Nel 1936, la casa d’asta
Sotheby’s di Londra mette in vendita una collezione di scritti
inediti di Isaac Newton. Il ricavo è basso, 9 mila sterline, poco
rispetto alle 140 mila sterline ricavate nella stessa stagione dalla
vendita di un Rubens e di un Rembrandt. Fra i compratori vi è John
Keynes, il celebre economista, grande ammiratore di Newton.
Keynes si rende presto
conto che una parte considerevole degli inediti che ha comprato
tratta di un argomento di cui allora pochi sospettavano potesse aver
interessato Newton: alchimia. Si adopera per comperare tutti gli
inediti di Newton sull’argomento, e presto comprende che l’alchimia
non è stata una curiosità marginale per il grande scienziato: è
stata un’occupazione durata tutta la vita. «Newton – conclude –
non è stato il primo dell’età della ragione, è stato l’ultimo
dei maghi».
Keynes dona i suoi
inediti newtoniani all’Università di Cambridge nel 1946. La
stranezza di un Newton alchimista, che sembra incompatibile con
l’immagine tradizionale di Newton padre della scienza, tiene la
maggior parte degli storici lontani da questi testi. Solo negli
ultimi anni cresce l’interesse per le passioni alchemiche di
Newton. Oggi buona parte dei testi di Newton sull’alchimia è stata
messa online dai ricercatori dell’Università dell’Indiana ed è
accessibile a tutti, suscitando ancora discussioni e confusione. (
http://webapp1.dlib.indiana.edu/newton/
)
Newton è centrale per la
scienza moderna. Lo è per i suoi eccezionali risultati scientifici:
la meccanica, la teoria della gravitazione universale, l’ottica, la
scoperta che la luce bianca è un misto di colori, il calcolo
differenziale… Ancora oggi ingegneri, fisici, astronomi e chimici
lavorano su equazioni scritte da lui e usano concetti introdotti da
lui. Ma ancora di più Newton è importante perché ha fondato quel
modo di cercare conoscenza che oggi chiamiamo scienza moderna. Ha
costruito su lavoro e idee altrui: Cartesio, Galileo, Keplero e tanti
altri, continuando una tradizione che risale all’antichità; ma è
nei suoi libri che quello che oggi chiamiamo il «metodo scientifico»
trova la forma odierna, producendo immediatamente una messe
eccezionale di risultati. Non è esagerato vedere Newton come il
padre della scienza moderna.
Che cosa ci azzecca
l’alchimia con tutto ciò? C’è chi ha voluto vedere in queste
attività anomale di Newton la debolezza mentale provocata da un
precoce invecchiamento. C’è chi ne ha approfittato per cercare di
arruolare proprio il grande inglese per una critica che metta in luce
i limiti della razionalità scientifica.
Io credo che le cose
siano più semplici. La chiave per comprendere è la semplice
osservazione che Newton non ha mai pubblicato nulla su questi
argomenti. Le carte che mostrano questi suoi interessi sono
moltissime ma tutte inedite. La non pubblicazione è stata
interpretata come conseguenza del fatto che l’alchimia era illegale
in Inghilterra fin dal Quattrocento. Ma già dal 1689 il divieto di
praticare l’alchimia era stato levato e se Newton si fosse davvero
preoccupato tanto di andare contro le convenzioni sociali, non
sarebbe diventato Newton. C’è poi chi lo ha dipinto come un
personaggio maligno che cercava conoscenze straordinarie ultime e le
voleva tenere per sé, per il suo potere. Ma Newton ha raggiunto
conoscenze straordinarie e non le ha tenute per sé: ha pubblicato i
suoi grandi libri, tra cui i Principia, con le equazioni della
meccanica che usano ancora i nostri ingegneri per costruire aerei e
palazzi. Newton era famoso ed estremamente rispettato durante la sua
vita adulta, era presidente della Royal Society, il massimo organo
scientifico mondiale. Il mondo intellettuale era assetato dei suoi
risultati. Perché non ha mai pubblicato alcun risultato sui suoi
lavori alchemici?
La risposta è più
semplice e credo chiarisca l’intero enigma: non ha mai pubblicato
nulla perché non è mai arrivato a risultati che trovasse
convincenti. Oggi è facile appoggiarci sul giudizio storicamente
digerito che l’alchimia avesse basi teoriche ed empiriche troppo
deboli. Non era così facile nel Seicento. L’alchimia era praticata
e studiata da molti, e Newton ha genuinamente cercato di comprendere
se vi fosse in essa conoscenza valida. Se avesse trovato
nell’alchimia qualcosa che avesse resistito al metodo di indagine
razionale ed empirico che lui stesso promuoveva, certo Newton avrebbe
pubblicato. Se fosse riuscito a estrarre dal marasma disorganico del
mondo alchemico qualcosa che potesse diventare scienza, avremmo un
libro di Newton sull’argomento, come abbiamo libri di Newton
sull’ottica, sulla meccanica e sulla gravitazione universale. Non
c’è riuscito, e non ha pubblicato nulla.
