2.4.17

Storia della scienza. Newton, due geniali fallimenti (Carlo Rovelli)

Nel 1936, la casa d’asta Sotheby’s di Londra mette in vendita una collezione di scritti inediti di Isaac Newton. Il ricavo è basso, 9 mila sterline, poco rispetto alle 140 mila sterline ricavate nella stessa stagione dalla vendita di un Rubens e di un Rembrandt. Fra i compratori vi è John Keynes, il celebre economista, grande ammiratore di Newton.
Keynes si rende presto conto che una parte considerevole degli inediti che ha comprato tratta di un argomento di cui allora pochi sospettavano potesse aver interessato Newton: alchimia. Si adopera per comperare tutti gli inediti di Newton sull’argomento, e presto comprende che l’alchimia non è stata una curiosità marginale per il grande scienziato: è stata un’occupazione durata tutta la vita. «Newton – conclude – non è stato il primo dell’età della ragione, è stato l’ultimo dei maghi».
Keynes dona i suoi inediti newtoniani all’Università di Cambridge nel 1946. La stranezza di un Newton alchimista, che sembra incompatibile con l’immagine tradizionale di Newton padre della scienza, tiene la maggior parte degli storici lontani da questi testi. Solo negli ultimi anni cresce l’interesse per le passioni alchemiche di Newton. Oggi buona parte dei testi di Newton sull’alchimia è stata messa online dai ricercatori dell’Università dell’Indiana ed è accessibile a tutti, suscitando ancora discussioni e confusione. ( http://webapp1.dlib.indiana.edu/newton/ )
Newton è centrale per la scienza moderna. Lo è per i suoi eccezionali risultati scientifici: la meccanica, la teoria della gravitazione universale, l’ottica, la scoperta che la luce bianca è un misto di colori, il calcolo differenziale… Ancora oggi ingegneri, fisici, astronomi e chimici lavorano su equazioni scritte da lui e usano concetti introdotti da lui. Ma ancora di più Newton è importante perché ha fondato quel modo di cercare conoscenza che oggi chiamiamo scienza moderna. Ha costruito su lavoro e idee altrui: Cartesio, Galileo, Keplero e tanti altri, continuando una tradizione che risale all’antichità; ma è nei suoi libri che quello che oggi chiamiamo il «metodo scientifico» trova la forma odierna, producendo immediatamente una messe eccezionale di risultati. Non è esagerato vedere Newton come il padre della scienza moderna.
Che cosa ci azzecca l’alchimia con tutto ciò? C’è chi ha voluto vedere in queste attività anomale di Newton la debolezza mentale provocata da un precoce invecchiamento. C’è chi ne ha approfittato per cercare di arruolare proprio il grande inglese per una critica che metta in luce i limiti della razionalità scientifica.
Io credo che le cose siano più semplici. La chiave per comprendere è la semplice osservazione che Newton non ha mai pubblicato nulla su questi argomenti. Le carte che mostrano questi suoi interessi sono moltissime ma tutte inedite. La non pubblicazione è stata interpretata come conseguenza del fatto che l’alchimia era illegale in Inghilterra fin dal Quattrocento. Ma già dal 1689 il divieto di praticare l’alchimia era stato levato e se Newton si fosse davvero preoccupato tanto di andare contro le convenzioni sociali, non sarebbe diventato Newton. C’è poi chi lo ha dipinto come un personaggio maligno che cercava conoscenze straordinarie ultime e le voleva tenere per sé, per il suo potere. Ma Newton ha raggiunto conoscenze straordinarie e non le ha tenute per sé: ha pubblicato i suoi grandi libri, tra cui i Principia, con le equazioni della meccanica che usano ancora i nostri ingegneri per costruire aerei e palazzi. Newton era famoso ed estremamente rispettato durante la sua vita adulta, era presidente della Royal Society, il massimo organo scientifico mondiale. Il mondo intellettuale era assetato dei suoi risultati. Perché non ha mai pubblicato alcun risultato sui suoi lavori alchemici?
La risposta è più semplice e credo chiarisca l’intero enigma: non ha mai pubblicato nulla perché non è mai arrivato a risultati che trovasse convincenti. Oggi è facile appoggiarci sul giudizio storicamente digerito che l’alchimia avesse basi teoriche ed empiriche troppo deboli. Non era così facile nel Seicento. L’alchimia era praticata e studiata da molti, e Newton ha genuinamente cercato di comprendere se vi fosse in essa conoscenza valida. Se avesse trovato nell’alchimia qualcosa che avesse resistito al metodo di indagine razionale ed empirico che lui stesso promuoveva, certo Newton avrebbe pubblicato. Se fosse riuscito a estrarre dal marasma disorganico del mondo alchemico qualcosa che potesse diventare scienza, avremmo un libro di Newton sull’argomento, come abbiamo libri di Newton sull’ottica, sulla meccanica e sulla gravitazione universale. Non c’è riuscito, e non ha pubblicato nulla.
