L'intervista che segue,
di dieci anni fa esatti, a Giulio Giorello, trovò occasione nel
festival di filosofia, che si svolgeva a Roma e di cui il noto
filosofo della scienza era in quel giorno il principale ospite. Tema
dell'incontro, al Palladium, le ingerenze religiose nella sfera
pubblica e il ritorno dei fondamentalismi (S.L.L.)
La scienza, anche
se forte nel suo potere materiale di condizionare la nostra
esistenza, soprattutto per il tramite della tecnologia, appare
estremamente debole nel distinguere il bene dal male. Ci dà gli
strumenti, ma non il fine, non le indicazioni per l’uso. E’
d’accordo?
Le Chiese, o meglio le
burocrazie dello spirito religioso, hanno strutture tali che
permettono di schierare tutte le forze sotto una bandiera. Il mondo
della scienza, invece, è un mondo strutturalmente pluralistico nel
quale ci sono formazioni molto diverse. Le donne e gli uomini che
lavorano alla ricerca possono avere educazioni, sensibilità
religiose o morali molto diverse. In Italia ci sono, da una parte,
forze che possono agire come un sol partito, mentre dall’altra non
esiste né il partito dei laici né il partito degli scienziati. La
scienza è un’impresa plurale. Bisogna aggiungere che gli
scienziati, per buone ragioni, si dimostrano molto spesso timidi,
restii nel buttarsi in politica e nel dibattito pubblico. Siamo il
paese che ha condannato Galileo Galilei e in cui la comunità
scientifica è stata a parole valorizzata, ma in realtà duramente
controllata nel periodo dell’odiosa dittatura fascista. Non bisogna
dimenticare queste premesse storiche.
Ma non ci sono
reazioni nella comunità scientifica di fronte alla recrudescenza di
certe tendenze che mettono in discussione persino l’evoluzionismo?
Le cose stanno cambiando.
In alcuni casi gli scienziati hanno dimostrato di saper parlare in
prima persona sulla grande questione della libertà di ricerca.
All’estero ci sono state autorevoli prese di posizione, ad esempio,
contro la deplorevole moda del disegno intelligente usata per
sterilizzare e neutralizzare gli approcci darwiniani e neodarwiniani.
La reazione contro il disegno intelligente, la difesa del darwinismo
e il bisogno di rispondere in modo forte e chiaro alle sciocchezze
dei creazionisti è un elemento presente nella comunità scientifica,
soprattutto in quella anglosassone. Altro esempio: gli interventi del
professor George Coyne, un grande astrofisico, a difesa della teoria
dell’evoluzione anche quando gli attacchi provenivano da alcuni
esponenti della gerarchia cattolica. Non dimentichiamo che Coyne è
un gesuita che dirige la Specula Vaticana. Un bell’esempio di
coraggio scientifico e morale. E vanno poi citati i casi di
ricercatori italiani nel campo della biologia, quello di Edoardo
Boncinelli o, ancora, quello di Umberto Veronesi nella campagna
referendaria sulla fecondazione assistita. E non mancano neppure
riviste come “Darwin” che cercano di fare chiarezza. Nonostante
l’Italia abbia visto più volte affermarsi, nella sua tradizione
filosofica, delle tendenze antiscientifiche, oggi si comincia a
prendere coscienza che la libertà di ricerca scientifica è una
componente ineliminabile della più generale libertà del filosofare
e della nostra cultura. Qui vorrei ricordare il mio maestro Geymonat,
non solo un grande ricercatore ed educatore, ma anche rigoroso
combattente antifascista. La liberazione dai pregiudizi nei riguardi
dell’impresa tecnoscientifica rappresentava per lui una componente
della lotta contro il fascismo. Era parte di un’unica battaglia che
Geymonat, da marxista, identificava nell’ottica dell’emancipazione
del movimento operaio.
Geymonat poteva
ancora scorgere il nesso tra l’impresa scientifica e l’utopia
della politica, dell’emancipazione dell’uomo dall’ingiustizia e
dalla miseria. Oggi, invece, l’alleanza tra politica e scienza
sembra essersi rotta. I politici contemporanei preferiscono, invece,
ergersi a paladini della religione occidentale, come dimostra il caso
di Calderoli. Perché?
