"Taci,
taci,/(femmina, nelle sue braccia/delirasti una notte così)...":
così scriveva, all'inizio degli anni Venti, Ada Negri, scrittrice
già dai fieri sentimenti populisti, e come tale di buona popolarità
anche in Russia. E contemporaneamente, pressappoco, ecco come un
personaggio di nome Ada Negri parlava in una bislacca operetta
drammatica di Nikolaj Shalimov del 1922, L'amore equatoriale
ovvero la terribile vendetta di una negra: "Agiu l'
chuva/chuljanam/pingiaru ragiuljum/giufcha raspere...",
spingendosi nel contesto dell'improbabile parlata meridionale fino a
vaghe allusioni falliche: "palla polla palla/coriambo/cine
banda/ban ban ban/Why son come l'ibis/lingam fallas/Diplodok".
Ebbene, sì: questo è il
dada russo, del quale Marzio Marzaduri ci offre ora un'antologia
ragionata, che è il primo contributo complessivo volto a intendere
questa pagina certamente minore, ma sin troppo negletta, dei
movimenti sperimentali: Dada russo. L'avanguardia fuori della
Rivoluzione (Il Cavaliere azzurro, pagg. 258, lire 15.000). Sul
perché "fuori della Rivoluzione" torneremo subito; ma
intanto vale la pena di avanzare qualche considerazione sul rutilante
intrecciarsi, e talora confondersi, dei molti gruppi e gruppuscoli
dell'avanguardia russa, destinati spesso a una esistenza effimera e
periferica.
In proposito si può
ricordare un episodio forse marginale, ma emblematico come pochi
altri: c'è un testo poetico del pittore Vasilij Kandinskij, Vedere
("Azzurro. Azzurro s'innalzava, s' innalzava e
precipitava./Acuto. Sottile fischiava e si conficcava..."), le
cui peregrinazioni sono ghiottamente tortuose. Apparso dapprima in
tedesco nella raccolta Klange (1912), venne annoverato tra i
primi testi dell' espressionismo letterario; a distanza di un anno
ricomparve in russo (nella traduzione di David Burljuk)
sull'almanacco Schiaffo al gusto del pubblico, e venne
pertanto catalogato tra gli archetipi del cubofuturismo russo. Nel
1916 fece ancora in tempo per riapparire in tedesco su Cabaret
Voltaire a Zurigo, tra i testi del nascente movimento dada.
Espressionismo,
futurismo, dadaismo: la storia della poesia di Kandinskij sembra
fatta apposta per convalidare la nozione indistinta degli "...ismi
contemporanei", di cui aveva già parlato trent'anni prima Luigi
Capuana. Ma siccome l'indagine scientifica procede non già dal
distinto all'indistinto, ma precisamente all'inverso, eccoci al
quesito da cui prende le mosse lo stesso Marzaduri: in buona
sostanza, se sia esistito un dada russo, e nel caso di risposta
affermativa, perché esso si ponga non occasionalmente, ma
strutturalmente, "fuori della Rivoluzione" (non contro, o
accanto: semplicemente fuori). La domanda appare sensata, se non
altro perché nelle svariate ricognizioni che sono state compiute sul
fenomeno dell'avanguardia russa (tanto per restare in Italia,
ricorderemo almeno Le poetiche russe del Novecento di Giorgio
Kraiski, del 1969, e L'avanguardia russa di Serena Vitale, del
1978), di un dada russo non si fa nemmeno menzione.
Tuttavia, i filoni
culturali cui si rifà anche questa rassegna antologico-critica, sono
ben conosciuti e presenti: in particolare, transmentali (zaumniki)
e nullisti (nicevoki). Ha senso dunque convogliare gli uni e
gli altri (e altri ancora) sotto la comune etichetta di dada? Il modo
di procedere di Marzaduri appare in proposito sensato, anche se non
dimostrativo: "L'autore - scrive - assume come plausibile la
categoria di un dada russo, o transmentale. L'affermazione non è
comprovabile filologicamente (...), ma appare tuttavia giustificata
da una seria tradizione". In sostanza si tratta del fatto che
dal tronco vigoroso del futurismo russo s'è sviluppato - tra gli
altri - un ramo assai particolare, quello dello zaum' (o lingua
transmentale), coltivato già prima della guerra e della Rivoluzione
da Chlebnikov e Kruciònych. Trapiantato a Tbilisi (in Georgia), ebbe
l'apporto di altri scrittori e pittori, russi e georgiani, dando vita
alla compagnia del 41, che si fregiò, oltre quello di Kruciònych,
dei nomi di Il'ja e Kirill Zdanevic, nonchè di Igor' Terent'ev.
Questo ramo dell'avanguardia russa, pur se ben noto, è rimasto
piuttosto in ombra, in patria e all'estero, per il concorso di
circostanze eterogenee: la sua breve esistenza, la quasi
programmatica intraducibilità (o perfino illeggibilità) dei testi
che produceva, la commistione di cultura russa e di cultura (e
lingua) georgiana: ad esempio, il numero unico più prossimo al "dada
assoluto", "H2SO4" apparve nel 1924 in georgiano.
L'altro ramo
dell'avanguardia russo-sovietica che può legittimamente esser
avvicinato al dada zurighese, è come abbiamo detto quello dei
nullisti, di Rostov sul Don, che promulgarono il loro manifesto nel
1920, e ai quali fu vicino il giovane Grigorij Shil'tjan (Sciltian),
prima di divenire nell'emigrazione convinto assertore della
restaurazione. Episodio minore e provinciale, s'esaurì esso pure nei
primi anni Venti; ha ragione insomma Marzaduri a sostenere che "tra
la primavera e l'autunno del 1923 finisce il dada russo".
Episodi successivi
d'un'avanguardia estrema e nichilistica, pur se accusati di
"dadaismo" (come fu il caso, nel 1927, degli Oberiuty di
Leningrado: Charms, Vvedenskij, in parte Vàginov e Zabolotskij),
escono di fatto dal quadro del fenomeno ora ricostruito e documentato
da Marzaduri. L'avanguardia fuori
della Rivoluzione. Episodio nato negli anni convulsi della
guerra civile (e in particolare nella repubblica "socialdemocratica"
di Georgia), quando il potere sovietico prese definitivamente piede,
si dissolse per gran parte nell'emigrazione (le dra, quasi
illeggibili, di Zdanevic, vennero proposte a Parigi); quelli che
rimasero in Unione Sovietica, o finirono dimenticati (come lo
Shalimov, dal quale abbiamo preso le mosse), o continuarono sempre
più isolati - è il caso di Krukiònych - a coltivare una sorta di
"antiquariato nostalgico" dell'avanguardia. O ancora, come
lo sventurato Terent'ev finirono in un lager, a costruire il Canale
del Mar Bianco: e con una epistola in versi indirizzatagli da
Kruciònych si conclude anche l'antologia: davvero, "triste
tombeau del dadaismo russo".
“la Repubblica”, 29
agosto 1985
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