Ha conquistato. Ha abbandonato tutto.
Ora s’inginocchia. Sta offrendo la
sua vittoria
E slacciando l’acciaio.
Davanti a lui ci sono le comuni pietre
selvagge della terra –
Il primo ed ultimo altare
Su cui depone il suo bottino.
E ciò è giusto. Egli ha conquistato
nel nome della terra.
Affidando questi trofei
Alla piccola pazzia delle radici, alla
stasi minerale
Ed alla pioggia.
Un grido soprannaturale sale.
Gli Universi si accapigliano su di lui
–
Qui un osso, lì uno straccio.
Il suo sacrificio è perfetto. Egli non
serba nulla.
Orizzonti lo tirano da parte, venti lo
bevono,
La terra stessa lo disfa da sotto –
La sua sottomissione è impeccabile.
Mosche vomitorie innalzano la sua
bellezza.
Scarabei e formiche officiano
Infestandolo con istruzioni.
La sua pazienza cresce semplicemente
più vasta.
I suoi occhi s’oscurano più audaci
nella loro veglia
Mentre la cappella crolla.
Il suo dorso sopravvive alla sua
religione,
I testi si sgretolano –
La bizzarra lingua cortese
Di ossa d’ali e d’artigli.
E già
Niente rimane del guerriero se non le
sue armi
Ed il suo sguardo.
Lame, lance, frecce non tirate – e la
bellezza del teschio
Avvolto negli stracci del suo
stendardo.
Egli stesso è il suo stendardo e di
quello stracci.
Mentre ora dopo ora il sole
Rafforza la sua rivelazione.
Da
Cave Birds, Mondadori, 2001 – in “La poesia e
lo spirito”, 12 aprile, 2009
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