolo - e magari ancor più l’argomento -di questo libro
allontanasse dalla sua lettura un altro tipo di pubblico: quello più
serio e più colto, ma ancorato forse a una visione un po’
convenzionale della cultura e non aggiornato sugli ultimi sviluppi
della ricerca storica, sociologica e antropologica. Questo tipo di
pubblico può darsi guardi a una ricerca sui costumi sessuali come a
un prodotto futile, appartenente a un tipo di storia secondaria, e
magari come a una concessione da parte della storiografia odierna a
un certo conformismo erotizzante che ormai non scandalizza più
nessuno. Anzi, che è tutto sommato divenuto un noioso ingrediente
della nostra vita quotidiana, come ben si vede in certa pubblicità.
Non sarebbe la prima
volta che la nostra cultura cade in errori del genere. Basti pensare
quanto a lungo l’approssimazione culturale e il moralismo di certi
ambienti eruditi hanno permesso la confusione tra un De Sade, un
Casanova e la grande cultura libertina da una parte e certi libracci
di dozzinali porcheriole dall’altra; o quanto a lungo gli scritti
di un sessuologo e antropologo non privo di genio, come Paolo
Mantegazza, hanno fatto arrossire le fanciulle e le signore dabbene.
Le nostre biblioteche e i
nostri musei hanno ancora oggi degli «inferni» nei quali giacciono
opere considerate «immorali» (secondo un «comune senso del pudore»
ora genericamente cristiano, ora piuttosto postvittoriano), alle
quali può accedere soltanto chi possa documentare le origini
scientifiche del suo interesse. D’altronde, se da una parte ci sono
la disinformazione e il moralismo di chi confonde l’arte o
l’antropologia con la pornografia, dall’altra c’è la malafede
di chi vorrebbe smerciare porcherie con la scusa dell’estetica o
della libertà: così le cose si confondono ancora di più.
A sgombrare il campo da
tutti questi malintesi sarà forse interessante sapere che oggi tutto
quanto riguarda l’eros e i costumi sessuali è tenuto in grande
considerazione nel mondo degli studi seri, e per molte ragioni.
Anzitutto, perché il ruolo di questi temi nell’arte, nella
letteratura, nella vita etica e sociale dei popoli è estremamente
rilevante; poi perché ai costumi sessuali è legata una serie di
problemi che vanno dall’immaginario mitico e religioso alle
strutture familiari, fino alle pratiche contraccettive (e quindi alla
demografia) e alle strutture sociopolitiche.
Dopo Sigmund Freud, non è
un mistero per nessuno il ruolo che il sesso gioca nella cultura
occidentale odierna. Ma c’è di più. Grazie a uno studioso
sovietico, Michail Bachtin, oggi siamo in grado di osservare come la
nostra mentalità sia dominata da una sorta di lotta fra i cinque
sensi, due dei quali - la vista e l’udito - sono stati dai greci in
poi privilegiati e considerati nobili a detrimento degli altri. Noi
godiamo visivamente e auditivamente, con gli occhi e con le orecchie:
da qui la dignità della pittura e della musica. Ma ci vergogniamo di
riconoscere che in realtà godiamo anche con il tatto, con il gusto,
con l’olfatto. Solo di recente si è osato proporre una storia
seria della gastronomia e delle strutture del gusto anche come
cultura oltre che come piacere - lo ha fatto Jean-Louis Flandrin, che
non a caso si è occupato anche di storia della sessualità e
dell’eros -, mentre si è scoperto (grazie a un libro di Alain
Corbin) che gli stessi odori hanno non solo una storia, ma anche una
grande importanza storica.
Parliamo tranquillamente
di costumi sessuali, quindi, e non soltanto di amore o di eros, che
non esauriscono tutto il problema. La Tannahill ha il merito di
condurci, in questo suo grosso libro della Rizzoli, dalla preistoria
ai giorni nostri, affrontando una tematica che spazia per tutti i
cinque continenti del mondo.