Era speranza vana? Era un progetto da abbandonare prima ancora di iniziare? Tutt’altro, perché diversi dei problemi chiave posti dall’alchimia e diversi dei metodi praticati, in particolare comprendere le trasformazioni delle sostanze chimiche le une nelle altre, sono i problemi che daranno presto origine alla chimica.
Newton non riesce a fare il passo decisivo dall’alchimia alla chimica. Sarà la generazione successiva, per esempio con Lavoisier, a riuscirci. Newton non era su una pista sbagliata. Era su una pista interessante ma non ci è riuscito. I testi messi in linea dall’Università dell’Indiana lo mostrano chiaramente. È vero che il linguaggio è quello tipico dell’alchimia: metafore e allusioni, frasi velate e simboli strani. Ma molte delle procedure descritte sono semplici processi di chimica. È descritta per esempio la produzione «Olio di vitriolo» (acido solforico), aqua fortis (acido nitrico) e spirit of salt (acido idroclorico), eccetera.
Seguendo le istruzioni dei testi di Newton è possibile sintetizzare queste sostanze. Il nome stesso con cui Newton indicava questi suoi tentativi è suggestivo: chymistry. La tarda alchimia post-rinascimentale insiste molto sulla verifica sperimentale delle idee: si sta affacciando alla chimica moderna. Newton comprende che nel confuso marasma delle ricette alchemiche c’è una scienza moderna (nel senso «newtoniano») che sta nascendo, e cerca di farla nascere. Ci si immerge a lungo ma non riesce a trovare il bandolo della matassa, e non pubblica nulla.
L’alchimia non è l’unica strana passione di Newton. Ce n’è un’altra che emerge dalle sue carte, che è forse ancora più interessante: Newton ha dedicato uno sforzo enorme a cercare di ricostruire la cronologia biblica, assegnando una data precisa agli eventi narrati dalla Bibbia. Ancora una volta, a giudicare dalle sue carte i risultati non sono granché: il padre della scienza data l’inizio del mondo a qualche migliaio di anni fa. Perché Newton si è perso in questa operazione?
La storia è materia antica. Nasce a Mileto con Ecateo e diventa presto grande con Erodoto e Tucidide. Vi è continuità fra il lavoro degli storici di oggi e quelli antichi: principalmente lo spirito critico necessario nel raccogliere e vagliare le tracce del passato («io scrivo cose che a me sembrano vere; perché i racconti dei Greci mi sembrano pieni di contraddizioni e ridicoli», così inizia il libro di Ecateo). Ma la storiografia attuale ha un aspetto quantitativo legato allo sforzo cruciale di ricostruire la datazione precisa degli eventi passati. Inoltre, il lavoro critico di uno storico moderno tiene conto di tutte le fonti, valutandone l’attendibilità e pesando con questa la rilevanza delle informazioni fornite. La ricostruzione più plausibile emerge da questa operazione di valutazione e di integrazione pesata delle fonti.
Bene, questo modo quantitativo di fare storia inizia con il lavoro di Newton sulla cronologia biblica. Anche in questo caso Newton è sulle tracce di qualcosa di profondamente moderno: trovare un metodo per una ricostruzione razionale della datazione della storia antica sulla base delle fonti molteplici, incomplete e di diversa attendibilità di cui disponiamo. Newton introduce concetti e metodi che diverranno poi importanti ma non arriva a risultati sufficientemente soddisfacenti e non pubblica nulla.
In entrambi i casi, non si tratta di una deviazione dal Newton razionalistico della tradizione. Al contrario il grande scienziato è alle prese con reali problemi scientifici. Non è certo un Newton che confonde buona scienza con magia o tradizione inattendibile; al contrario, è il grande scienziato già moderno che con chiarezza affronta terreni nuovi per la scienza, pubblica dove riesce ad arrivare a risultati chiari e importanti, e non publica dove non ci riesce. Era bravo, bravissimo ma aveva anche lui dei limiti, come tutti.
Credo che il genio di Newton sia stato proprio quello di essere profondamente consapevole di questi limiti: di quello che non sapeva. E questo è il fondamento della scienza che ha aiutato a nascere.


“La lettura Corriere della Sera”, 19 marzo 2017

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