23.2.17

Contro il fondamentalismo l’esempio di Trotsky. Intervista a Giulio Giorello (Tonino Bucci)

L'intervista che segue, di dieci anni fa esatti, a Giulio Giorello, trovò occasione nel festival di filosofia, che si svolgeva a Roma e di cui il noto filosofo della scienza era in quel giorno il principale ospite. Tema dell'incontro, al Palladium, le ingerenze religiose nella sfera pubblica e il ritorno dei fondamentalismi (S.L.L.)

La scienza, anche se forte nel suo potere materiale di condizionare la nostra esistenza, soprattutto per il tramite della tecnologia, appare estremamente debole nel distinguere il bene dal male. Ci dà gli strumenti, ma non il fine, non le indicazioni per l’uso. E’ d’accordo?
Le Chiese, o meglio le burocrazie dello spirito religioso, hanno strutture tali che permettono di schierare tutte le forze sotto una bandiera. Il mondo della scienza, invece, è un mondo strutturalmente pluralistico nel quale ci sono formazioni molto diverse. Le donne e gli uomini che lavorano alla ricerca possono avere educazioni, sensibilità religiose o morali molto diverse. In Italia ci sono, da una parte, forze che possono agire come un sol partito, mentre dall’altra non esiste né il partito dei laici né il partito degli scienziati. La scienza è un’impresa plurale. Bisogna aggiungere che gli scienziati, per buone ragioni, si dimostrano molto spesso timidi, restii nel buttarsi in politica e nel dibattito pubblico. Siamo il paese che ha condannato Galileo Galilei e in cui la comunità scientifica è stata a parole valorizzata, ma in realtà duramente controllata nel periodo dell’odiosa dittatura fascista. Non bisogna dimenticare queste premesse storiche.

Ma non ci sono reazioni nella comunità scientifica di fronte alla recrudescenza di certe tendenze che mettono in discussione persino l’evoluzionismo?
Le cose stanno cambiando. In alcuni casi gli scienziati hanno dimostrato di saper parlare in prima persona sulla grande questione della libertà di ricerca. All’estero ci sono state autorevoli prese di posizione, ad esempio, contro la deplorevole moda del disegno intelligente usata per sterilizzare e neutralizzare gli approcci darwiniani e neodarwiniani. La reazione contro il disegno intelligente, la difesa del darwinismo e il bisogno di rispondere in modo forte e chiaro alle sciocchezze dei creazionisti è un elemento presente nella comunità scientifica, soprattutto in quella anglosassone. Altro esempio: gli interventi del professor George Coyne, un grande astrofisico, a difesa della teoria dell’evoluzione anche quando gli attacchi provenivano da alcuni esponenti della gerarchia cattolica. Non dimentichiamo che Coyne è un gesuita che dirige la Specula Vaticana. Un bell’esempio di coraggio scientifico e morale. E vanno poi citati i casi di ricercatori italiani nel campo della biologia, quello di Edoardo Boncinelli o, ancora, quello di Umberto Veronesi nella campagna referendaria sulla fecondazione assistita. E non mancano neppure riviste come “Darwin” che cercano di fare chiarezza. Nonostante l’Italia abbia visto più volte affermarsi, nella sua tradizione filosofica, delle tendenze antiscientifiche, oggi si comincia a prendere coscienza che la libertà di ricerca scientifica è una componente ineliminabile della più generale libertà del filosofare e della nostra cultura. Qui vorrei ricordare il mio maestro Geymonat, non solo un grande ricercatore ed educatore, ma anche rigoroso combattente antifascista. La liberazione dai pregiudizi nei riguardi dell’impresa tecnoscientifica rappresentava per lui una componente della lotta contro il fascismo. Era parte di un’unica battaglia che Geymonat, da marxista, identificava nell’ottica dell’emancipazione del movimento operaio.