Se i politici vedono la
religione come uno strumento utilizzabile, è segno che ne stanno
facendo una strumentalizzazione cinica. Piegano il bisogno delle
persone di fede ai loro più bassi scopi. Dovrebbero essere gli
autentici spiriti religiosi per primi a insorgere contro simili
operazioni. Questo vale non solo per i casi più clamorosi - come
quello dell’ex ministro leghista, un razzista che si era già
permesso d’insultare una giornalista palestinese e che
probabilmente ha dimenticato i suoi riti pagani sulla riva
dell’inquinato Po - vale, dicevo, non solo per i casi più
eclatanti, ma per tutti quei politici che una volta si proclamavano
atei e oggi devoti, che utilizzano la religione a proprio
instrumentum regni. Quanto alla scienza, non credo che la
grande maggioranza degli uomini e delle donne oggi al governo abbiano
competenze tecnico-scientifiche. Ma, essendo io uomo di sinistra, mi
preoccupa di più il fatto che l’ignoranza dell’impresa
scientifica domini anche tra i politici di sinistra. Non so se sia
colpa degli uomini di scienza, poco bravi a spiegarsi, o dei politici
della sinistra che non capiscono l’importanza della cultura
scientifica per la maturazione del paese.
Forse, a dispetto
delle continue ingerenze nella sfera pubblica, anche la religione non
è così forte come si crede. Non crede che la presa delle Chiese
tradizionali sulla società sia indebolita a causa dell’insorgere
di tendenze irrazionaliste e new age proprio nei paesi occidentali?
Le voci che strillano
alto, le voci del cosiddetto fondamentalismo - e mi riferisco qui non
all’Islam, ma all’occidente cristiano, in particolare al
protestantesimo Usa - ho l’impressione che tradiscano una
debolezza. Questo strillare isterico dei fondamentalisti copre la
loro profonda paura nei confronti del potere liberante dell’impresa
tecnoscientifica. Sarebbe compito dei laici svelare la loro
vigliaccheria.
Le religioni
tradizionali hanno timore della modernità?
Le religioni tradizionali
sono fatte dagli uomini e dalle donne che si riconoscono in esse. Non
sono un corpo di idee platoniche definite una volta per tutte, ma
organismi viventi. Come farle evolvere lo decidono coloro che ci sono
dentro, nonché l’interazione di questi organismi con l’ambiente
esterno. Non si possono dare definizioni univoche di realtà così
composite come islam, protestantesimo, cattolicesimo, ebraismo e via
dicendo. Il mio giudizio è che se le religioni sapranno scegliere
una flessibilità e un sano scetticismo di base - la capacità di
mettere in discussione i propri pregiudizi - potranno coesistere
benissimo con molte innovazioni tecnico-scientifiche. Fra queste
tradizioni, quella che ritengo più preparata a questo dialogo è il
buddismo. Non ho nessuna adesione personale a questa religione, è
solo un giudizio. Beninteso, anche il cristianesimo ha, alle sue
spalle, una grande tradizione anche di dialogo con la scienza.
Pensiamo all’evoluzione del protestantesimo durante la rivoluzione
scientifica o allo spirito di libertà di Tommaso d’Aquino, un
pensatore che molti “filosofi” cattolici mi pare non conoscano.
Altrimenti si sarebbero guardati dal dire “l’embrione è uno di
noi”. Ricordo un cattolico studioso di bioetica che diceva
“l’embrione è uno di noi perché se viene perturbato, dà segno
di reagire”. Ma, allora, anche un coccodrillo reagirebbe, e
malamente, se qualcuno gli pestasse la coda. Dovremmo cercare di
spostare il discorso su argomentazioni più serie e rigorose. Una
società matura non deve aver paura di fondamentalisti che portino le
proprie ragioni. Ma che queste ragioni ci siano e tutti abbiano la
libertà di esaminarle. E confutarle. Questa era la tesi esposta da
un certo signore in alcuni scritti sull’arte e la letteratura, nei
quali difendeva il pluralismo come processo emancipativo dei
lavoratori. Si chiamava Lev Davidovic Bronstein, in arte Trotsky.
“Liberazione” 23
febbraio 2006
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