Era speranza vana? Era un
progetto da abbandonare prima ancora di iniziare? Tutt’altro,
perché diversi dei problemi chiave posti dall’alchimia e diversi
dei metodi praticati, in particolare comprendere le trasformazioni
delle sostanze chimiche le une nelle altre, sono i problemi che
daranno presto origine alla chimica.
Newton non riesce a fare
il passo decisivo dall’alchimia alla chimica. Sarà la generazione
successiva, per esempio con Lavoisier, a riuscirci. Newton non era su
una pista sbagliata. Era su una pista interessante ma non ci è
riuscito. I testi messi in linea dall’Università dell’Indiana lo
mostrano chiaramente. È vero che il linguaggio è quello tipico
dell’alchimia: metafore e allusioni, frasi velate e simboli strani.
Ma molte delle procedure descritte sono semplici processi di chimica.
È descritta per esempio la produzione «Olio di vitriolo» (acido
solforico), aqua fortis (acido nitrico) e spirit of salt (acido
idroclorico), eccetera.
Seguendo le istruzioni
dei testi di Newton è possibile sintetizzare queste sostanze. Il
nome stesso con cui Newton indicava questi suoi tentativi è
suggestivo: chymistry. La tarda alchimia post-rinascimentale insiste
molto sulla verifica sperimentale delle idee: si sta affacciando alla
chimica moderna. Newton comprende che nel confuso marasma delle
ricette alchemiche c’è una scienza moderna (nel senso
«newtoniano») che sta nascendo, e cerca di farla nascere. Ci si
immerge a lungo ma non riesce a trovare il bandolo della matassa, e
non pubblica nulla.
L’alchimia non è
l’unica strana passione di Newton. Ce n’è un’altra che emerge
dalle sue carte, che è forse ancora più interessante: Newton ha
dedicato uno sforzo enorme a cercare di ricostruire la cronologia
biblica, assegnando una data precisa agli eventi narrati dalla
Bibbia. Ancora una volta, a giudicare dalle sue carte i risultati non
sono granché: il padre della scienza data l’inizio del mondo a
qualche migliaio di anni fa. Perché Newton si è perso in questa
operazione?
La storia è materia
antica. Nasce a Mileto con Ecateo e diventa presto grande con Erodoto
e Tucidide. Vi è continuità fra il lavoro degli storici di oggi e
quelli antichi: principalmente lo spirito critico necessario nel
raccogliere e vagliare le tracce del passato («io scrivo cose che a
me sembrano vere; perché i racconti dei Greci mi sembrano pieni di
contraddizioni e ridicoli», così inizia il libro di Ecateo). Ma la
storiografia attuale ha un aspetto quantitativo legato allo sforzo
cruciale di ricostruire la datazione precisa degli eventi passati.
Inoltre, il lavoro critico di uno storico moderno tiene conto di
tutte le fonti, valutandone l’attendibilità e pesando con questa
la rilevanza delle informazioni fornite. La ricostruzione più
plausibile emerge da questa operazione di valutazione e di
integrazione pesata delle fonti.
Bene, questo modo
quantitativo di fare storia inizia con il lavoro di Newton sulla
cronologia biblica. Anche in questo caso Newton è sulle tracce di
qualcosa di profondamente moderno: trovare un metodo per una
ricostruzione razionale della datazione della storia antica sulla
base delle fonti molteplici, incomplete e di diversa attendibilità
di cui disponiamo. Newton introduce concetti e metodi che diverranno
poi importanti ma non arriva a risultati sufficientemente
soddisfacenti e non pubblica nulla.
In entrambi i casi, non
si tratta di una deviazione dal Newton razionalistico della
tradizione. Al contrario il grande scienziato è alle prese con reali
problemi scientifici. Non è certo un Newton che confonde buona
scienza con magia o tradizione inattendibile; al contrario, è il
grande scienziato già moderno che con chiarezza affronta terreni
nuovi per la scienza, pubblica dove riesce ad arrivare a risultati
chiari e importanti, e non publica dove non ci riesce. Era bravo,
bravissimo ma aveva anche lui dei limiti, come tutti.
Credo che il genio di
Newton sia stato proprio quello di essere profondamente consapevole
di questi limiti: di quello che non sapeva. E questo è il fondamento
della scienza che ha aiutato a nascere.
“La lettura Corriere
della Sera”, 19 marzo 2017
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