Ritrovo fra le mie carte
il ritaglio della vecchia recensione che qui riprendo e la
recensione, opera di una persona affidabile come Oreste Del Buono, mi
dice che ho perso molto nel non aver acquistato e letto questo libro
quando uscì, nei primi anni 80.
Da una ricerca in rete
non mi risultano ristampe; in compenso ho potuto ordinare il libro
per posta elettronica. Sono dunque in attesa di riceverlo. Cercherò
– anche attraverso la lettura che mi figuro piacevole e
coinvolgente – una spiegazione del mancato successo italiano del
libro. (S.L.L.)
Lilian Hellman e Dashiell Hammett |
Curiosa sorte editoriale,
quella qui da noi di Lillian Hellman, la «donna dell’uomo ombra».
Della tetralogia per così dire autobiografica che la famosa
commediografa di Piccole volpi ha cominciato a pubblicare a
partire dal 1969, abbiamo avuto, tradotti prima, il secondo e il
terzo pezzo, Pentimento (1973) e Scoundrel Time (1976),
uniti da Adelphi sotto il titolo cumulativo Pentimento e il tempo
dei furfanti (1978). Poi abbiamo avuto il quarto pezzo, May be
(1980), proposto dagli Editori Riuniti sotto il titolo Una donna
segreta (1982) e solo in questi giorni abbiamo avuto il primo
pezzo, il pezzo migliore di cui gli altri sono più o meno utili
appendici, A Unfinished Woman (1969) che ancora gli Editori
Riuniti ci hanno procurato sotto il titolo Una donna incompiuta
(1983).
Questa volta,
contrariamente a quella di Una donna segreta, si tratta anche
di una buona traduzione (di Paola Campioli, ricordiamoceli, i nomi
dei buoni traduttori, sempre rari). Quindi, il lettore italiano oggi
ha tutte le opportunità di conoscere un’interprete e una testimone
molto discussa e ulteriormente discutibile, ma preziosa, della
cultura americana contemporanea e di conoscerla regolarmente
dall’inizio: «Sono nata a New Orleans da Julia Newhouse di
Demopolis, Alabama, che si era innamorata una volta per sempre di Max
Hellman, i genitori del quale erano venuti a New Orleans durante
l’immigrazione tedesca del 1845-1848 per mettere al mondo lui e le
sue sorelle. La famiglia di mia madre, molto prima che io nascessi,
aveva lasciato Demopolis per Cincinnati e poi New Orleans, entrambe
città desiderabili, per tre ragazze da marito...».
L’inizio di Una
donna incompiuta è quieto, liscio, scontato. Oddio, pare
un’autobiografia delle solite, la solita infanzia di una
gentildonna del Sud, con la balia negra e il resto. Ma, presto,
Hellman tira fuori le unghie, si descrive come una bambina, prima
ancora che una ragazza, ribelle, portata alla selvatichezza,
aggressiva, una destinata a rompersi la testa o a romperla agli
altri. Se non la testa le scatole. Un matrimonio sbagliato celebrato
dopo la fine non proprio gloriosa di una carriera di redattrice
editoriale a New York ha, comunque, il merito di portare Hellman a
Hollywood, al seguito del marito Arthur Kober, agente teatrale,
commediografo e sceneggiatore di successo. E a Hollywood Hellman
incontra il Mito.
Il Mito si chiama
Dashiell Hammett, è un gentiluomo del Sud che ha provato a campare
facendo un mestiere non da gentiluomo, il poliziotto privato, e poi è
diventato famoso, scrivendo romanzi d’azione come Il falcone
maltese (1930) che gli ha meritato un contratto da sceneggiatore
appunto a Hollywood, ma non ci si trova bene, e beve.
Anche Hellman non ci si
trova bene, e beve. Il loro amore nasce tra una ciucca e l’altra.
«Conobbi Dash quando io avevo ventiquattro anni e lui trentasei in
un ristorante di Hollywood. La sbronza di cinque giorni aveva
spiegazzato la sua bella faccia e l’alta, sottile figura era stanca
e curva. So che discorremmo di T.S. Eliot, anche se non ricordo più
cosa dicemmo, poi andammo a sederci nella sua auto e parlammo, l’uno
all’altra e l’uno dell’altra, fino al mattino. Ci rivedemmo
qualche settimana dopo e, in seguito, con qualche separazione, per il
resto della sua vita e trent’anni della mia...».
Come si vive accanto a un
Mito? Dipende dal carattere. Se anche avesse voluto essere un’avida
profittatrice, Hellman non ce l’avrebbe fatta proprio per il suo
carattere, un cattivo carattere, pessimo addirittura per irruenza,
generosità, sventatezza, voglia perpetua di sfida. È vero che
Hammett l’aiutò a scrivere la prima commedia L’ora dei
bambini (e lei gliela dedicò nel 1934 come lui aveva dedicato a
lei nel 1932 il romanzo L’uomo ombra).
Ma Hellman non fu succuba
e, mentre Hammett declinava precocemente, andò mitizzandosi lei,
diventò lei stessa un Mito, sbattendosi in Spagna durante la guerra
civile e in Russia durante la seconda guerra mondiale, e neppure da
giornalista, quasi neppure da intellettuale, ma piuttosto da compagna
di viaggio appassionata e indocile, oh, quanto indocile,
resistentissima oltre ogni fisica fragilità. Quando Hammett finì in
carcere al tempo dei furfanti senatore Joseph Mc Carthy e giovane
deputato Richard Nixon e la bufera politica si abbatté anche su di
lei, Hellman tenne duro. E, all’uscita dal carcere, prese in cura
il vecchio, sfinito, perduto amante, più «ombra» che «uomo».
Una donna incompiuta
racconta questo e altro. Spiega perché Hellman, oltre che amata,
sia odiata in patria. A odiarla più di tutti è un’altra
scrittrice, un’altra donna mitica americana, Mary McCarthy, che non
perde occasione per sminuirla a ogni costo, ma è addirittura un odio
di famiglia: un suo marito, il pomposo critico Edmund Wilson,
stroncò, infatti, ferocemente, Hammett nel 1944. Hellman si difende,
figurarsi se non tiene duro, è una vera lotta di arpie. A una certa
età, e Hellman è del 1905, McCarthy del 1912, le polemiche, specie
tra donne, diventano laide (gli uomini, laidi, lo sono già dalla
nascita, quindi non sono passibili di peggioramento). Tuttavia il mio
cuore hammettiano non può non stare per la «donna dell uomo ombra».
«Donna dell’uomo ombra» o «Uomo dell’inferno», come storpiava
il suo cognome «Hellman», una delle sue serve negre? Questo libro
che ci arriva in ritardo è bellissimo per furore e retorica. Sì,
retorica: quando ci vuole, ci vuole.
L'EUROPEO/10 DICEMBRE
1983
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