Troppo circondata dal
profumo di scandalo della sua vita, Colette sembra, fra le donne
scrittrici, una delle meno amate dalla critica. Per via del successo
così eccessivo? Oppure di una promozione legata più ai dati
esistenziali — una vita «scandalosa» — che agli elementi
letterari? Certo, questa antesignana di una rivolta sessuale non è
piaciuta nemmeno tanto al femminismo, il quale, come tutti i
movimenti, coltiva una buona dose di moralismo.
Perciò, gli amori
maschili e femminili; l'aver divorato mariti; la presenza nelle
accademie ma anche nei saloni di bellezza (ne fondò uno con scarsa
fortuna); l'essere stata la prima donna ad avere funerali di Stato
(ma la chiesa le rifiutò le esequie religiose) hanno funzionato da
calmiere delle sue qualità artistiche.
Gabrielle-Sidonie Colette
nasce a Saint-Sauveur-en-Puysaye nel 1873. A Parigi arriva nel '93,
giovane sposa campagnola del molto navigato giornalista Henry
Gauthier-Vlllars (Willy). Con lui entra nel salotti; di lui diventa
«il negro». Scriverà, infatti, a onore e gloria del marito, celata
dietro la maschera e il nome di Willy, centinaia di pagine che
attingono ai ricordi d'infanzia, alle pruriginose memorie
dell'adolescenza. Sono i romanzi della serie di «Claudine». Quelle
«Claudine» che rappresentano una forza ma anche una specie di
castigo. «Un errore che vi si appiccica alla pelle» osserverà
Colette. Con quel che segue di consumismo: cappelli, colli, lozioni,
i celebri «twins», stravenduti nella Francia primi del secolo.
Nel 1910 il divorzio dal
marito negriero. Aveva cominciato nel 1906 a muoversi verso una sorta
di indipendenza economica scegliendo la carriera del mimo e del
music-hall. Da sola, sorretta da amicizie saffiche: Nathalie Barney,
Renée Vivien e soprattutto Missy, marchesa di Belbeuf. Willy è
stato uno sfruttatore, per di più infedele. Quelle donne
l'accoglieranno con serenità. Le daranno la forza di rifiutare una
morale che la borghesia trionfante impone con soddisfazione. «Io
dico che, se un "anormale" si sente anormale, non è
anormale. Anzi, dico di più: uno o una anormale non deve mai avere
una sensazione di anormalità».
Nascono le grandi opere
di Colette. La scrittura si ordina, la libertà si organizza.
Romanziera, giornalista, cronista di una città e di un'epoca ma
anche donna che ha osato mostrarsi nuda sulla scena, non le perdonano
gli scarti sentimentali e ragazza di campagna l'aver descritto, ormai
donna, situazioni moralmente non ineccepibili. Di «Le blé en herbe»
deve interrompere le pubblicazioni a puntate sul «Matin». «Il puro
e l'impuro» subisce la stessa sorte. La serie di «Chéri» la
critica l'accoglie con malevolenza. Quel suo «secondo mestiere» non
si addice a uno scrittore vero.
La recente pubblicazione
dei quattro romanzi delle «Claudlne» (Rizzoli, lire 40.000), della
«Nascita del giorno» (Adelphi, da cui erano già usciti «Il puro e
l'impuro», «Il mio noviziato», «Chéri», «La fine di Chéri»)
e di quel piccolo gioiello «giallo» che è «Hotel Bella Vista»
(Tartaruga nera, lire 12.000), possono servire a combattere l'ambiguo
fastidio che sempre accompagna i protagonisti di comportamenti
irregolari.
I libri, pur diversi fra
loro, sono legati da un filo che si rintraccia facilmente. Ha ragione
Carlo Bo, nella prefazione alle «Claudine»: qui circolano già
tutti i motivi che faranno di Gabrielle-Sidonie Colette semplicemente
Colette. All'inizio, è vero, la scrittura è di getto. Un fiume in
piena che spesso esce dagli argini. La sincerità non trova ancora la
sua misura. Ci vorrà tempo per raggiungere lo stile della «Nascita
del giorno». Adesso è una donna matura, ha più di cinquantanni.
Vuol chiudere con quella sua «vita da militante». Vuol chiudere con
l'amore. «Una delle grandi banalità dell'esistenza, l'amore,
scompare dalla mia. Un'altra grande banalità è l'istinto materno.
Usciti da quelle, ci accorgiamo che tutto il resto è allegro, vario,
abbondante; ma non se ne esce né quando né come si vuole».
Colette ha sofferto
d'amore, di questo «passatempo senza dignità». L'amore-specchio,
l'amore-dovere, l'amore-dedizlone: Impossibile credergli.