Geymonat poteva ancora scorgere il nesso tra l’impresa scientifica e l’utopia della politica, dell’emancipazione dell’uomo dall’ingiustizia e dalla miseria. Oggi, invece, l’alleanza tra politica e scienza sembra essersi rotta. I politici contemporanei preferiscono, invece, ergersi a paladini della religione occidentale, come dimostra il caso di Calderoli. Perché?
Se i politici vedono la religione come uno strumento utilizzabile, è segno che ne stanno facendo una strumentalizzazione cinica. Piegano il bisogno delle persone di fede ai loro più bassi scopi. Dovrebbero essere gli autentici spiriti religiosi per primi a insorgere contro simili operazioni. Questo vale non solo per i casi più clamorosi - come quello dell’ex ministro leghista, un razzista che si era già permesso d’insultare una giornalista palestinese e che probabilmente ha dimenticato i suoi riti pagani sulla riva dell’inquinato Po - vale, dicevo, non solo per i casi più eclatanti, ma per tutti quei politici che una volta si proclamavano atei e oggi devoti, che utilizzano la religione a proprio instrumentum regni. Quanto alla scienza, non credo che la grande maggioranza degli uomini e delle donne oggi al governo abbiano competenze tecnico-scientifiche. Ma, essendo io uomo di sinistra, mi preoccupa di più il fatto che l’ignoranza dell’impresa scientifica domini anche tra i politici di sinistra. Non so se sia colpa degli uomini di scienza, poco bravi a spiegarsi, o dei politici della sinistra che non capiscono l’importanza della cultura scientifica per la maturazione del paese.

Forse, a dispetto delle continue ingerenze nella sfera pubblica, anche la religione non è così forte come si crede. Non crede che la presa delle Chiese tradizionali sulla società sia indebolita a causa dell’insorgere di tendenze irrazionaliste e new age proprio nei paesi occidentali?
Le voci che strillano alto, le voci del cosiddetto fondamentalismo - e mi riferisco qui non all’Islam, ma all’occidente cristiano, in particolare al protestantesimo Usa - ho l’impressione che tradiscano una debolezza. Questo strillare isterico dei fondamentalisti copre la loro profonda paura nei confronti del potere liberante dell’impresa tecnoscientifica. Sarebbe compito dei laici svelare la loro vigliaccheria.

Le religioni tradizionali hanno timore della modernità?
Le religioni tradizionali sono fatte dagli uomini e dalle donne che si riconoscono in esse. Non sono un corpo di idee platoniche definite una volta per tutte, ma organismi viventi. Come farle evolvere lo decidono coloro che ci sono dentro, nonché l’interazione di questi organismi con l’ambiente esterno. Non si possono dare definizioni univoche di realtà così composite come islam, protestantesimo, cattolicesimo, ebraismo e via dicendo. Il mio giudizio è che se le religioni sapranno scegliere una flessibilità e un sano scetticismo di base - la capacità di mettere in discussione i propri pregiudizi - potranno coesistere benissimo con molte innovazioni tecnico-scientifiche. Fra queste tradizioni, quella che ritengo più preparata a questo dialogo è il buddismo. Non ho nessuna adesione personale a questa religione, è solo un giudizio. Beninteso, anche il cristianesimo ha, alle sue spalle, una grande tradizione anche di dialogo con la scienza. Pensiamo all’evoluzione del protestantesimo durante la rivoluzione scientifica o allo spirito di libertà di Tommaso d’Aquino, un pensatore che molti “filosofi” cattolici mi pare non conoscano. Altrimenti si sarebbero guardati dal dire “l’embrione è uno di noi”. Ricordo un cattolico studioso di bioetica che diceva “l’embrione è uno di noi perché se viene perturbato, dà segno di reagire”. Ma, allora, anche un coccodrillo reagirebbe, e malamente, se qualcuno gli pestasse la coda. Dovremmo cercare di spostare il discorso su argomentazioni più serie e rigorose. Una società matura non deve aver paura di fondamentalisti che portino le proprie ragioni. Ma che queste ragioni ci siano e tutti abbiano la libertà di esaminarle. E confutarle. Questa era la tesi esposta da un certo signore in alcuni scritti sull’arte e la letteratura, nei quali difendeva il pluralismo come processo emancipativo dei lavoratori. Si chiamava Lev Davidovic Bronstein, in arte Trotsky.


“Liberazione” 23 febbraio 2006

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