Il rischio? Quello comune
a tutti i lavori di sintesi, anche ai migliori: la genericità. I
vantaggi? Superiori senza dubbio ai rischi: seguendo il coraggioso
discorso della Tannahill, che affrontando tempi lunghi e vasti spazi
sa essere al tempo stesso genetico e comparativistico, si apprendono
essenzialmente due cose. Primo, l’estrema varietà degli usi
sessuali e dei tabù ad essi legati (e quindi il carattere relativo
di qualunque morale); secondo, gli esiti talvolta disastrosi di tutte
le situazioni storiche nelle quali due differenti morali sessuali
sono venute in conflitto fra loro.
Ad esempio, la
colonizzazione dell’Africa e dell’America ha trovato per secoli
un alibi nella considerazione che quei popoli «selvaggi» erano
anche, sotto il profilo sessuale, «immorali». I conquistadores
erano o si dicevano scandalizzati dal fatto che taluni popoli indios
potessero praticare liberamente la sodomia, o il rapporto
omosessuale, o la poligamia, o quello che per loro era l’incesto.
Nel Nord America i coloni puritani erano scandalizzati dal fatto che
i pellerossa seguissero un'etica sessuale «licenziosa» non meno che
dal fatto che non avessero «voglia di lavorare».
Le due cose, dirompenti
in una società come quella dell’Inghilterra o dell’Olanda del
Seicento, avevano evidentemente la loro ragion d’essere nel Nuovo
Mondo; ma questo, i bravi cristiani provenienti dall’Europa - i
quali credevano onestamente nel valore dell’etica desunta dalla
Bibbia come canone universale - non vollero comprenderlo mai. Il
risultato fu il genocidio.
La Tannahill ci
accompagna quindi in un’affascinante e divertente escursione
attraverso età dimenticate e popoli lontani. Grazie al suo libro
molti di noi comprenderanno finalmente, ad esempio, in che modo
leggere correttamente il Kamasutra, il grande trattato mistico
indiano da noi fino ad oggi stampato quasi alla macchia e considerato
un manuale di strane posizioni erotiche per maniaci contorsionisti. E
comprenderanno anche, ad esempio, le ragioni storiche e sociologiche
per cui, a tutt’oggi, l’omosessualità sia grandemente diffusa
nei paesi arabi nonostante il Corano la condanni duramente.
Non che tutto fili liscio
e lasci convinti, intendiamoci. Ad esempio, sulla cultura occidentale
e cristiana - la nostra - si resta francamente con la voglia di saper
qualcosa di più. Per chi volesse su ciò informarsi meglio c’è
per fortuna il libro Sesso e società alle origini dell’età
cristiana di Aline Rousselle, edito dalla Laterza. Ma anche sul
Medioevo il discorso risulta carente. Sulla coscienza sessuale
occidentale ha pesato a lungo il conflitto nato nel XII secolo fra
cattolicesimo e catarismo, l’eresia a carattere dualistico che
sosteneva la radicale malvagità della materia. Per i cattolici, il
primo e più grave peccato sessuale è la dispersione del seme; al
contrario, per i catari, esso è proprio la procreazione, in quanto
ogni bimbo che viene al mondo ribadisce la schiavitù dello spirito
rispetto alla materia. Ne derivava che per i catari la sodomia era un
peccato di gran lunga più leggero della procreazione, ch’era
viceversa il fine etico del matrimonio cristiano.
Da qui l’orrore dei
cristiani nei confronti dell’omosessualità: essa era quasi
tollerata prima del XII secolo (nonostante la condanna biblica) anche
grazie alla memoria dei costumi greci e romani; divenne un flagello
perseguitato da allora in poi; Bernardino da Siena predicava
inflessibile il rogo per chiunque si rendesse colpevole di un peccato
di sodomia.
Insomma: chi nel libro
della Tannahill cerca le emozioni forti, le descrizioni di pratiche
ai limiti oppure oltre i limiti dell’osé, non resterà deluso (a
patto sia almeno un pornofilo intelligente). Ma la lettura di questo
libro si addice soprattutto a chi voglia verificare quella verità di
cui oggi molto si parla: che cioè la storia non è fatta solo di
condottieri, di battaglie e di eventi eccezionali, ma anche di vita
quotidiana, di abitudini costanti e profonde, di valori in apparenza
futili. In fondo, al mondo esiste una sola cosa della quale valga la
pena di scandalizzarsi: l’ignoranza.
L'Europeo, 27 aprile 1985
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