Distribuisce sofferenze, sconfitte. A testimonianza ci sono i tre
matrimoni. Con Willy; con Henry de Jouvenal, redattore capo del
«Matin», con Maurice Goudeket, sposato nel 1935, di sedici anni più
giovane. E già c'era stata la passione per il figliastro, Bertrand
de Jouvenal. «Non dovete immaginarci, "noialtre", tremanti
e sgomente sotto la luce di un avvenire breve, in atteggiamento da
mendicanti davanti all'uomo amato, oppresse dalla coscienza della sua
condizione. Abbiamo in noi più incoscienza, grazie a Dio, più
coraggio e più purezza. Che cosa sono ai nostri occhi, quindici anni
di differenza?».
L'amore, dunque, non è
un sentimento onorevole. Lascia cicatrici. Però anche arricchisce.
Naturamente con il tempo. Quando, e se, si diventa imparziali.
Colette ci prova. Non teme il ridicolo. Sa dell'approssimarsi della
vecchiaia. Le esagerazioni, i radicalismi, gli accenti gridati mal si
adattano a chi dovrebbe, a quell'età, coltivare una sola virtù:
«Non fare del male a nessuno».
Colette deve «vivere —
o anche morire — senza che la mia vita o la morte dipendano da un
amore. Da ora in poi, la mia tristezza se sono triste, la mia
allegria se sono allegra, dovranno fare a meno di un motivo che gli è
bastato per trent'anni: l'amore».
Nell'«Hotel Bella Vista»
ancora motivi autoblografici. Siamo in un semplice albergo della
Costa Azzurra, non lontano da Saint Tropez. Pochi ospiti: la
scrittrice e un impiegato di ministero. Oltre alle due proprietarie
dell'albergo. «È una pazzia credere che i periodi vuoti d'amore
siano gli spazi bianchi di un'esistenza di donna. È anzi vero il
contrario. A raccontarlo, cosa rimane di un legame appassionato?
L'amore perfetto si racconta in tre righe: Lui mi ha amata, io l'ho
amato, la Sua presenza ha cancellato tutte le altre presenze; insieme
fummo felici, poi Lui smise di amarmi! io ne soffersi....».
Così ha inizio il «giallo», solcato dal mistral della Provenza.
Testimoni muti la cagnetta Patì, un nido di uccelli, dei
pappagallini con «l'occhio azzurrato fra due orli di pelle grigia».
Sullo sfondo il Midi che Colette imparò a capire attraverso La
Trellle Muscate, la casa acquistata vicino a Saint Tropez.
Dalle «Claudine» a
«Hotel Bella Vista», la scrittura dà la misura dell'istante. Una
mimosa, un ramo carico di frutta, un bicchiere colmo di menta.
Meravigliose scoperte recuperate dal tocco voluttuoso di Colette.
Come la madre che desidera stringere il suo bambino e lo evita per
paura di fargli male, la scrittrice impara a dominarsi. Una fatica,
una accuratezza, una costrizione, quei succhi, quegli odori che
distilla dal linguaggio. Ma rimane fedele alla scuola di sincerità
in cui era cresciuta. Una «vagabonda» senza rimorsi negli scambi
sessuali. Nel maschile e femminile che si confondono come in un eden
primigenio.
Colette senza peccato.
Altri, Gide, Mauriac, avrebbero bruciato sul letto di carboni
ardenti. Perciò, forse, lei è stata definita frivola. Mentre era
lucida, poco lamentosa. L'hanno guardata dall'alto in basso:
letteratura istintuale, la sua. Per via della capacità di essere
leggera nella serietà. Qualcuno l'ha paragonata a Delly. Simone de
Beauvoir, nelle «Memorie» racconta che Colette le chiese:
«"Signora, le piacciono i gatti?". "Per niente".
Mi fulminò con i suoi occhi azzurri». Aggiunge, sprezzante, la
normalienne «La cosa mi era indifferente».
I piaceri fisici, la
natura, il femminile. Il rifiuto della metafisica e invece un
attaccamento alla terra, ai suoi colori. E sapori. È il corpo che
pensa, con Colette. È il piacere che parla attraverso la scrittura.
In fondo anche per questo
Colette sarà poco apprezzata. Per il continuo scambio tra realtà
(della sua vita) e finzione (nella sua opera) che operano ì lettori.
Per l'intreccio tra elementi che appartengono al costume e elementi
che sono della letteratura. Una maestra del quotidiano, una nemica
delle idee generali, schiacciata dal carico delle esperienze
irregolari, morbose, esibizionlste. Thibaudet non la cita nella sua
storia della letteratura contemporanea. Al cimitero di Pére
Lachaise, dove è sepolta, sulla tomba una frase brevissima: «Qui
riposa Colette, 1873-1954».
“l'Unità”, 21
settembre 1986
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